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UN NUOVO MODO DI PARLARE DI DROGA

TINA ORSOMANDO

Istituto Professionale di Stato per l’Industria Edile (IPSIE) “Sisto V”, Roma

Affrontare, guidare e gestire a scuola, con allievi di 15-16 anni, il problema delle nuove droghe o per meglio dire “sostanze psicotrope che agiscono a livello del sistema nervoso centrale (SNC) modificando percezione e comportamento” è, credo, per noi Docenti un compito arduo e pericoloso. Abbiamo timore di sollecitare al riguardo curiosità non ancora esplicitate. Inoltre, alcuni allievi, avendone già fatto uso, potrebbero trascinare gli altri ancora ignari.

È noto come l’uso di sostanze stupefacenti, in particolare in questa fascia di età, sia sempre più motivo di grande preoccupazione, al punto tale che la “droga” è ritenuta uno dei mali del secolo contro cui lottano numerose nazioni. Uno dei motivi degli scarsi successi della lotta è dovuto al fatto che accanto ai giovani che ne fanno uso, convivono organizzazioni malavitose che controllano, sostengono e perpetuano il

fenomeno della droga di massa. Trattandosi di un problema sani- tario rilevante abbiamo deciso di lavorare con gli studenti sul partico- lare fenomeno definito “sballo del sabato sera”, quando giovani fre- quentatori di discoteche o di rave

party per liberarsi dallo stress, dal-

l’angoscia, dalla frustrazione accu- mulata durante la settimana, o solo per curiosità o per essere uguali agli altri, cercano nello “sballo” il corag- gio, che solitamente non hanno, di affrontare le difficoltà della vita (Figura 1).

Eravamo tuttavia consapevoli, sulla base dell’esperienza, di non poter raggiungere risultati efficaci su tale tematica utilizzando metodi didattici tradizionali. Abbiamo quindi partecipato presso l’Istituto Superiore di Sanità (ISS) ad un corso di forma- zione nel quale è stato descritto il metodo Problem-based Learning (PBL), e lo abbiamo ritenuto valido ed efficace per le nostre finalità.

Figura 1. Poster presentato dagli studenti in occasione del Convegno “Voci della scuola. Primo

Tale sperimentazione si basa su una messa in discussione del tradizionale rapporto docente-allievo. Il ruolo dell’insegnante è mutato: non rappresenta più “il contenitore del sapere” ma diventa un componente del gruppo, con il compito di guidare il processo, di stimolare la curiosità: in sostanza svolge il ruolo di “facilitatore”. Infatti il PBL si avvale dell’esperienza già presente negli allievi, ritenendo che quanto più si richiamano conoscenze pregresse tanto più vengono elaborate. Inoltre permette all’insegnate di valutare in itinere il progresso educativo, la partecipazione, l’apprendimento ed anche l’autostima degli stessi allievi.

L’approccio conoscitivo e documentale con il PBL è di conseguenza casuale e fortemente eterogeneo: infatti non risulta possibile guidare gli alunni in un percorso che stabilisca a priori i criteri di validità del sapere ai fini della conoscenza, ad esempio di tipo razionale-comprensivo.

Pur non essendo tale metodologia generalizzabile a tutta l’attività formativa degli alunni, risulta comunque efficace per l’approccio conoscitivo a problematiche fortemente legate alla realtà, ponendosi come valido strumento integrativo delle strategie cognitive tradizionali. Sappiamo che ogni apprendimento, affinchè risulti efficace ed utilizzabile, deve partire da qualche bisogno o desiderio di apprendere. Spesso si dice che i ragazzi mancano di motivazioni. È vero, a volte provengono da situazioni svantaggiate e gli interventi didattici dovrebbero tenerne conto partendo dai loro bisogni. Gli stati d’animo degli alunni sono le principali fonti di motivazione, punto di partenza da utilizzare senza restarne prigionieri. Una delle principali finalità degli interventi educativi è di “aprire nuovi orizzonti”.

Il PBL fornisce all’insegnante elementi di conoscenza degli allievi non acquisibile in contesti diversi. Tuttavia, richiede di essere adattato al contesto. Ad esempio, nella mia classe, trattandosi di un Istituto professionale, ho ritenuto necessario ed indispensabile fornire un bagaglio minimo di conoscenze sull’organizzazione e regolazione del SNC.

La classe che ha partecipato è composta da venti allievi. Inizialmente ho illustrato loro il progetto. In seguito, gli alunni hanno affrontato e discusso la tematica proposta, hanno individuato gli obiettivi di apprendimento generali, si sono suddivisi in piccoli gruppi, ognuno dei quali si è assegnato dei compiti e scelto un “facilitatore”. Nel piccolo gruppo è risultato agevole attivare una proficua discussione nella quale ciascun allievo ha avuto l’opportunità di esprimersi liberamente. Sulla base delle storie inventate da loro stessi, “il problema”, una per ciascun gruppo, hanno individuato gli obiettivi specifici di apprendimento e si sono suddivisi i compiti per l’approfondimento delle problematiche poste dalla storia e individuate nella discussione. I ragazzi hanno utilizzato testi, riviste e audiovisivi della biblioteca scolastica e hanno anche acquistato ulteriori materiali di divulgazione scientifica.

Ed è stato proprio nell’esercizio della ricerca di informazioni che li ho dovuti maggiormente guidare. La maggior parte degli alunni non aveva nessuna idea del metodo da seguire. Hanno anche trovato notevoli difficoltà nel mettere a fuoco e costruire la “storia”.

I ragazzi inizialmente volevano risposte che non potevo dare per non disincentivare la loro curiosità. Cercavo di aggirare l’ostacolo in qualche modo. Quando hanno iniziato a raccogliere i dati allora l’entusiasmo è stato grande.

I ragazzi sono stati particolarmente attratti dalle informazioni raccolte in rete ed hanno quindi fatto ampiamente ricorso alla navigazione su Internet. Le principali motivazioni sono facilmente individuabili nella varietà e ricchezza delle informazioni

immediate e accattivanti, nella varietà dei linguaggi utilizzati, nella possibilità di collegamento con qualsiasi parte del mondo e nella consuetudine ormai generalizzata, sempre più espressione di tendenza e/o di moda, ad utilizzare la rete anche a fini ricreativi e per le comunicazioni interpersonali. La “navigazione” in rete sviluppa la capacità di ricerca, ma nel contempo pone diversi pericoli, ad esempio, può determinare disorientamento, per la quantità di informazioni, per la difficoltà nel riconoscere quelle affidabili in quanto tutti possono mettere tutto in rete, senza dover certificare competenze, e di conseguenza messaggi ingannevoli abbinati a una buona tecnica di comunicazione pubblicitaria vengono ad essere sopravvalutati.

Nel lavoro in classe, alla raccolta dei dati, ha fatto seguito l’organizzazione sistematica degli stessi: hanno descritto gli effetti psico-fisiologici delle droghe, le azioni sulle funzioni cerebrali e sull’intero organismo; hanno imparato, anche facendo riferimento a situazioni precedentemente vissute, a riconoscere i sintomi che seguono l’assunzione e si sono poi posti il problema di come essere di aiuto nelle situazioni diverse che possono verificarsi a seguito di consumo di droghe.

Il metodo utilizzato non è risultato positivo solo ai fini dell’apprendimento di cono- scenze, ma ha spinto anche gli alunni, nella discussione in piccoli gruppi a esprimersi senza sentirsi giudicati o classificati dall’insegnante e dai compagni. In quel contesto si sono sentiti accettati nella loro realtà. La discussione è risultata educativa, pur concludendosi con la posizione accettata dalla maggioranza, ha svi- luppato le capacità critiche dei ragaz- zi. Sono dovuta intervenire in alcune occasioni quando al posto di un con- fronto di opinioni riguardo un certo aspetto, è scoppiato un grande vociare dovuto a atteggiamenti di aggressività e di paura piuttosto che a ricerca di soluzioni. Un altro aspet- to positivo, e divertente, è stato la realizzazione di un floppy, che ha sin- tetizzato il lavoro di ricerca svolto arricchendolo anche con immagini animate, molto colorate. Questa atti- vità ha riunito i gruppi rafforzando ulteriormente l’apprendimento in modo poco faticoso e quasi inconsa- pevole (Figura 2).

Come docente ho osservato, all’interno della classe prima, e dei gruppi poi, i vari ruoli che tenden- zialmente i ragazzi venivano ad assumere: di “responsabile”, di chi

Figura 2. Poster presentato dagli studenti in occasione del Convegno “Voci della scuola. Primo

riusciva a comunicare facendo il “giullare”, di chi “più sveglio” prendeva le redini e guidava gli altri, che volentieri si lasciavano guidare. Si è così evidenziato il problema della leadership, come in effetti succede in qualsiasi ambiente di lavoro.

L’informazione scientifica ha funzionato, ma la cosa che li ha maggiormente colpiti è stato scoprire, e non dalla “Proff”, dai genitori o dalle leggi vigenti, che la distinzione tra droghe pesanti e droghe leggere è alquanto aleatoria in quanto sia le une che le altre agiscono sulla misteriosa sinapsi, che misteriosa ormai non era più. Pur non avendo provato a spaventarli né ammonirli in modo esplicito a non farne uso, perché era una cosa terribile: l’avevano scoperto da soli, avevano preso coscienza dei rischi e degli effetti legati alle droghe, al di là delle indicazioni fornite dall’amico o dall’“esperto” di turno, in maniera autonoma. Il messaggio è serpeggiato tra gli altri studenti dell’Istituto.

Vorrei inoltre sottolineare sia il mio coinvolgimento, il sentirmi ulteriormente “una di loro”, anche a livello emotivo, sia il loro sentirsi gratificati, anche fuori dalle mura scolastiche, da “adulti”, da “scienziati”, quando, a conclusione, hanno illustrato il loro lavoro e chiesto chiarimenti agli esperti, in una cornice, l’ISS, molto lontana dalla loro realtà.

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