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Obbiezioni a lla teoria dei libero scam bio

Nel documento Teoria dello scambio internazionale (pagine 163-170)

<28. — Le quattro sacramentali obbiezioni che, secondo Pierson , si controppongono alla teoria del libero scambio sono queste:

l-° Che gli alti dazi d’ importazione non ca­ gionano necessariamente una diminuzione, ma spesso soltanto cagionano un cambiamento nelle esporta­ zioni;

2. ° Che anche se essi impongono al paese un sacrificio, questo sacrificio viene compensato dal

molteplice sviluppo della industria nazionale;

3. ° Che essi, per i paesi con alti salari, pos­ sono costituire il mezzo di impedire un ribasso di

questi salari;

4. u Che, infine, possono servire ad ovviare una depressione temporanea.

Gli argomenti che l’economista olandese contrap­ pone a queste obbiezioni sono quelli che furono già familiari agli economisti della scuola classica, e che noi cercheremo riassumere, integrare e comple­ tare in questo capitolo.

■29* — Dunque, prima di tutto, si afferma che gli alti dazi di importazione non cagionino neces­ sariamente una diminuzione nella massa delle impor­ tazioni, poiché al posto dei manufatti viene sostituita la importazione di materie prime e di strumenti della produzione. « Ma allora, osserva il Pierson, la do­ manda di manufatti deve essere aumentata, nono­ stante l’ aumento dei prezzi che essi hanno subito per i dazi di importazione. Un articolo aveva all’im­ portazione un valore di a per materie prime , di b per combustibile, macchine e simili, di c per salari, quindi : di a + b + c. Ora si importa la materia prima — a, il combustibile e gli altri mezzi sussi­ diari '= b; quindi, per un valore di a + b. Per con­ seguenza c’è una diminuzione di importazione = c, a meno che in materie prime e in mezzi sussidiari non si importi più di quanto è stato qui supposto, il che è solamente possibile quando aumenti la do­ manda di manufatti. Ma non c’è da aspettarsi au­ mento, bensì diminuzione. Non si importerà a + b, ma, per esempio, 3/4 a + 3/4 b, cosicché ci sarà una diminuzione di 74 a + i/4 b + c ». — Ora è vero che, in un primo momento, può anche darsi che la importazione aumenti a causa delle fabbriche che sorgono per effetto della protezione; ma, in seguito, i consumatori degli articoli rincarati dovranno fare una economia nelle merci che consumano. E qui ci troviamo di nuovo di fronte al primo dilemma : se le merci di cui si ridurrà il consumo saranno pro­ dotte all’interno, risulta di nuovo che la protezione

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rovina l’ industria nazionale ; se saranno importate dall’estero, allora realmente diminuirono le importa­ zioni, e quindi anche la produzione delle merci che sono necessarie a pagare le merci che vengono im­ portate.

Chè se poi si vorrà affermare che, grazie alla protezione, i salari in moneta derivanti aH’industria saliranno, in virtù delle nuove industrie che sorge­ ranno all’interno, provocando una maggiore domanda di merci, è facile ossei vare, prima di tutto, che au­ mentando contemporaneamente i prezzi dei generi di consumo, i redditi nominali non corrisponderanno ai redditi reali e quindi la domanda complessiva di ar­ ticoli nazionali ed esteri non potrà affatto aumentare. Infine, il vecchio dilemma sorge di nuovo: o si am­ mette che i dazi protettori fanno diminuire le impor­ tazioni e si ha ragione di credere ad un rialzo del prezzo del lavoro, e allora l’argomento usato (vedi paragrafo 89) conduce ad una conclusione opposta a quella che è la premessa dell’obbiezione fatta al libero scambio ; oppure si deve ammettere che i dazi protettori non fanno diminuire le importazioni, e allora nessun rialzo del prezzo del lavoro vi è da aspettare. — Questo argomento vale pure di risposta agli incauti operai, i quali vedono talvolta nel pro­ tezionismo una possibilità di aumentare i loro salari reali.

Quanto agli altri redditi, si sa che, se per i pro­ duttori protetti aumentano, diminuiscono per gli altri, e quindi l’altro effetto della protezione è un semplice

spostamento che avviene nelle ripartizioni entro la sfera dei percipienti redditi, i

130. 11 secondo argomento con cui i prote^ zionisti difendono le proprie teorie consiste nell’affer- mare. che gli alti dazi d’importazione impongono un sacrificio alla nazione, ma questo sacrificio può lar­ gamente essere compensato da un futuro, molteplice sviluppo dell industria nazionale. — Ma non si com­ prende come una industria, che possa dare dei fu­ turi guadagni, adeguati agli investimenti del capitale che richiede, abbia bisogno della protezione per sorgere. Si afferma però che le industrie, anche le più adatte al paese, non si possono introdurre nelle nazioni non educate alla libertà, dove difettano la istruzione gene­ rale e professionale, dove scarse sono le vie di co­ municazione; e via dicendo. Ma in simili circostanze la migliore protezione, dal punto di vista del suo rendimento, sarebbe quella di mutare tali condizioni. E se , dopo la trasformazione delle condizioni am­ bientali, le industrie che si credevano adatte al paese non sorgono, vi è un forte motivo di concludere che la protezione avrebbe avviato le braccia e il capi­ tale verso industrie poco rimunerative, distraendoli da investimenti più redditizi.

Ma facciamo la ipotesi che lo Stato, con grande sforzo, tra mille industrie protette, riesca a favorirne una naturale al paese. Vi » prima di tutto gran mo­ tivo di dubitare che questa riesca a perfezionarsi, trovando più utile vivere una vita parassita a spese della protezione. Perchè è risaputo che la possibilità

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di poter trarre un utile indiretto, a causa della pro­ tezione, ha per risultato di far studiare meno dili­ gentemente le condizioni in cui una data industria è più adatta a svolgersi, spingendo: ad introdurre la coltivazione in terreni che non sono i meglio a- datti; a impiantare le manifatture in circostanze che non sono le più favorevoli per il loro sviluppo; a far sorgere imprese senza capitali adeguati, senza sottilizzare sulla qualità del macchinario e della mae­

stranza; e così via. Ma ammettiamo, invece, che alcuna delle imprese protette riesca ad ottenere grandi utili, in seguito, indipendentemente dalla protezione. Si era detto « che la protezione poteva essere utile per la tutela delle industrie nascenti ; le quali p o i, fatte adulte, non ne avrebbero più avuto bisogno. Non si può negare a priori che il fatto possa seguire, ma non se ne hanno esempi. Tutte le industrie nate

colla protezione ne hanno sempre chiesto più, e non è mai venuto il giorno in cui si sono dichiarate pronte a farne senza (1) ». E dal punto di vista sto­ rico possiamo dire di più : le industrie che otten­ nero la protezione, il giorno che si videro minac­ ciate di vedersela togliere , minacciarono a loro volta mille rappresaglie contro lo Stato, dichiarando di chiudere le fabbriche , lanciando gli operai sul lastrico se lo Stato avesse messo in effetto la pro­ pria minaccia. E occorre ancora osservare che « la

protezione doganale, siccome esclusione assoluta o parziale di qualche prodotto estero dal nostro mer­ cato, può suscitare rivalità e rappresaglie contro i prodotti nostrani, cosicché il vantaggio sperato per una industria si perderebbe per l’altra. E altri paesi posti in condizioni analoghe alle nostre potrebbero anch essi, collo stesso mezzo della protezione doga­ nale, tentare di far sorgere nel loro paese quella in­ dustria che vogliamo introdurre nel nostro (1) ». Infine non ultimo danno di una protezione tempora­ nea (se protezioni temporanee possono esistere) è questo: che i consumatori durante il periodo della protezione, hanno dovuto pagar più caro i prodotti dell industria protetta o astenersi dal consumarli, mentre avran dovuto fare le spese della protezione. E se questa alla fine viene abolita, essi potranno acquistare i beni delle industrie, che han goduto dei loro sacrifici, ad un prezzo di concorrenza. II che si sarebbe ottenuto egualmente, con la libera com­ petizione, senza provocare alcun danno, neppure tem­ poraneo, alla massa dei consumatori.

131. La terza osservazione che vien fatta dai protezionisti è che la protezione doganale è utile per paesi con salari alti, perchè impedisce a questi sa­ lari di discendere. Ora supponiamo, prima di tutto, che la causa dei salari alti sia una grande produt­ tività degli strumenti di produzione. Ma è certo che

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se gli operai riceveranno un maggior salario in mo neta all’interno, se le altre merci da acquistare —

come abbiamo già innanzi rilevato — dovranno es­ sere acquistate ad un prezzo più elevato per effetto della protezione, il salario normale non corrisponderà al salario reale, e quindi ci troviamo di aver già ri­ sposto ad una simile obbiezione, specie se si consi­ deri che col libero scambio gli operai, come tutti crii altri consumatori, potranno trarre partito dalle fonti della produzione in duplice modo: direttamente, procacciandosi molte cose con un costo minore di quello che è necessario ad altri popoli; e indiretta­ mente, acquistando dall’estero i beni che all’interno non possono essere prodotti che a un maggior costo. Chè se poi i salari elevati sono dovuti a scarsità di popolazione, non sono i dazi protettori che po­ tranno continuare a mantenerli elevati. Grado grado, infatti, i salari elevati faranno affluire sul mercato gli operai stranieri, e i salari scenderanno, a dispet­ to della dogana. Infine, vi è un terzo caso: quello, cioè che può riguardare la possibilità che si abbia un livello relativamente alto dei salari a causa di un basso saggio dell’interesse. Ora, in due paesi differenti, può avere eguale altezza il prezzo del la­ voro, mentre i saggi dell’interesse e del capitale pos­ sono differire notevolmente fra loro. Quindi diventa possibile tra i due paesi uno scambio tutto speciale. Pierson ha voluto darci un esempio di questa pos­ sibilità di scambio. Una certa quantità di un certo bene _ egli scrive — richiede un lavoro di 10

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Nel documento Teoria dello scambio internazionale (pagine 163-170)

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