Capitolo II Convenzione UNESCO del 1970 e
6. Gli obblighi in capo agli Stati
Per quanto riguarda i meccanismi di restituzione dei beni culturali nella Convenzione UNESCO troviamo una norma di base, che favorisce la generalizzazione, a livello di ordinamenti interni, dell’azione di rivendicazione avanzata da uno Stato o dal proprietario di un bene avente valore culturale, perduto o rubato, di proprietà pubblica
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I. Caracciolo, Analogie e differenze tra la Convenzione UNESCO del 1970 sui
mezzi per vietare e prevenire il trasferimento illecito di proprietà del patrimonio culturale e la Convenzione UNIDROIT del 1995 sulla restituzione dei beni culturali rubati o illecitamente esportati in La protezione internazionale e la circolazione comunitaria dei beni culturali mobili P. Paone (a cura di), Editoriale Scientifica,
o privata. L’azione di rivendicazione viene prevista da parte di uno Stato d’origine contraente attraverso gli uffici diplomatici. Gli Stati parte hanno l’obbligo di prestare la collaborazione dei loro competenti servizi, doganali e di polizia. Questo obbligo di tipo strumentale è finalizzato ad assicurare il più rapidamente possibile la restituzione dei beni illecitamente esportati al loro legittimo proprietario sia si tratti di uno Stato o di un soggetto privato. A ciò si aggiunge l’obbligo di riconoscere la portata giuridica di quelle misure nazionali di classificazione e di dichiarazione di inalienabilità dei beni culturali che appartengono a collezioni pubbliche e se illegalmente esportate, a facilitarne la restituzione, sulla base dell’imprescrittibilità del diritto alla restituzione.111 Gli Stati parte devono impegnarsi ad ammettere azioni giudiziarie tendenti alla restituzione al legittimo proprietario dei beni culturali perduti o rubati. L’azione può essere promossa anche da un privato che sia proprietario del bene e può avere ad oggetto beni pubblici o privati. Tali obblighi però trovano il loro più grande limite nella mancata fissazione di una disciplina uniforme in materia e dunque rinvia ai diversi ordinamenti giuridici degli Stati parte ed alle loro politiche legislative.
I Paesi sono tenuti a impedire, da parte di musei e istituzioni pubbliche, l’acquisto di beni culturali che risultino usciti illecitamente, dopo l’entrata in vigore della convenzione, da un Paese membro. In aggiunta è proibita l’importazione o esportazione di un bene culturale rubato da un museo o istituzione pubblica di un Paese membro. I beni oggetto di violazioni a tali disposizioni e dietro richiesta dello Stato di
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A. Lo Monaco, Sulla restituzione di beni culturali rubati all’estero secondo la
Convenzione dell’UNESCO, in Rivista di Diritto Internazionale, Giuffrè,
provenienza dovranno essere restituiti. La domanda di restituzione va indirizzata per via diplomatica e il Paese richiedente è tenuto ad esibire prove a sostegno della domanda di restituzione. Viene previsto l’obbligo di applicare misure adeguate per porre sotto sequestro e in seguito restituire i beni.
Lo Stato richiedente il bene è chiamato al pagamento di un equo indennizzo a favore dell’acquirente in buona fede. A riguardo dell’indennizzo non viene fornita alcuna informazione circa la sua quantificazione, non viene precisato se l’ammontare dell’ indennizzo debba corrispondere o meno al prezzo del bene culturale rubato. La procedura di restituzione deve essere considerata supplementare rispetto all’azione di rivendicazione e non sostitutiva della stessa. Ciò spiega perché sia stato possibile fissare una norma uniforme di diritto privato, come quella sulla corresponsione di un equo indennizzo a favore dell’acquirente in buona fede del bene rubato, dato il contrasto tra ordinamenti di common law ed ordinamenti di diritto civile circa la prevalenza dell’interesse a proteggere il soggetto che è stato privato del bene o dell’interesse a proteggere l’acquirente in buona fede del bene rubato. 112. Le modalità della restituzione vengono rimesse a ciascun Stato parte.
Nella Convenzione UNIDROIT i due campi, quello della restituzione dei beni culturali rubati e quello del ritorno dei beni culturali illecitamente esportati, vengono trattati in due diversi capitoli. Analizzando il tema della restituzione la Convenzione UNIDROIT
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F. Marrella, Le opere d’arte tra cooperazione internazionale e conflitti armati, Cedam, Padova, 2006.
sceglie di fornire uno strumento efficace nella lotta al costante aumento dei furti di beni culturali che alimentano il mercato clandestino riuscendo a risolvere in modo netto l’opposizione che viene a crearsi tra l’interesse del proprietario derubato e quello dell’acquirente in buona fede. La Convenzione nella formulazione degli articoli è molto attenta a tutte le implicazioni di diritto privato comparato al fine di evitare difficoltà interpretative connesse ai diversi ordinamenti giuridici.
La Convenzione impone al possessore di un bene culturale rubato, inteso come sottrazione illecita di un bene dal luogo in cui era fino al momento del furto, l’obbligo di restituzione. Il proprietario è il solo legittimato ad agire. L’azione di restituzione, sia nel caso in cui l’attore è un privato sia nel caso in cui è lo Stato, deve essere esercitata attraverso canali giuridici ordinari predisposti nello Stato in cui è situato il bene. L’onere di dimostrare l’origine del bene è a carico dello Stato richiedente. Viene prevista la corresponsione di un indennizzo a favore del possessore che abbia agito con la necessaria diligenza al momento dell’acquisto.113 I criteri utili a dimostrare la dovuta diligenza possono essere la consultazione di registri o il prezzo pagato.
Si evince subito la volontà di abbandonare alcuni termini usati nella Convenzione del 1970 a favore di altri più neutri e ampi quindi più adattabili alle diverse definizioni contenute nei diversi diritti interni. Scompare, infatti, la differenziazione tra “acquirente in buona fede” e “colui che detiene legalmente il bene”, in quanto si tratterrebbe di una distinzione molto problematica e di non facile applicazione negli ordinamenti di common law, e si preferisce utilizzare il termine
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G. Carducci, Complémentarité entre les Conventions de l’UNESCO de 1970 et
“possessore”. Allo stesso modo si sceglie di ricorrere all’espressione “dovuta diligenza” piuttosto che “buona fede” per favorire l’attenzione sul concetto di possesso e non su quello di proprietà ma anche perché dimostrare la dovuta diligenza è molto più impegnativo rispetto a quella riferita alla buona fede.
Il diritto all’indennizzo verso il possessore che deve restituire il bene rubato, peraltro già presente nella Convenzione UNESCO, è stato inserito per andare incontro a tutti gli ordinamenti di diritto civile che tutelano il possessore in buona fede. Questo però deve essere subordinato alla prova della dovuta diligenza dell’acquirente. In materia di traffico illecito si tratta di una delle misure giuridiche più efficaci. Al fine di ottenere l’indennizzo, è necessario che l’acquirente dimostri che non era a conoscenza del fatto che il bene fosse rubato e di aver agito al momento dell’acquisto con la dovuta diligenza. Sarà compito del giudice accertarsi dell’esistenza di questi elementi e per stabilirlo si terrà conto del prezzo pagato, delle persone coinvolte, e se il possessore abbia consultato preventivamente registri o documenti recanti elenchi e informazioni su beni rubati o organismi ai quali lo stesso poteva accedere. Il pagamento dell’indennizzo deve avvenire da parte del proprietario richiedente al possessore del bene ma non viene preclusa al proprietario la possibilità di rivalersi per il rimborso su una persona diversa. Il pagamento deve essere conforme alla legge dello Stato in cui è proposta la domanda di restituzione e l’ammontare della somma non deve necessariamente corrispondere al prezzo pagato o al valore del bene sul mercato ma è da determinare secondo equità.114
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D. Amirante e V. De Falco, La tutela e valorizzazione dei beni culturali, G. Giappichelli Editore, Torino, 2005.
Il ritorno dei beni culturali illecitamente esportati viene affrontato nel capitolo III della Convenzione. Affinché sorga l’obbligo di ritorno è necessario che il bene appartenga ad un Paese parte della Convenzione e che l’esportazione del bene dal Paese di origine comporti un danno alla conservazione del bene stesso o al suo contesto, alla sua integrità nel caso si tratti di un bene complesso, alla custodia di informazioni scientifiche o storiche attinenti al bene o all’uso del bene da parte di una comunità. L’obbligo di ritorno può essere legato anche alla dimostrazione che il bene esportato abbia per lo Stato richiedente un’importanza culturale. In quest’ultimo caso, però, la motivazione è così generica che lascia incerto se costituisca una condizione sufficiente o meno a sostegno di una domanda di restituzione. Chi ha usato la dovuta diligenza nell’esportare il bene, che sarà dimostrata dalla presenza del certificato di esportazione avrà diritto ad un equo indennizzo che sarà pagato dallo Stato richiedente.
Anche nel caso del ritorno del bene culturale illecitamente esportato viene riconosciuto un indennizzo da parte dello Stato richiedente al possessore che non sapeva e non poteva sapere che il bene era stato esportato illecitamente. L’indennizzo però non è dovuto se il Paese richiedente riesce a provare che il possessore non ha usato la dovuta diligenza, cioè che al momento dell’acquisto sapeva che il bene culturale era stato esportato illecitamente. Per la valutazione viene accertata la presenza o meno del certificato di esportazione.
Infine l’acquirente può decidere d’accordo con lo Stato di rimanere proprietario del bene o di trasferirne la proprietà, a titolo oneroso o gratuito, ad una persona di sua scelta residente nello Stato richiedente e che sia in grado di fornire tutte le garanzie necessarie. Questa norma riesce a tutelare il possessore privato e il suo Stato di cittadinanza ma
anche l’interesse dello Stato richiedente che ha la possibilità di far rientrare nel suo territorio il bene illecitamente esportato pur non avendo la somma necessaria pari all’ammontare dell’indennizzo.115