PARTE SPERIMENTALE
14.0 OBIETTIVO DELLA RICERCA
E’ ormai noto come i regimi terapeutici oggi disponibili siano in grado di inibire la replicazione di HIV-1 fino a valori di RNA virale nel plasma non più quantificabili, ma ciò non rappresenta una misura sicura ed assoluta di successo terapeutico con eradicazione progressiva dell’infezione. Il virus dell’HIV può, infatti, persistere, nella forma integrata, in numerosi distretti tissutali (linfonodi, cervello, organi sessuali) e cellulari (cellule della memoria immunitaria a vita lunghissima quali i linfociti CD4 resting) che costituiscono dei veri e propri serbatoi virali, difficilmente penetrabili dai farmaci antiretrovirali. Da questi siti “protetti” il virus può risvegliarsi e riprendere a replicarsi. Pertanto, la presenza di cellule latentemente infette, serbatoio pronto a produrre nuovo virus una volta che venga a mancare l’effetto farmacologico della terapia, ha stimolato numerosi studi sui reservoir virali e sul loro significato.
Numerosi dati, infatti, evidenziano come i livelli di DNA provirale persistano per lunghi periodi di tempo, rappresentando il reservoir reale dell’infezione, che continua cronicamente a dispetto delle terapie attualmente applicate. Questo reservoir gioca un ruolo essenziale nella patogenesi dell’infezione. La quantificazione del DNA provirale, rappresenta, pertanto, un elemento importante nel monitoraggio del paziente infetto. Molti lavori indicano una relazione tra il livello del DNA provirale e l’esito della terapia, mettendo in evidenza una maggiore probabilità di ottenere un successo virologico e di mantenerlo a lungo nei pazienti che iniziano i diversi protocolli terapeutici quando i livelli di DNA sono modesti. Negli adulti, infatti, alti livelli di DNA sono correlati ad una progressione dell’infezione[106]. Studi paralleli dimostrano che la presenza di un livello consistente di DNA provirale anche nei soggetti aviremici rappresenta un marker significativo sia per esplorare i reservoir virali sia per avere indicazioni relative all’impatto a lungo termine della terapia antiretrovirale [90].
Molto meno numerose e stringenti sono le evidenze sul significato potenziale del DNA non integrato, la cui determinazione viene effettuata con metodi molecolari volti ad evidenziare in particolar modo la forma circolare con due LTR.
Dopo la retrotrascrizione, le molecole lineari di cDNA sintetizzate vengono traslocate nel nucleo ed una piccola percentuale di tali forme danno origine a due molecole circolari di
DNA virale non integrato: l’1LTR e il 2LTR, che rappresentano i marcatori di traslocazione nucleare. La forma lineare persiste sia nel citoplasma che nel nucleo e in seguito a stimoli di attivazione si integra nel genoma cellulare.
Il pool di HIV-1 DNA (Fig. 14) è caratterizzato, pertanto, da:
• un DNA non integrato o extracromosomico, rappresentato dalla forma lineare (cDNA lineare) e dalle due forme circolari 1LTR e 2LTR;
• il DNA integrato.
Diversi studi hanno focalizzato la loro attenzione sul significato della presenza del DNA non integrato che sembra essere la forma meno stabile rispetto al DNA integrato, il cui livello rimane piuttosto costante nel corso dell’infezione[76]. Tale forma transitoria è stata correlata ad una infezione de novo dei linfociti T CD4, mentre una diminuzione dei livelli della forma circolare viene correlata con l’efficacia terapeutica.
Due sono le forme di latenza descritte [86] nei linfociti T CD4 resting (non attivi):
• la pre-integrazione che si verifica quando le cellule resting infettate presentano il cDNA nel citoplasma ed in assenza di stimoli esterni che le attivino, non sono in grado di produrre progenie virale. Esse si trovano quindi in uno stato di quiescenza e la forma predominante di DNA è quella extracromosomica.
• la post-integrazione che si ha quando le cellule infettate sono attivate e quindi si verifica la traslocazione del cDNA nel nucleo e la sua integrazione nel genoma cellulare, che può rimanere trascrizionalmente silente[87].
Fig. 14: Ciclo replicativo di HIV-1 che mostra la formazione delle forme circolari 1LTR e 2LTR e del provirus integrato (Clin Infect Dis. 2002)
Ulteriori studi longitudinali sono richiesti per valutare la stabilità di tali forme e per determinare se la presenza o l’ assenza della forma 2LTR sia predittiva della soppressione della viremia. La valutazione del DNA non integrato 2LTR in campioni sequenziali di PBMC potrebbe, in diversi casi, fornire importanti indicazioni.
A tale proposito l’obiettivo del nostro studio è stato quello di valutare l’andamento di entrambi i parametri DNA totale e DNA episomiale, in un gruppo particolare di pazienti HIV-1 infetti, sottoposti a trapianto di fegato, al fine di osservare il loro andamento nel tempo in relazione al loro stato clinico, al numero dei linfociti T CD4 e alla viremia plasmatica, per poter comprendere le diverse indicazioni che questi parametri possano fornirci. In particolare abbiamo focalizzato l’attenzione sul DNA 2LTR, al fine di valutare come tale parametro possa acquisire un ruolo rilevante nel follow-up del paziente HIV-1 infetto.
Allo stato attuale delle conoscenze, sicuramente il trapianto d'organo in soggetti con infezione da HIV rappresenta ancora una realtà piuttosto complessa che rende
indispensabile la coesistenza, presso i centri trapianto, di competenze plurispecialistiche in grado di garantire una gestione corretta della terapia antirigetto e delle problematiche correlate all'infezione da HIV.
La valutazione quantitativa del viral load DNA diventa, quindi, un obiettivo di un certo interesse che può avere delle ripercussioni nella valutazione della terapia e portare ad una maggiore comprensione sull’evoluzione dell’infezione.
Nonostante l'uso diffuso delle tecniche di biologia molecolare, mancano - a tutt'oggi - metodi standardizzati per la misura del DNA provirale, almeno nelle due forme più significative, totale e non integrato. Al fine di ottenere una metodica i cui risultati possano avere un significato applicabile alla clinica, è stato creato un gruppo di lavoro (Gruppo di Studio DNA Provirale) che possa fornire indicazioni sia sulla metodologia sia sulla applicabilità del metodo.