• Non ci sono risultati.

In occasione della refutazione del borgo, l’officiale camerale non si limi- limi-tò infatti ad interrogare i soliti lavoranti dipendenti bensì rivolse le sue

Fortune (e sfortune) della feudalità in terra lombarda: il marchesato dei Manriquez de Mendoza, 1580-1759

41 In occasione della refutazione del borgo, l’officiale camerale non si limi- limi-tò infatti ad interrogare i soliti lavoranti dipendenti bensì rivolse le sue

de’ Beni stabili, nelle Calamità di oggi giorno il rimanente delle entrate ne pure basta al misurato, e puro necessario mantenimento della Famiglia per il vitto quotidiano». ASMi, Finanza reddituari, c. 556.

41 In occasione della refutazione del borgo, l’officiale camerale non si limi-tò infatti ad interrogare i soliti lavoranti dipendenti bensì rivolse le sue domande direttamente al notaio delle due famiglie contraenti, il quale dettagliatamente ragguagliò la Camera sulle rispettive situazioni familia-ri e patfamilia-rimoniali: «Sarebbe manco male che non conoscessi li signofamilia-ri mar-chesi fratelli Manriquez, consiglieri milanesi. Il marchese Francesco è fra-tello maggiore, ma non ha moglie; il secondo signor don Giovanni è or-dinario del Duomo, et il terzo è il signor don Diego, quale ha moglie e

Constatato come la Casa Manriquez fosse ancora

«ben provvista di prole maschile onde s’allontana qualonque dub-bio che il contratto fosse per pregiudicare al Fisco nell’evitare pros-sima devoluzione vedendo ben consistente la linea del possessore»

la Camera, consultato il Fisco, e «ponderate oltre la pratica le circo-stanze, non ebbe difficoltà all’approvazione del contratto»42 ma, a

ranta, et don Diego haverà in circa anni trentacinque. Don Diego ha per moglie una figlia del marchese Magenta altre volte maritata nel marchese questore Roba, e si chiama la signora Donna Laura, dalla quale il detto don Diego ne ha avuto, sei mesi or sono, un figlio che pure si chiama don Giovanni. [...] No signore che detto don Diego non ha altri figlioli atteso che è solo un anno che ha preso moglie. Sì signore che detto marchese don Francesco possiede in questo stato delli feudi che sono il feudo di Desio con sue Terre adiacenti, ma di queste ne ha alienate diverse il mar-chese don Giovanni padre de detti fratelli Manriquez. Oltre li detti fratelli Manriquez so che vi sono delli altri, ma questi sono tutti religiosi e pro-fessi. Un loro fratello è Bernabita, altre de Padri de Sant’Ambrogio Mag-giore, et altro è di San Alessandro, e più una professa nel Monastero della Maddalena. […] Io di presente so che detto marchese don Francesco uni-tamente con li suoi fratelli vuol vendere la Terra di Seregno mediante la facoltà reale al marchese Paolo Gerolamo Castelli. Sì signore che subito sarà estinta la linea mascolina da detti marchesi Manriquez, sarà detto feudo di Desio con tutte le altre Terre adiacenti devoluto alla Regia Ca-mera. [...] Sì signore che conosco benissimo il signor Castelli quale è mari-tato nella signora Francesca Caterina Besta turinesa. Detto marchese si chiama Paolo Gerolamo et ha un figlio maschio et tre femmine. Il ma-schio si chiama Francesco Antonio et è di anni nove in circa, et le femmi-ne una si chiama Marianna di anni sei, altra Vittoria di anni cinque, et al-tra Angelica di età di un anno. Il detto marchese Castelli haverà anni qua-ranta in circa; la moglie pure. Sarà più di quindeci anni che detto marche-se è maritato. Detto signor marchemarche-se Castelli è persona benestante e si tratta con ogni onoreficenza e fa continui acquisti». ASMi, Feudi camerali p.a., c. 561: Seregno, pieve di Desio, 1713; cfr. anche c. 99: Bollate, 1733; c. 411: Nova e Cassina Meda, 1732.

differenza di quanto si era verificato per le precedenti refutazioni, subordinò il proprio assenso a due condizioni: il pagamento, come al solito, del “donativo” a carico dell’acquirente marchese Castelli, e la “surrogazione” del valore dei fuochi refutati con altrettanti beni immobili allodiali a carico dei “refutanti”.

Così, quando nel 1713 i fratelli Manriquez – il marchese don Francesco ed i conti don Giovanni e don Diego – decisero di ven-dere il feudo di Seregno e le cascine ad esso aggregate al marchese Paolo Gerolamo Castelli, venne loro imposto,

«trattandosi di alienazione volontaria, di surrogare altrettanti beni allodiali di ugual valore del detto feudo come sopra d’alienarsi […] per cautelare l’interesse de loro discendenti chiamati nell’investitura e l’interesse della Regia Camera medesima in occa-sione di devoluzione. Così detti fratelli Manriquez offeri[ro]no di surrogare tanta parte della Casa da nobile che posse[deva]no in questa città di Milano in parrocchia di Santa Eufemia»43.

Vincolata quindi la vendita dei fuochi che componevano il borgo alla permuta di tanti beni allodiali in feudali quanto era l’effettivo valore dei fuochi refutati, stimata la casa “da surrogarsi” 44 e,

43 Ibidem.

44 Secondo l’Indice delle surrogazioni fatte dalla nobile Casa Manriquez di Mendoza per i Feudi e regalie feudali alienate fatto per ordine dell’Illustrissimo conte Senatore reggente don Gabriele Verri, compilato nel 1754, il valore del-la Casa da nobile surrogata in occasione deldel-la refutazione e rinfeudazione del feudo di Seregno era da stimarsi intorno alle 65.000 lire imperiali. L’indice alla voce «Surrogazioni fatte dalla Casa Manriquez de Mendozza per feudi refutati l’anno 1713 agosto 21» è inoltre così chiosato: «Stima della Casa da nobile sita in Milano nella contrada della Rugabella parroc-chia di Santa Eufemia fatta dall’ingegnere camerale Giuseppe Maria de Robecco in lire 65.000 proposta surrogarsi al feudo di Seregno, pieve di Desio di numero 424 fuocolari, venduto al signor marchese Paolo Gero-lamo Castelli. Da questa stima non si ricava se sia tutta, o solamente in parte la riferita casa surrogata. È verisimile che la surrogazione non

hab-prattutto, accertato che l’immobile fosse libero da ipoteche, vincoli dotali o “fidecommissi ascendenti”45, la Camera si dichiarava favo-revole alla conclusione della transazione.

Analoga, un ventennio più tardi, nel 1732, la procedura applica-ta in occasione dell’alienazione del feudo di Nova a favore di Ca-millo Rovelli, «patrizio comasco, di recente graziato del titolo di

zione dei focolari fosse stata regolata sul piede stesso di quelli di Nova e di Bollate, come si esporrà in appresso vale a dire in ragione di sole lire 41, in tal caso si sarebbero dovute surrogare se non lire 17.384». ASMi Feudi Camerali p.a., c. 35: Surrogazioni, 1713-1749.

45 Così infatti l’agente di Casa Manriquez rispondeva ai quesiti dell’officiale camerale: «[…] La Casa ove habitano questi signori marchesi don Francesco, don Giovanni, ordinario del Duomo, e don Diego fratelli Manriquez è loro propria, essendo questa stata acquistata da un loro a-scendente. Questo lo so per averlo qui più volte sentito a dire dal mar-chese don Francesco e dal fu marmar-chese don Giovanni padre delli detti fra-telli. No signore che non so il prezzo che di quel tempo sii stata pagata questa Casa. Io ho sempre veduto ad abitare questa Casa dalli detti padre e figli Manrichi et non è mai stata affittata ad altri. Ma se questa Casa la volessero affittare io credo che per essere molto grande e comoda con giardino si affitterebbe almeno a lire 1.600 1.700 e più». Ibi, c. 561: Vendita del feudo di Seregno refutato dai marchesi Manriquez, 1713. Simile la re-lazione dell’ingegnere camerale: «Perciò in virtù dell’ordine mi sono por-tato alla visita, misura e stima della Casa, essendovi presente il signor Antonio Meda per i marchesi e fratelli Manriquez, e il signor Agostino Franti per il marchese Paolo Gerolamo Castelli, quale Casa è sita nella Contrada Rugabella in Porta Romana, parrocchia di Santa Eufemia, et è habitata dai medesimi marchesi Manriquez, […] et qual Casa havuto ri-guardo al suo sito, alla sua stazza e qualità, et con vista delle informationi dal notaro camerale prese, et havuto riguardo alle molte riparazioni che vi bisognano nella medesima, havendo dedotto tutto ciò si deve dedurre anche per rispetto delle tasse, abbenechè di presente queste non si paga-no atteso l’esenzione delli dodici figli, che si gode dal detto marchese don Giovanni [il padre dei tre fratelli Manriquez refutanti] l’estimo di valore netto pari alla somma di lire 65.000». Ibi, c. 35: Surrogazioni.

marchese»46. Più particolare invece l’iter seguito quando i Manri-quez manifestarono l’intenzione di vendere anche

«il feudo di Bovisio e sue Cassine ascendenti al numero di fuocola-ri circa cento, ché detto feudo sia per loro di nessun utile e per altro resti provvista all’honorificenza della loro Casa con altri feudi che le restano»47,

col patto di investirne don Pietro Citterio. Oltre a valutare la quota di donativo da richiedersi per l’approvazione del trapasso, oltre a richiedere ai refutanti la oramai ordinaria permuta di beni allodiali in feudali per un valore esattamente pari a quello delle terre che si intendevano refutare, e ancora oltre a valutare le condizioni di tra-passo richieste dall’interessato acquirente, la Camera poneva l’accento sull’oggetto della transazione, consistente nei soli fuochi di Bovisio, nonostante i Manriquez fossero titolari anche delle re-galie annesse, ed invitava il Fisco a riflettere su tali aspetti48 e so-prattutto su

46 In questo caso i fratelli Manriquez per concludere la transazione con il marchese Rovelli, «ancor fil di familia», sottoposero a vincolo feudale di-versi fondi siti nel territorio di Senago, pieve di Bollate. Ibi, c. 411: Nova e Cassina Meda, pieve di Desio, 1732-1733; ibi, c. 35: Surrogazioni.

47 Ibi, c. 99: Bollate, capo di pieve, 1733: Rifutazione del feudo di Bollate capo di pieve fatta dai marchese don Francesco, don Giovanni e don Die-go fratello Manriquez alla Regia Camera col patto di investirne don Pie-tro Citterio, 25 giugno 1733.

48 «La rifutazione che s’intende farsi dalli nobili signori marchesi fratelli Manriquez del feudo di Bovisio e sue adiacenze, segregate però le regalie annesse, a favore di Don Pietro Francesco Citterio attese le consuete pra-tiche [sottolineava la Camera] eccita le seguenti considerazioni. Le più sostanziali sono:

Il donativo da farsi alla Regia Camera per l’assenso del trapasso, e la su-brogazione di tanti effetti liberi ascendenti al valore del feudo che si vuo-le refutare. Quanto al donativo in varie refutazioni diversi sono anche stati li benefici ritirati dalla Camera sino di lire 12 per fuoco, secondo la

«quello che accade di maggior rimarco nel caso presente: si è la re-tenzione del dazio dell’osteria et imbottato presso la Casa Manri-quez trasferendo il nudo onorifico della giurisditione»49.

Il donativo e la surrogazione garantita dai refutanti «per caute-lare l’interesse de loro discendenti chiamati nell’investitura e l’interesse della Regia Camera in occasione di devoluzione» non erano condizioni sufficienti per autorizzare tale particolare trapas-so: consentire, come si era fatto in precedenza nelle refutazioni sei-centesche, che di un feudo «consistente nella giurisdizione di tutti gli uomini sottoposti a minore magistrato», nel diritto di riscuotere i dazi vecchi e nuovi di pane, vino, carne, l’imbottato, la ragione di fare osteria, il bollino, in generale le regalie ad esso annesse, potes-sero essere refutati e quindi rinfeudati i soli fuochi, avrebbe avvan-taggiato la sola parte refutante e, soprattutto, non avrebbe garanti-to gli interessi della Camera qualora il feudo refutagaranti-to fosse rientra-to per estinzione della nuova famiglia feudale.

Ed essendosi rivelate vane le ripetute suppliche ed i reiterati ri-corsi ed appelli presentati da entrambe le parti contraenti

«per maggiore facilità del contratto, ed espediente delle stesse par-ti, li fratelli marchesi Manriquez e don Pietro Citterio hanno di bel novo considerato di fare il detto trasporto col feudo di Bollate di feudo, che è il carico più essenziale, questo riguarda l’indennità della Camera mancata la linea dei primi investiti, e de chiamati attesa a refuta-zione, ed alienatione del feudo, et ricerca de beni affatto liberi e corri-spondenti al preciso valore dello stesso che si trapassa fatte le congrue deduzioni. […] Resta per infine a riflettere il sistema delle investiture, che si vorrebbe alla norma delle Nuove Costituzioni con l’estensiva al nipote del detto Citterio, in caso di non avere figli maschi legittimi. Ma sembra al notaro camerale il caso presente vantaggioso alla Camera di quello del feudo di Nova, dove il marchese Rovelli di freschissima età, lo ebbe anco per il fratello, e sua discendenza maschile. Però per quanto sia à notizia il detto Citterio non ha figli et in caso di separarne così facilmente attesa la sua avanzata età» Ibidem.

fuochi circa 90, quale non ha regalia congionta, e questo con le stesse condizioni della subrogazione per parte di detti fratelli Man-riquez, ed all’offerta di lire 12 per fuoco per parte del detto Citte-rio, regolando l’investitura alla norma del primo ricorso, e nel resto nella forma che fu concesso al marchese Rovelli il feudo di No-va»50.

È chiaro come da metà Seicento e sempre più nel corso del seco-lo successivo seco-lo Stato si sforzasse di rientrare in possesso delle rendite fiscali cedute o vendute e, se pur di nuovo appaltandole, di liberarle da antichi vincoli feudali.

Ancora nei primi decenni del Settecento la politica di parcelliz-zazione degli antichi feudi cinquecenteschi era quindi vista con fa-vore dallo stato poiché grazie soprattutto alla surrogazione si era reso possibile percepire una sorta di doppia entrata economica: il pagamento del donativo e la garanzia di poter mantenere invariato il valore del feudo parcellizzato, in prospettiva di una sua prossi-ma devoluzione per estinzione della stessa famiglia feudale refu-tante.

Tuttavia il rapido affermarsi della monarchia asburgica, tenden-te a smantenden-tellare il particolarismo delle diverse tradizioni locali per creare il grande stato centralizzato, non poté non influire anche sul radicato istituto feudale. In nome del principio accentratore che animava la sua politica senza tuttavia, almeno per tutto il periodo Teresiano, sconvolgere l’ordine sociale e cancellare un istituto che ancora offriva alla monarchia una buona fonte di reddito ed un u-tile mezzo attraverso cui legare a sé – con il conferimento del titolo nobiliare vincolato, per il solito, al possesso del feudo – il nuovo ceto dirigente emergente, lo stato asburgico incominciò progressi-vamente a svuotare il feudo di ogni contenuto economico, avocan-do a sé le regalie ordinarie. Quindi se da un lato, come si è detto, la politica di parcellizzazione degli antichi feudi cinquecenteschi, nella prima metà del Settecento, veniva ancora considerata dalla monarchia come un affare redditizio, dall’altro la refutazione dei

soli fuochi componenti un feudo con regalie annesse – come ap-punto quello di Bovisio – non poteva essere approvata: tale proce-dimento era ora recepito come un eccessivo e inopportuno svuo-tamento dell’istituto feudale.

A partire dalla metà del Settecento il feudo dei Manriquez perse quell’appetibilità che lo aveva caratterizzato nel secolo precedente. Nel 1779 con un diploma interinato il 13 marzo dell’anno seguen-te, Maria Teresa concedeva alla famiglia, qualora il feudatario Lu-dovico fosse morto senza discendenza maschile, la possibilità di trapassare il feudo – allora ridotto al borgo di Desio ed alle terre di Bovisio, Cassina Aliprandi, Castellazzo, Cinisello, Lissone, Mug-giò, Senago e Senaghino – al consigliere conte Pietro Secco Com-neno, suo genero, «col titolo di marchese, per sé e suo figlioli legit-timi primogeniti nati e nascituri» dalla moglie Laura Manriquez, senza però le regalie ad esso connesse ed i fondi surrogati nelle precedenti alienazioni51.

Il feudo era oramai istituto svuotato di poteri e vantaggi, i suoi diritti fiscali e giurisdizionali erano stati tutti revocati a sé dallo stato.

51 Cfr. Ibi, c. 238: Desio capo di pieve.

IV