• Non ci sono risultati.

Tra quelli oggettivi rientrano:

riconoscimento dell’utilità da parte della PA stessa come presupposto per l’esercizio dell’azione (cfr. Cass. 24 luglio 1953 n. 2500 e Cass. 14 agosto 1953 n. 2747). L’ipotesi più ricorrente resta quella del cd. funzionario di fatto: sul punto, cfr. CASELLA, cit., 5-6: “Non sempre è inammissibile la gestione, in nome di un ente pubblico, da parte di un soggetto (cd. “funzionario di fatto”) che compie atti amministrativi in difetto di investitura: talvolta gli atti da lui compiuti sono riconosciuti validi da espresse norme di legge o non sono invalidabili per difetto di interesse dell’amministrazione a rimuoverli”. Per PANE (cit., 178 ss.) il problema dell’applicabilità della gestione d’affari alla PA “ha incontrato e, ancora di recente, incontra non poche resistenze che sostanzialmente si fondano sul concetto di discrezionalità amministrativa. Infatti, come più volte affermato, il riconoscimento dell’utilità, ovvero del vantaggio pubblico che dall’attività di gestione può derivare, in quanto apprezzamento discrezionale e tecnico, sfugge alla competenza del giudice, dovendosi farsi più concretamente rientrare tra i compiti propri della PA”. Tuttavia questo resta il terreno in cui è più agevole dare alla negotiorum gestio nuova linfa nel diritto privato, stante la perdurante inerzia o ritardo delle amministrazioni pubbliche in situazioni critiche o di emergenza: né si vede perché il concetto di discrezionalità amministrativa valga di per sé a diversificare il caso da quello dell’ingerenza di un privato nella sfera di altro privato. Contra, recentemente, T.A.R. Campania sentenza n. 1138/2012: “Quando il dominus dell’affare non è una persona fisica, occorre aver riguardo, per valutare se sussista o meno quella paralisi di attività richiesta per la gestione, all’organo cui spetta la competenza di compiere l’atto, e nell’ipotesi in cui il dominus sia la PA, l’absentia (…) non può essere considerata ricorrente solamente a causa dei modi e dei tempi di deliberare e di operare della PA, anche se ciò può comportare ritardi e disfunzioni nello svolgimento di talune attività”.

280 Preliminare è la definizione di atto di gestione, su cui vedasi PANE, cit., 106

ss. Si è assistito col tempo ad un progressivo ampliamento degli atti che possono essere oggetto della gestione d’affari, posto che dapprima si ritenevano inclusi solo quelli cd. di ordinaria amministrazione attesa l’esigenza di garantire una funzione dell’istituto meramente conservativa del patrimonio dell’interessato. Oggi si ritiene che vadano esclusi con certezza i soli atti cd. personalissimi, quindi tra gli altri le donazioni e il testamento, i cui effetti richiedono una manifestazione di volontà ed una condotta riferibili unicamente al titolare della situazione giuridica soggettiva.

l’impossibilità di intervenire da parte del soggetto

gerito (absentia domini)

281

l’alienità dell’affare, rectius dell’interesse

282

l’utilità dell’inizio della gestione (utiliter coeptum)

• la spontaneità dell’intervento

283

281 Nel vigore del codice del 1865 questo requisito era inteso in modo rigoroso,

conforme alla tradizione romana: era necessaria non solo l’absentia, ma anche l’inscientia domini, poiché grazie alla consapevolezza del dominus sarebbe stato possibile configurare un mandato tacito. Con l’intervento della giurisprudenza si è molto attenuata la nozione di assenza fisica (detto che il legislatore si riferisce a questa accezione semmai col termine ‘lontananza’) per lasciare il posto a un concetto più vicino alla semplice impossibilità a provvedere: fino a spingersi (Bianca) a identificare l’absentia con l’assenza di un esplicito divieto di intervento (prohibitio domini). Cfr. anche CASELLA, cit., 2: “Occorre che l’interessato alla gestione dell’affare ‘non sia in grado di provvedervi esso stesso’. Principio fondamentale è quello della libertà di autodeterminazione degli interessi privati che l’ordinamento, anche per considerazioni di pubblica utilità, assicura a ogni soggetto capace. Se ne deduce che soltanto l’impossibilità materiale che impedisce al dominus la cura dei suoi interessi, legittima l’intervento del terzo, con intenti altruistici (…). Impossibilità che postula un oggettivo distacco del dominus dalla sua sfera giuridico-patrimoniale (…). Se è stato necessario od opportuno un intervento spontaneo di un terzo in un affare altrui, se ne deduce che il dominus doveva essere impedito a intervenire direttamente. E la salvaguardia dell’autonomia individuale tende a farsi meno gelosa e rigida, perché ben può il privato subire limitazioni e interferenze nell’esercizio dei suoi diritti, se ciò gli consente una vantaggiosa cura dei suoi interessi”. Da queste righe emerge il concetto per cui la limitazione della libertà di un individuo è in realtà una misura che può andare a soddisfare il suo stesso interesse. Si veda anche Cass. 9 aprile 2008 n. 9269: “L’elemento caratterizzante della gestione d’affari consiste nella spontaneità dell’intervento del gestore nella sfera giuridica altrui, in assenza di qualsiasi vincolo negoziale o legale. Tale requisito si rinviene non solo quando l’interessato sia nella materiale impossibilità di provvedere alla cura dei propri affari ma anche quando lo stesso non rifiuti, espressamente o tacitamente, tale ingerenza da parte del negotiorum gestor”.

282 Col tempo, si è tuttavia ammesso che possa sussistere un concorso di

interessi tra gestore e dominus, purché l’interesse di quest’ultimo sia preponderante. Cfr. sul punto Cass. 18 aprile 1985 n. 2577 e Cass. 13 febbraio 1978 n. 667. Tuttavia non può trattarsi di interesse in conflitto con quello dell’interessato (cfr. Cass. 22 dicembre 2004 n. 23823).

283 Ricompreso tra i caratteri oggettivi anziché tra quelli soggettivi perché per

spontaneità deve intendersi l’oggettiva assenza di un obbligo di agire (rectius, anche pensando ad adempimenti spontanei di obbligazioni non coercibili quali quelle naturali: assenza di coazione giuridica, cfr. BARBERO, Sistema

Unico requisito soggettivo è invece l’intenzione o

Documenti correlati