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L’oggetto transizionale

Nel documento Se vuoi essere un vero psicoanalista… (pagine 76-87)

• L’oggetto transizionale viene quindi progressivamente dimenticato.

• Può rimanere nell’adulto nella consapevolezza di mantenere un “luogo di riposo”, ove lasciar

fluttuare la mente e giocare con le proprie idee.

Oppure come spazio del gioco, della creatività, del sentimento religioso, ma anche della perdita del sentimento affettuoso, dell’assuefazione alla droga, dei rituali ossessivi.

• W. distingue a tal proposito l’oggetto transizionale dall’oggetto feticcio o oggetto tossico.

Quest’ultimo mantiene il soggetto in uno stato di continua dipendenza, distoglie da sé e dalla

realtà esterna.

• La parte principale della vita degli adulti, degli adolescenti, dei bambini e dei lattanti si svolge

all’interno di quest’area intermedia, a metà strada fra soggettività e oggettività, sogno e realtà. La stessa civiltà può essere descritta a partire da questa visuale. Nei fenomeni transizionali

occorre accettare il paradosso che collega la realtà interna a quella esterna. Non chiediamo mai dell’orsacchiotto del bambino (che è un

simbolo della disponibilità materna) se è stato creato o se era già lì.

• Negli adulti l’area transizionale è l’area degli interessi culturali, lavorativi, religiosi, politici, artistici ecc.

• Tutto è «transizionale» in quanto «abitiamo» la realtà non passivamente, subendola, ma in modo attivo, tentando di comprenderla da nostro punto di vista: non ci sono «cose», ma le cose come sono per noi, pur restando «cose» esterne,

«reali», non costruzioni soggettive.

– Chi crea utilizza la propria spontaneità originaria, il proprio peculiare punto di vista, la propria prospettiva ma si «connette» con la realtà: la creazione è, così, un qualcosa di oggettivo-soggettivo

– Anche l’umorismo può essere visto come un

fenomeno transizionale in quanto chi ride si distacca per un attimo dal dato oggettivo e lo rilegge secondo la propria prospettiva; c’è un guizzo di onnipotenza nell’umorismo, un qualcosa di «antidepressivo» in

quanto chi fa umorismo non accetta di essere passivo:

pur stando dentro la realtà, la assume in modo soggettivo.

Comunicare o non comunicare? (Winnicott 1963)

Nell’ambito della salute esiste un nucleo della personalità che corrisponde al vero Sé. Ritengo che tale nucleo non comunichi mai direttamente con il mondo degli oggetti percepiti e che l’individuo sappia che questo nucleo non deve entrare in comunicazione con la realtà esterna né venirne influenzato. Sebbene le persone sane comunichino e amino comunicare, è anche vero che ogni individuo è un essere isolato che non comunica in modo permanente, in permanenza sconosciuto e mai realmente scoperto.

[…] Al centro di ogni persona c’è un elemento incomunicabile, inviolabile, che è sacro e va preservato. Le esperienze traumatiche, che portano all’organizzazione delle difese primitive, rappresentano una minaccia al nucleo isolato, la minaccia che venga scoperto, modificato e che ci si metta con esso in contatto. La difesa consiste in un ulteriore occultamento del Sé nascosto… Essere stuprati o essere mangiati dai cannibali sono cose di poco conto rispetto alla violazione del nucleo del Sé mediante la comunicazione che si insinua attraverso le difese. …possiamo capire l’odio che la gente ha verso la psicoanalisi, la quale è penetrata assai nella personalità umana e costituisce una minaccia per il bisogno che l’individuo ha di restare segreto e isolato. Il problema è: come isolarsi senza doversi circondare di barriere?

Credo che, inerente in ogni tipo di artista, si possa scoprire un dilemma dovuto alla coesistenza di due tendenze: il

bisogno urgente di comunicare e il bisogno ancora più urgente di non essere scoperto. Ciò potrebbe spiegare la nostra impossibilità a concepire un artista che arrivi alla fine del compito che impegna totalmente la sua natura.

(Winnicott 1963)

Forse non è stata data abbastanza attenzione al fatto che il mistico si ritira in una posizione in cui può comunicare

segretamente con oggetti e fenomeni soggettivi, poiché la perdita di contatto col mondo della realtà condivisa è

compensata da un vantaggio nel sentirsi reale (Winnicott 1963).

Tutto ciò che è profondo ama la maschera; le cose più profonde provano perfino odio per l’immagine e il simbolo […]. Esistono fatti così delicati che si fa bene a coprirli e a renderli

irriconoscibili sotto una grossolanità; esistono atti d’amore e di traboccante generosità, in seguito ai quali non c’è nulla di più

consigliabile di prendere un bastone e picchiare di santa ragione il testimone oculare: e con ciò offuscare la sua memoria […] il pudore è ingegnoso. Non sono le cose peggiore quelle di cui ci si vergogna di più (F. Nietzsche, Al di là del bene e del male, 40).

Ogni profondo pensatore teme più l’essere compreso che l’essere frainteso (F. Nietzsche, idem, 290).

PATOLOGIA: da quanto si è visto, le patologie, per Winnicott, sono essenzialmente patologie del Sé

→ quando c’è un misconoscimento profondo del Sé si incorre nella psicosi e si mobilitano difese profonde per evitare che il Sé possa sperimentare angosce non sopportabili;

→ quando un senso del Sé c’è, allora si hanno disturbi del Sé, che possono essere più o meno gravi a seconda del livello di profondità in cui si è

strutturato il falso sé (si veda dopo);

→ quando c’è deprivazione, ma c’è ancora la speranza di ritrovare la

«madre» (che si cerca fuori perché non la si ha dentro, come madre

«interna») allora ci possono essere tendenze antisociali, che hanno la funzione di appello all’ambiente.

•Il rischio è che le tendenze antisociali diventino «egosintoniche» e che il soggetto pensi di compensare con la «potenza» la sua fragilità. Ciò è pericoloso in particolare in adolescenza quando si deve strutturare un sé adulto. La «madre», può essere rappresentata anche da un’ideologia. Ma dove ci sia l’inconscia certezza di non poterla ritrovare, allora quell’ideologia diventa intoccabile, pena il riprovare angoscia.

– Ciò è da distinguere dal «trionfo sull’oggetto» - di cui aveva parlato la Klein e, in termini diversi, anche Fromm – che nega la dipendenza dall’oggetto e rende il soggetto onnipotente e insensibile.

Il falso sé

– stato patologico. Il falso sé domina la scena. Ci sono attori che sanno solo recitare, perché quando non recitano non si riconoscono come

esistenti. Ma nei rapporti profondi?;

– stato di confine. Il falso sé schiaccia il vero sé. Però questo è

riconosciuto, gli viene consentita una vita segreta. Questo può avvenire per difendere la persona da condizioni ambientali anormali. La malattia può rappresentare un «discorso» del Vero Sé;

– stato della sofferenza. Il falso sé si struttura in modo tale da permettere l’emergenza del vero sé fra le incrinature de falso sé. Se questo non

accade, l’esito fallimentare (disperazione) può portare al suicidio.

– stato di fragilità. Il falso sé si struttura sulla base di un comportamento imitativo che non incide profondamente nella costruzione dell’Io. Questo causa una mancanza di integrazione dell’Io che sarà impegnato in uno sforzo continuo per «tenere dietro alla vita», con poche possibilità di sperimentare lo star bene con sé stessi.

– stato di salute. Il falso sé corrisponde all’atteggiamento sociale, alla maschera che tutti i giorni utilizziamo per interagire con gli altri senza mostrarci loro «col cuore in mano».

Nel documento Se vuoi essere un vero psicoanalista… (pagine 76-87)

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