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“Non esistono valori assoluti, poiché non sono le cose che ci impongono il valore ma è l’uomo che attribuisce ad esse determinati valori”11. Ciò significa che

bisogna sempre tenere a mente la ragione della valutazione, lo scopo per il quale essa viene richiesta ed effettuata, poiché questi motivi incidono fortemente sul risultato della stima. Poiché molteplici possono essere le finalità della stima, nel mondo accademico si sono rilevate differenti accezioni del termine “valore”, ovvero l’oggetto di indagine. Si può, infatti, distinguere un valore comune, con il quale si riflette il punto di vista di un generico investitore, che prescinde dalle motivazioni dello scambio e dalle convenienze specifiche delle parti contraenti. Con valore speciale12 si vuole invece identificare il

punto di vista di una singola parte; esso quindi può riflettere il valore di cessione o di acquisizione. Infine, con il termine valore ufficiale si indica la stima ufficiale dell’azienda, vincolante tra le parti contraenti. Quest’ultimo si rende necessario in tutti quei rapporti tra i soci attuali, soci attuali e potenziali, poiché fonte di garanzia sull’esistenza di un certo valore di capitale sia per i soci che per i mercati finanziari.

E’ necessaria però un’ulteriore precisazione per quanto riguarda l’espressione “valore”. Bisogna, infatti, porre l’attenzione sulla differenza tra valore stock e valore

flusso. Nel primo caso si tratta di un concetto di valore statico, poiché legato al

patrimonio aziendale in un determinato istante temporale, frutto dei risultati conseguiti nel passato. Con la locuzione “flusso” si intende, invece, la variazione intervenuta in un determinato periodo di tempo negli stock che costituiscono il capitale dell’impresa. In questo modo si pone l’attenzione sulla capacità della stessa di produrre, in un lasso temporale relativamente breve, determinati flussi di cassa oppure di reddito, a seconda del metodo di valutazione utilizzato (finanziario o reddituale).

Prima di affrontare il tema dei metodi di valutazione, è necessario soffermarsi sull’oggetto dell’analisi valutativa, ovvero il capitale dell’azienda. Tale grandezza può

11 Otto Bredt, “La valutazione delle aziende”, ETAS, Milano, 1991, p.36

assumere, infatti, configurazioni diverse, a seconda delle differenti motivazioni di fondo che spingono ad effettuare le stime. Si può distinguere tra13:

- capitale di costituzione, che è quello determinato in occasione della costituzione

dell’azienda, come conseguenza degli apporti iniziali dei soci. Nessuna questione si pone quando i conferimenti iniziali sono espressi esclusivamente in denaro. Il capitale, in questo caso, assume una veste interamente monetaria e la sua quantificazione non comporta problemi di alcuna sorta. Il tema assume un carattere più complesso, invece, quando oggetto di conferimento sono beni in natura. In detta fattispecie, infatti, si rende necessario un processo di valorizzazione dei beni apportati che sia in grado di contemperare l’esigenza di riconoscere al socio un corrispettivo congruo con quella di evitare che il capitale iniziale sia sovrastimato;

- capitale di funzionamento, che è quello determinato periodicamente, tipicamente in

sede di bilancio di esercizio, al fine di accertarne le variazioni di periodo. Si tratta, essenzialmente, delle valutazioni che vengono operate in sede di bilancio di esercizio sulla base dei principi e dei criteri previsti dalla relativa disciplina. In merito, il punto centrale è costituito dal fatto che il capitale così determinato assume un valore convenzionale, nel senso che deve essere improntato alla luce dei principi come quelli della competenza e della prudenza, adottati in funzione del concetto di integrità del capitale di riferimento;

- capitale di liquidazione o di stralcio, che è quello determinato quando la società cui fa

capo l’azienda viene posta in liquidazione. Si tratta di un capitale composto all’attivo, dai soli assets realizzabili e, al passivo, da tutti i debiti da estinguere;

- capitale economico, che è quello determinato nell’ottica del potenziale investitore, e,

quindi, di norma (anche se non esclusivamente) in vista di operazioni che ne determinano il trasferimento. Il capitale in questa configurazione non è più, come avviene, invece, per il capitale di funzionamento, un aggregato di valori bensì un valore unitario che promana dal flusso dei rendimenti prospettici ottenibili dall’azienda. La stima del capitale economico presenta numerosi momenti di complessità. Essendo questa basata sui rendimenti prospettici e, in particolare, sulla

13 “Dispensa sulla valutazione d’azienda”, Tecnica Professionale, Università degli Studi dell’Aquila, Facoltà di

loro entità, sulla loro distribuzione temporale e, infine, sulla loro qualità, intesa quest’ultima, in termini di rischio che essi possano manifestarsi in una misura diversa rispetto alle previsioni, è immediato che si tratta di un processo essenzialmente estimativo, cristallizzato, come vedremo in seguito, in diversi modelli elaborati dalla dottrina.

Quest’ultimo, il capitale economico, rappresenta la configurazione a cui si fa riferimento quando si pone il problema di stimare il valore dell’azienda. Il concetto di capitale economico, tuttavia, ha un contenuto astratto e generale: esso rappresenta il valore attribuibile all’azienda avuto riguardo alle condizioni operative in essere al momento della stima, prescindendo dalle motivazioni della stessa e dalla posizione dei soggetti interessati.

Valutare il capitale economico di un’azienda significa stimare il valore che essa ha per i detentori del capitale di rischio, dopo averla osservata per come si presenta, indipendentemente da un eventuale suo trasferimento o dalle possibilità soggettive di eventuali terzi potenzialmente interessati a una prospettiva di acquisizione.

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