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Gli omicidi di camorra

Come abbiamo visto la presenza e l’articolazione dei clan di camorra informano

talmente parti della città e dell’hinterland che l’omicidio di camorra connota in

maniera preponderante la forma di violenza usata per la regolazione sia interna che esterna ai clan. L’omicidio di camorra assume una funzione interna quando c’è la

necessità in un clan di risolvere questioni private o di smorzare sul nascere tentativi di ascesa, o risolvere tradimenti. La regolazione esterna attiene alle vendette, ai ten- tativi di espansione di un clan verso un altro, o al controllo di settori e/o attività economiche, o per (ri)conquistare pezzi di territorio persi. Infine, come è noto tra gli studiosi di teoria sociale, l’omicidio può essere utilizzato per distogliere l’atten- zione in una data circostanza. La violenza è più spesso agita che minacciata. La tra- dizionale frammentazione della criminalità campana non ha impedito, tuttavia, ai clan di combinare un uso strumentale della violenza (per esempio per regolare con- troversie e difendere ambiti di mercato) con l’esercizio di un consenso attivato be- neficiando persone, famiglie, giovani marginali.

Non si può sostenere che vi siano clan di camorra più o meno violenti, quanto

che vi sia chi utilizza in maniera più o meno strategica la violenza omicida per rag- giungere i propri obiettivi. Il grado di violenza è funzione del tasso di competizione

Criminalità e sicurezza a Napoli. Secondo rapporto

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presente sul territorio. Se prendiamo il clan Giuliano, ad esempio, uno dei gruppi criminali più longevi della camorra napoletana, la “famiglia-governatorato” come è

stata definita14, che ha dominato dal dopoguerra la scena napoletana da Forcella

andando oltre le zone limitrofe e controllando intere parti della città mediante al- leanze e intese strumentali, si può affermare che il potere e il controllo dei traffici illegali è stato esercitato non ricorrendo necessariamente alle forme più crudeli e ostili, ma elaborando una “omogeneità culturale”, una simbologia ideologica che va oltre una subcultura deviante, assicurando al contempo benessere, lavoro e modelli di consumo a centinaia di famiglie. Questo non vuol dire che il ricorso all’omicidio veniva centellinato. Si pensi all’omicidio nel 1991 di Antonio Capuano conside- rato da sempre il braccio armato dei Giuliano, l’uomo di fiducia di Lovigino: fu

ucciso dal fratello Raffaele Giuliano perché geloso delle attenzioni che questi ren- deva alla moglie Elvira Daniele. Oppure all’omicidio nel 1993 del giovane Nicola Gatti di appena diciotto anni reo di aver insidiato, non protetto e indotto all’uso di droga le due minorenni Gemma e Carmela (detta Milena) figlie di Erminia Giu- liano (detta Celeste), sorella di Luigi Giuliano. O ancora, all’uccisione nel dicembre

del 1996 dell’avvocato Aniello Arcella che, secondo una successiva ricostruzione e per ammissione degli stessi fratelli di Luigi Giuliano, fu ucciso da un gruppo coor- dinato da Raffaele Giuliano perché si era convinti che il penalista spingesse Lovi- gino a collaborare con i magistrati. Cosa che in realtà avvenne nel 2002. E nell’anno

di questo delitto si registravano, intanto, oltre 140 morti in provincia di Napoli quale segnale dell’ingresso di una nuova generazione di clan. E si potrebbe conti- nuare. Questo per sottolineare il carattere aggressivo della camorra in città ma an-

che nella provincia e che colloca l’uso della violenza in modo decisamente diffe- rente rispetto alle altre organizzazioni mafiose. Un collaboratore di giustizia, Gen-

naro Colantuomo, un tempo affiliato alla famiglia Tasseri egemone nel controllo delle piazze di spaccio a Boscoreale, ora aderente al cartello Gallo-Limelli-Vangone, ha di recente dichiarato: «ricordo che sparai nel portone di una persona a Sant’An- tonio Abate solo perché lui ci aveva offeso su facebook»15. Questi e altri esempi che

riempirebbero centinaia di pagine di libri dimostrano che si coltiva una reputa- zione sociale, un distorto senso dell’onore basato su una scia di sangue e su una

14 La definizione è attribuita al giudice Corrado Guglielmucci che è stato presidente estensore delle

misure di prevenzione nel procedimento n. 138/86 nei confronti di Nunzio Giuliano.

15 La dichiarazione è agli atti dell’Antimafia di Napoli che ha ricostruito le faide del 2011 e dopo,

4. G. Di Gennaro et al., Gli omicidi nelle organizzazioni criminali

concentrazione di fatti intimidatori che rendono impossibile lunghi periodi di sta- bilità. Personaggi come il Colantuomo rappresentano quell’“esercito di riserva” che transita da piccoli gruppi criminali a clan camorristici a base familiare, subordinati

a clan più forti militarmente ed economicamente e che spesso attraverso accordi formano in una più vasta area cartelli criminali. Gli accordi di non belligeranza reg- gono fin quando gli equilibri fra le parti restano dettati da posizioni acquisite e ri- conosciute. Nel momento in cui queste sono messe in discussione sia all’interno del gruppo o fra i clan inizia una nuova fase di tensione e conflitto.

Il ventennio in esame (1995-2015) ha registrato molti scontri, guerre, faide in conseguenza di variabili focolai di violenza. L’intensità della violenza ha una sua gradazione molte volte più esterna che interna al clan. All’esterno si esprime a livelli bassi (minacce verbali, danneggiamenti a persone o cose, furti), medi (si distrug- gono beni, devastano terreni, la logistica delle imprese, macchinari, ecc.) alti (mi- nacce fisiche, omicidio, sequestro). La stessa guerra di Scampia del 2004 è stata pre- ceduta da azioni violente all’interno dello stesso cartello criminale o da alleanze (come nel caso dei clan Cocozza e Puccinelli nella zona occidentale della città) per consolidare l’egemonia territoriale. E così nel 2011 e 2012 quando scoppia un’altra guerra che assume i connotati di una ribellione generazionale: sono poco più che ventenni quelli della Vanella Grassi contro gli spagnoli-scissionisti del gruppo Amato-Pagano. Equilibri saltati a causa di rivendicazioni di subordinati che su piazze di spaccio si sentivano penalizzati rispetto alla leadership storica. È una di- namica che si ripete costantemente e non c’è zona della città che non sia interessata da costanti dimostrazioni di forza di cui le “stese”16 ne sono una espressione.

Gruppi, sottogruppi satelliti, scissionisti e cartelli variabili. È in quest’arcipelago iperframmentato del crimine che si afferma l’empowerment criminale animato dai

sogni del facile arricchimento, potere, riconoscimento. Sogni che non vengono scalfiti dall’orrore delle guerre, delle uccisioni e delle morti quotidiane.