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Onorato VI Caetani e la disputa con il De Azara: idee sull’Antico a confronto.

Abbiamo già parlato distesamente, nei precedenti capitoli, del collezionismo di Onorato Caetani, in cui si esprimono le principali tendenze della sua attività di raccoglitore di oggetti di pregio artistico e antiquario. La forte intensità di quest’impulso è, come s’è visto, in realtà tipico delle famiglie aristocratiche romane, e risulta, in ultima analisi, il fattore che le distingue dalla restante nobiltà italiana, come risuona dalle annotazioni del viaggiatore e pubblicista Gioacchino Olivier-Poli durante una sua sosta a Roma nel 1797 (anno di morte di Onorato Caetani):

La ricca nobiltà romana è superiore a quella di tutta l’Italia inquantocché al buon gusto in ogni cosa sa unire la splendidezza e la magnificenza. I suoi palazzi, le sue ville, i suoi equipaggi, le sue conversazioni, le sue tavole, la maniera onde tratta le persone di rango, tutto si risente del nobile e del grandioso356.

Può dirsi infatti che nel Settecento romano il collezionismo tocchi apici eccezionali: la fervida attività collezionistica si articola più profondamente di quanto non fosse mai avvenuto prima, modellandosi e attestandosi su più livelli sociali. Si configurano strati «alti» e «bassi» di collezionismo privato, che non solo continuano, ma addirittura amplificano la tradizione dei secoli

356 Quadro attuale della città di Roma. Osservazioni imparziali d’un viaggiatore republ., citato in V. E.

Giuntella, Roma nel Settecento, cit., p. 64. Nel libro di Giuntella il saggio risulta anonimo. Per l’attribuzione a Gioacchino Olivier Poli, faccio riferimento alla voce Gioacchino Olivier Poli in Dizionario Biografico degli

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precedenti357. Nella Roma del XVIII secolo, il mercato artistico e antiquario risponde alla pressante richiesta di italiani e stranieri approntando una varietà di quadri e sculture di varie dimensioni e prezzi. A fianco di collezioni come quella dei Borghese o del cardinale Albani, così vaste e ricche da poter gareggiare con le raccolte d’arte dei grandi sovrani europei358, vanno formandosi raccolte d’arte decisamente più ridotte, ma non meno interessanti, come appunto fu quella, da noi descritta, di Onorato Caetani. Oltre ai tre ritratti già citati e a numerosi altri dipinti e disegni che abbiamo già trattato, Onorato acquistò pezzi molto interessanti come una peculiare protome in marmo rappresentante una Testa di bufalo [fig. 25], acquistata per trentacinque scudi da Giambattista Piranesi359 e che fu al centro di una serie di vicende che analizzeremo nel prossimo paragrafo e una scultura raffigurante Il Nilo circondato dai cubiti [fig.26], comprata nella bottega di Bartolomeo Cavaceppi nell’agosto del 1796 per trenta scudi.

Proprio i forti interessi collezionistici e antiquari portarono Onorato a interessarsi al dibattito sulle arti antiche e moderne che aveva luogo in quegli anni sui periodici romani360. Già attivo collaboratore delle «Efemeridi Letterarie», rivista settimanale fondata da Giovanni Ludovico Bianconi, in cui venivano recensite novità letterarie di carattere scientifico, antiquario e artistico361, nel febbraio-marzo del 1781 Onorato pubblicò un «estratto» (così

357

Cfr. L. Barroero, Aspetti, tipologie, dinamiche del collezionismo a Roma nel Settecento: Alcune proposte di

lavoro a partire da uno scritto di A. M. Clark, in Geografia del collezionismo. Italia e Francia tra XVI e XVIII secolo, Roma 2001, pp. 28-29.

358

Si veda A. Clark, The Development of the Collections and Museums of 18th Century, in «The Art Journal», 26,

1967, pp. 136-43.

359 Arch. Caetani, misc. n. 1101-599. 360

Si rimanda per questo argomento a S. Rolfi-Ožvald,”Agli Amatori delle Belle Arti gli Autori”. Il laboratorio

dei periodici a Roma tra Settecento e Ottocento, Roma 2012.

361 Per un ampio panorama sull’attività pubblicistica delle «Efemeridi Letterarie» di Roma, cfr. M. Caffiero, Le

«Efemeridi Letterarie»di Roma (1772-1798). Reti intellettuali, evoluzione professionale e apprendistato politico, in M. Caffiero, G. Monsagrati (a cura di), Dall’erudizione alla politica, Milano 1997, pp.63-101. In

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veniva chiamato questo genere di contributo) in quattro puntate, in cui veniva recensita la prima edizione delle opere teoriche di Mengs, uscita postuma nel 1780 per le edizioni parmensi di Giambattista Bodoni e curata dall’ambasciatore spagnolo a Roma José Nicolás De Azara [fig.55].

Come risulta dalla corrispondenza tra il De Azara e il tipografo Bodoni, il fatto che fosse Onorato a recensire le Opere di Mengs suscitò sin da subito qualche ansietà. Scrive infatti il diplomatico spagnolo in una lettera del 1 febbraio 1781:

Subito ricevuta la di lei lettera mandai l’esemplare di Mengs al Abbate Amaduzzi, il quale venuto da me mi ha detto non potersi incaricare di farne l’estratto per l’efemeridi perché Monsignor Caetani ne avea prevenuto l’Impresario per farlo lui. Io che dal principio mi son protestato di non mischiarmi in questa brige [sic], lascio che facciano quello che vogliono questi Signori autori di Mesata. Il bello si è che il detto M.C. *Monsignor Caetani+ è un po’ debole di cervello, e che come matto solenne è stato rinchiuso. Per altro è un matto pacifico, e fanatico per le cose di Mengs362.

Le parole del De Azara fanno riferimento ad un presunto disturbo psichico di Onorato, che sembra avere un fondo di verità, a quanto risulta dalle lettere del suo epistolario inviate dal segretario di casa Caetani al fratello Francesco V, di cui abbiamo trattato nel corso di questa dissertazione. Più probabilmente, quel che davvero doveva preoccupare il De Azara era il fatto che la scelta per l’estratto ricadesse su una personalità fuori dai circuiti arcadici più conosciuti363, nei quali cui sussisteva un culto quasi idolatrico nei

E. Mancuso, Recensioni nelle «Efemeridi Letterarie di Roma» sotto la direzione di Giovanni Ludovico

Bianconi,in «Ricerche di Storia dell’Arte», 90, 2006, pp. 57-60.

362

Sulla corrispondenza epistolare tra il De Azara e Bodoni, cfr. A. Ciavarella, De Azara-Bodoni, 2 voll., Parma 1979.

363

Per quanto Onorato fosse membro dell’ Accademia dell’Arcadia sotto il nome di Iblesio Euripiliano, a quel che risulta da mie ricerche in merito sembra che Onorato non abbia mai partecipato ad alcuna adunanza, né occasione letteraria organizzata dall’ Accademia.

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confronti del Mengs364. La preferenza del De Azara per un uomo di comprovata «fede» mengsiana come Giovanni Cristofano Amaduzzi, appare un tentativo di premunirsi di fronte a una possibile perturbazione della festosa temperie di celebrazioni del «sassone Apelle», cui l’uscita delle opere teoriche aveva fornito il coronamento ideale.

Le preoccupazioni del De Azara per l’«incognita» rappresentata dalla recensione di Onorato Caetani dovevano per altro trovare conferma il 24 febbraio 1781, quando comparve sulle «Efemeridi» la prima parte dello scritto. Proprio quel che egli considerava un «matto solenne» e «pacifico» (ben presto, in un’altra lettera, Onorato sarebbe diventato meno bonariamente «scemo efemeridista»365) avrebbe scatenato con le sue osservazioni quella che un illustre contemporaneo, Carlo Gastone della Torre di Rezzonico, definì una vera e propria «guerra letteraria» tra i due366.

Il Caetani comincia indirizzando lodi di prammatica al «pittore primario del secol nostro», come viene definito Mengs nelle prime righe. Addirittura, secondo Caetani, gli scritti del Mengs dureranno oltre i suoi dipinti, poiché: Il tempo distruggerà finalmente i sublimi lavori del dotto pennello di questo grand’artefice; ma i suoi scritti, che vengono ora pubblicati coi nitidissimi tipi del Sig. Bodoni, a spese del Sig. Cav. de Azara, porteranno insieme uniti alla più remota posterità i nomi del gran pittore, e dell’illuminato, e rispettabile editore367.

Dopo questo esordio, perfettamente intonato agli onori letterari tributati in tutta Europa al Mengs, Onorato passa a descrivere le varie parti dell’opera, tratteggiando con grande abilità di sintesi i contenuti dei vari capitoli

:

364

Per le celebrazioni arcadiche in onore del Mengs dopo la sua morte,cfr. G. Cantarutti, Intrecci in Arcadia, in G. Cantarutti, S. Ferrari (a cura di), Paesaggi Neoclassici, Bologna 2007, pp.163-190.

365

Cfr. A. Ciavarella, De Azara-Bodoni, cit., vol. I, pp. 37-38.

366

Utilizziamo qua l’espressione di C. G. della Torre di Rezzonico, Opere, Como 1830, vol. X, p. 95.

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Nel cap. IV parlando dell’unione del gusto coll’imitazione ci dice, che è più stimabile il pittore, che ha molto dell’ideale, di quello, che non possiede, se non che la mera imitazione [...] Per idea egli non intende, che la buona scelta, che si deve fare delle cose naturali, e non già un’invenzione di cose nuove. Parla indi della differenza tra il gusto e la maniera*...+. Il vero gusto è quel che sceglie dalla natura il meglio serbando l’essenziale d’ogni cosa; in tal guisa la natura vien migliorata, ma non mutata, come succede nella maniera368.

Ben presto, però, il saggio prende una direzione inattesa: un’incrinatura sembra solcare quella che sulle prime battute aveva tutta l’aria d’essere una recensione positiva. Soffermandosi sulle osservazioni del De Azara, Onorato rileva, con disappunto, il poco credito in cui è tenuta la figura di Michelangelo, sia dal pittore che dal curatore:

Ci spiace solo, che chiuda l’ultimo paragrafo col non aver una grandissima idea del merito del Michel’Angelo, quando noi crediamo di poter asserire, che il più gran talento, che sia comparso nelle belle arti, sia il Buonarroti a fronte dei tre tanto rammentati da Mengs, Raffaello, Correggio e Tiziano369.

È soprattutto l’omissione di Michelangelo dalla «triade» della perfezione definita dal Mengs che, secondo Caetani, si configura come una pecca non trascurabile nel complesso degli scritti del pittore. Non sarà, nel lungo e un po’ capzioso saggio dell’abate, l’unico rilievo di errori strutturali che rendono, a suo parere, pericolante l’edificio teorico delle Opere .

Oggi può far sorridere il tenore di certe critiche dal carattere forse un po’ troppo pignolo e puntiglioso. Per esempio, ecco quel che Caetani rimprovera al Mengs a riguardo delle descrizioni delle più celebri statue antiche romane: Qui il Sig. Mengs da grand’uomo ci fa vedere in che consiste, e di quali linee o angoli son composti i contorni, e le parti di tutte queste statue, e il loro effetto.[...] Non si vuol peraltro mancar qui di osservare un errore, che si commette chiamando la vena cava

368

Ivi, pp. 63-64.

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quella, che passa nell’interiore della coscia, e ciò sul proposito di rivelarci le bellezze del torso. Questa è una vera ignoranza dei veri nomi anatomici perdonabile forse a un Mengs pittore, a cui poco importa sapere il nome delle vene, ma solo la loro giusta situazione, ma imperdonabile a un Mengs scrittore, e autore370.

Grazie ai carteggi col tipografo Bodoni, possiamo ricostruire una sorta di spaccato sincronico delle reazioni del De Azara alla lettura delle critiche del Caetani. Proprio a proposito del passo citato, il diplomatico spagnolo, qualche giorno dopo l’uscita del foglio delle «Efemeridi», chiude una sua missiva al tipografo parmense liquidando in modo piuttosto brutale le precisazioni anatomiche del Caetani:

Il matto efemeridista continua le sue pazzie. In questo foglio vuole che abbiamo Vena Cava nelle coscie. Forse lui non l’avrà perché il suo corpo finirà in quella parte che è dentro allo scroto. Niente occorre di più, e così la prego di continuarmi la sua amicizia, e di credermi suo vero amico e servitore.371

Siamo al livello di massima ebollizione dello sdegno del De Azara, e la dura reazione non si farà attendere. Intanto, l’estratto continua la sua critica serrata delle idee mengsiane, e nella terza parte si appresta a scardinarne in modo definitivo l’impianto, prendendo di mira soprattutto i dubbi espressi dal pittore sull’autenticità di alcuni gruppi scultorei antichi.

In due lettere ad Angelo Fabroni, raccolte dal De Azara nelle Opere, Mengs esprime delle idee che per i tempi dovettero sembrare assolutamente rivoluzionarie, quando non addirittura eretiche, nella diffusa Stimmung europea di esaltazione e restaurazione classicista. Soprattutto a riguardo del

Gruppo della Niobe degli Uffizi [fig.56], Mengs manifesta forti perplessità

sull’autentica grecità delle statue. Sul fatto che il gruppo possa addirittura

370

Cfr.«Efemeridi Letterarie», n.IX, marzo 1781, p. 71.

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essere attribuito a maestri quali Scopa o Prassitele, come al tempo si credeva, Mengs esprime un giudizio negativo assolutamente perentorio:

Onde non posso mai credere, che l’E.V. consideri questa Raccolta come veramente opera di uno de’ sommi Artefici; mentre potrebbe prendersi piuttosto per una copia fatta da migliori originali, eseguita da diversi Artefici più, o meno buoni, e forse anche aggiuntevi da questi quelle figure tanto inferiori. Si può dare in oltre, ch’elleno sieno in parte rilavorate ne’ bassi tempi, e storpiate tanto co’ moderni, che cogli antichi ristauri fatti avanti, che fossero dissotterrate: onde l’indagare se tal Opera sia di Scopa, o di Prassitele, è certamente un bell’ornamento della scrittura; ma io temo, che alla vista delle Statue comparirà superfluo372.

Come non mancano di notare Francis Haskell e Nicholas Penny nel volume

Taste and the Antique (1981), l’osservazione di Mengs che negava, in

un’epoca entusiasticamente attribuzionistica, l’accreditamento di queste statue a sommi maestri greci, non era propriamente nuova373. Già nel 1722 i due artisti e antiquari inglesi Richardson mossero dei dubbi sull’autenticità di alcune parti dello stesso gruppo della Niobe374,anche se le loro opinioni non ebbero grande seguito. Il nome di Mengs, più noto e autorevole in Europa di quello dei due inglesi, conferì alle sue osservazioni una assai maggiore risonanza. Ciò che forse, al tempo, stupiva maggiormente di quelle pagine, era il sottile procedimento deduttivo e assieme induttivo, tramite cui Mengs arrivava a dubitare d’un’ attribuzione reputata quasi incontestabile da un intero sistema dalla struttura apparentemente solida, quale quello dell’antiquaria settecentesca. Mengs infatti utilizza ante litteram un metodo basato sull’esame del «paradigma indiziario», per usare un’espressione di

372

A. R. Mengs, Opere, Parma 1789, vol. II, p.7.

373

F.Haskell, N.Penny, L’antico nella storia del gusto, Torino 1984, p. 127.

374 «Pliny (L.36.c.5) says, the Niobe was judg’d to be Praxiteles, or Scopas. When and where ‘twas found is not

known, at least I don’t remember to have heard; but ‘tis very probable all these figures did not belong to it anciently; and that those that did were otherwise plac’d»(J. Richardson Sr, J. Richardson Jr, An Account of

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Carlo Ginzburg375, tramite cui l’osservatore può, alla prova dei fatti, confermare o confutare il pregio intrinseco al manufatto esaminato, senza cadere nella sublimazione a priori tipica dell’estetica del «bello ideale» . È forse bene ricordare che questo metodo di analisi dei particolari delle statue era già stato ampliamente utilizzato da Johann Joachim Winckelmann, anche se con aspettative e risultati assolutamente differenti da quelli che saranno poi di Mengs. Infatti, il grande scrittore e archeologo tedesco, utilizzò per primo quell’osservazione capillare dei particolari delle statue, da cui poi venivano tratti gli opportuni confronti e le dimostrazioni volte però ad un unico obiettivo: quello di avvalorare le tesi sull’indiscutibile superiorità dell’arte greca, come ben si evince da queste considerazioni contenute nei celebri Gedanken über die Nachahmung der griechischen Werke (1755):

Nella maggior parte delle figure degli artisti moderni si osservano, in quelle parti del corpo che sono compresse, piccole pieghe della pelle troppo marcate, mentre le stesse pieghe nelle parti compresse delle figure greche nascono da una lieve curva come un’onda, di modo che esse sembrano formare un tutto ed insieme una sola nobile pressione. [...] Allo stesso modo le opere moderne si distinguono da quelle greche per una quantità di piccoli incavi, e per fin troppe e troppo sensibili fossette, che, quando si trovano nelle opere degli antichi, sono lievemente accennate con una saggia parsimonia, secondo la loro misura, nella più perfetta e compiuta natura dei Greci, e spesso solo una dotta sensibilità le nota376. I risultati di Mengs saranno, come si è detto, totalmente contrari a quelli di Winckelmann, il quale viene additato nella prima lettera come «alquanto visionario»377. È proprio su questa somiglianza di metodo, ma radicale divergenza di assunti estetici, che si gioca il rapporto tra Winckelmann e Mengs: l’occhio del pittore, posandosi su statue quali il Laocoonte e l’Apollo del Belvedere con meno incanto poetico, ma forse con più lucidità analitica

375

C. Ginzburg, Miti, emblemi, spie. Morfologia e storia, Torino 1986.

376

Citato in J. J. Winckelmann, Pensieri sull’imitazione, Palermo 2001, p. 32.

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dell’occhio di Winckelmann, vi ravvisa difetti e grossolanità di composizione, a tal punto che l’artista formula un giudizio su questi capolavori che s’allontana totalmente dall’ideale di «nobile semplicità e quieta grandezza» evocato dalla loro contemplazione estatica:

Il Laocoonte è rappresentato un vecchio forte, sano, convulso dal veleno e niente di più; ma il Torso è, come ho visto più volte, il vero [...] Potrei chiedere un poco di indulgenza per i Moderni; poiché non è necessario biasimarci per lodare gli Antichi, ai quali forse nella viva espressione si potrebbe dire essere superiori alcuni Moderni378.

Niente a che vedere dunque con quell’ idea di perfezione degli antichi che aveva permeato sino ad allora buona parte delle teorie artistiche ed estetiche. Può dirsi insomma, che Mengs utilizzi il metodo di Winckelmann per rivolgersi «contro» lo stesso Winckelmann, e giungere così ad una comprensione dell’antichità non più inebriata da quella «Einbildungskraft» (forza d’immaginazione379) che risulta essere l’ingrediente principale delle analisi di Winckelmann, bensì confortata da una vera constatazione del reale stato del manufatto artistico e delle sue caratteristiche formali.

Si può comprendere come queste idee irritassero le vedute di un erudito, appassionato d’arte e collezionista quale Onorato Caetani: formatosi sui grandi e imperturbabili sistemi di pensiero illuministici, in cui rientrava a pieno titolo anche l’antiquaria, egli doveva vedere nelle supposizioni del Mengs un diretto ed esplicito attacco ai valori fondanti della ragione, del giudizio estetico corrente e, quel che è peggio, della storia.

È molto interessante il modo in cui il Caetani risponde al Mengs. Egli muove una serie di interrogativi miranti a colpire e ridicolizzare i dubbi dell’artista attraverso l’uso di un rigore logico (che a noi oggi sembra forse più apparente

378

Ivi, pp. 12-13.

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che reale), e d’una poderosa erudizione che richiama le fonti più disparate, quali gli scritti di Leonardo da Vinci, Francesco Algarotti, Francis Bacon e le tavole anatomiche del medico William Cheselden380. Tutta la terza parte dello scritto, ove viene dato l’affondo alle teorie mengsiane, è pervasa d’una forma di esibita ironia e indispettita incredulità, tanto che Caetani arriva a chiedersi come Mengs abbia potuto formulare una qualsiasi opinione sull’arte antica se tutto ciò che rimane nella modernità non è che una mediocre copia:

Ma prima di tutto si vorrebbe domandare al Mengs qual idea si era egli fatta mai del bellissimo degli antichi se tutto ciò che abbiamo di più bello è anche inferiore secondo lui a quel che gli antichi deggiono aver saputo fare, e di cui per nostra disgrazia, e sua, più non abbiamo gli originali? [...] Se il Signor Mengs si fosse contentato di dirci, che non credeva di considerare questa raccolta come veramente opera di un sommo artefice, egli avrebbe ragionato secondo i suoi lumi superiori che avea, e noi ardiremmo di opporvisi; ma allorché egli s’inoltra a dirci, anzi che esser questa statua di Scopa, o di Prassitele, non giudicarla che una copia, il Sig. Mengs non si mostra se non voler qui più dubitare, che ragionare, cosicché qualche volta, ci si permetta che ‘l diciamo, non si mostra neppur conseguente (il corsivo è

mio)381.

Il fatto che Mengs, secondo l’ottica del Caetani, si affidi a una deduzione proveniente dalle sue personali analisi intrise di dubbio, più che di raziocinio, ne avvelena a priori le conclusioni, e lo porta a maturare un pernicioso «nuovo scetticismo» – come scriverà più avanti – che l’evidenza storica «di

380 «La proposizione, che si prende a provare nel cap. V, si è che l’arte può superar la natura, proposizione

così vera, che siccome si è detto, che il più bell’uomo, e la più bella donna, che vi siano su la terra sono le due statue d’Apollo, e della Venere di Firenze, per tali riconosciute anche dall’anatomico Cheselden, che ne ha