• Non ci sono risultati.

Gli operatori e i volontari

Nel documento GLI ANTICORPI DELLA SOLIDARIETÀ (pagine 37-40)

L'impatto sociale e psicologico della pandemia e del lockdown

2. Gli operatori e i volontari

Durante il tempo della pandemia, opera-tori e volontari hanno vissuto una condizione che raramente si verifica nei servizi Caritas: si

sono trovati nella medesima condizione dei beneficiari, hanno affrontato gli stessi disagi, difficoltà, preoccupazioni, paure. “Tutti sulla

stessa barca”, come ha affermato Papa

Fran-cesco, con il rischio, talvolta, di non avere la giusta distanza nella relazione di aiuto, con la preoccupazione di non essere abbastanza ef-ficaci nel servizio prestato, con la frustrazione di non esserci per tutti coloro che non hanno potuto continuare ad essere attivi durante il lockdown a causa dei problemi legati all’età, alle condizioni di salute o alle limitazioni do-vute dalle disposizioni dei decreti urgenti del Governo o degli enti pubblici territoriali.

La narrazione della pandemia attraver-so la scelta di una parola evocativa mette in luce qualche differenza nella percezione de-gli operatori e dei volontari, dovuta evidente-mente al diverso vissuto dei beneficiari, per i quali è più o meno forte la paura e la preoc-cupazione per la propria situazione socio-e-conomica.

Fig. 2 La voce degli operatori: "quale aggettivo, quale parola useresti per descrivere questo tempo della pandemia?"

Utilizzando, infatti, la metodologia della suddivisione del campione secondo la di-versa aggregazione dei termini citati, è stato possibile identificare cinque diversi gruppi di persone. Nel complesso, dall’analisi del-la percezione dei volontari e degli operatori emergono approcci psicologici simili a quelli dei beneficiari, anche se con peso e prospet-tive differenti:

a. Preoccupati

Sono coloro che sono particolarmente allarmati per la situazione socio-economica che si è generata in seguito al lockdown. In ansia anche per la difficoltà di rispondere ai bisogni delle persone che si rivolgono alla Caritas, sono persone consapevoli che non è possibile erogare gli stessi servizi ed è quindi necessario rimettersi in gioco.

b. Sgomenti

In questo gruppo rientrano le persone che riportano la paura, il panico, il senso di solitudine, che hanno vissuto nella propria dimensione personale, soprattutto rispetto all’emergenza sanitaria e al profondo senso di smarrimento determinato da una situazio-ne ritenuta incontrollabile.

c. Attoniti

Come per i beneficiari, sono coloro che mai avrebbero immaginato di vivere una situazio-ne di assoluta novità, troppo simile a quella di un film da poter essere considerata reale.

d. Riflessivi

Più numerosi rispetto a quanto riscontrato trai beneficiari, sono quelli che si sono concen-trati sulla loro vita interiore e hanno conside-rato questo periodo come un’opportunità fo-riera di possibili cambiamenti nello stile di vita, nell’approccio all’altro e alle cose importanti.

e. Solidali

Alcuni operatori e volontari hanno posto l’accento sulla generosità e la solidarietà spontanea che è esplosa in questo tempo nei contesti più inaspettati, con energie nuo-ve e generatinuo-ve.

La vita in Caritas nel tempo dell’emergenza

Gli operatori e i volontari ascoltati hanno sempre prestato la loro opera nonostante il periodo di emergenza. Tutti si sono dovuti

confrontare con un cambiamento repentino dei servizi in cui lavoravano e spesso anche con una nuova organizzazione della Caritas in termini funzionali e organizzativi.

È ampiamente condivisa la necessità di intervenire concretamente e tempestiva-mente, in una situazione di profonda crisi e nonostante la condizione di assoluta impre-vedibilità. Ha unito tutti il desiderio di aiutare gli altri in ogni modo e, specie per i volontari più anziani, la volontà di andare oltre la sen-sazione di impotenza iniziale.

È stato vissuto il disagio del cambiamen-to, che per alcuni ha significato ad esempio confrontarsi con strumenti nuovi, metter-si in gioco utilizzando il telefono o le chat e sperimentando nuove modalità di ascolto. Sebbene quasi tutti siano stati concordi sul-la peculiarità e sul-la necessità delsul-la resul-lazione “in presenza” con i beneficiari, sono state messe in rilievo da tanti anche le potenzia-lità dell’ascolto a distanza: sono cadute forse più facilmente le barriere della vergogna di chi chiedeva aiuto per la prima volta; è stata colta la possibilità di raccontarsi senza l’im-barazzo iniziale di parlare con un volontario sconosciuto e in un luogo connotato in senso negativo; i volontari in alcuni casi si sono sen-titi più liberi nella relazione e hanno potuto dedicare più tempo all’ascolto.

La capacità di mettersi in gioco è stata utile ai volontari e agli operatori anche per supera-re il timosupera-re di non riuscisupera-re ad aiutasupera-re gli altri in quanto essi stessi bisognosi di sostegno. Inol-tre, la pandemia ha fatto spesso riscoprire la reciprocità della relazione di aiuto:

“Sicuramente le ripercussioni di vivere co-stantemente queste emozioni di paura e care anche di non trasmetterla … e quindi cer-care di essere relativamente lucidi e cercer-care di dare dei messaggi comunque di contenimen-to, propositivi nei confronti delle persone che potevano venire qui che a loro volta mostrava-no una paura. Ci siamo completamente dovuti

rimodellare e le nostre attività si sono

comple-tamente riadattate alla situazione perché co-munque i servizi messi in campo dal Centro di Ascolto sono stati tutti servizi in risposta alle richieste emergenziali delle persone, quindi ci siamo completamente concentrati sui beni di prima necessità.”

Tra le difficoltà più evidenziate vi è infine l’adattamento ai nuovi dispositivi di sicurez-za (mascherine, distanze e igienizsicurez-zazione), ma soprattutto la sensazione di confusione iniziale rispetto ai continui cambiamenti dei decreti e delle norme.

Inaspettatamente numerosi gli aspetti po-sitivi segnalati dagli operatori intervistati.

L’affacciarsi in Caritas di tanti “nuovi poveri”, ha fatto emergere molto chiaramente la cen-tralità dell’osservazione, ovvero la capacità di rilevare e conoscere i bisogni reali delle per-sone sul territorio e l’esigenza di maggiore condivisione con gli operatori e i volontari per supportare più efficacemente le persone in difficoltà, anche al fine di creare servizi nuovi e proattivi. La comunione di intenti ha spin-to volontari e operaspin-tori ad investire energie e creatività, questo nonostante siano venuti meno elementi consustanziali del servizio come la relazione con i beneficiari e la con-divisione dei casi con i colleghi, non sempre possibile.

In generale, anche se la maggior parte dei volontari e degli operatori si sono sentiti sup-portati dai responsabili dei servizi, è emersa nel contempo la necessità di un tempo di riflessione interna necessario per poter con-dividere le esperienze vissute, prevedendo momenti di narrazione, anche allo scopo di non disperdere gli stimoli nuovi giunti dal tempo della pandemia, ritrovando concre-tamente e non solo virtualmente lo spirito di gruppo e di comunità.

Inoltre, gli intervistati sono abbastanza concordi nell’affermare che la pandemia ha consentito positivamente l’accelerazione di una serie di processi di cambiamento che erano spesso già nell’aria ma non si erano an-cora espressi in termini di nuovi servizi o di ri-organizzazione interna di servizi già esistenti. Si propone anche una riflessione struttu-rata sull’accoglienza dei numerosi nuovi vo-lontari che nel corso della pandemia si sono avvicinati alla Caritas, spesso giovani, e che hanno sicuramente necessità di essere for-mati e motivati secondo nuovi codici lingui-stici. E proprio dai nuovi volontari arriva l’in-vito a raccontare le storie e le persone che si avvicinano alla Caritas, per narrare “l’altro” con modalità e linguaggi “umanizzanti”,

di-versi rispetto agli standard e agli stereotipi facilmente rilevabili all’interno della comuni-cazione mainstream.

“Forse sarebbe bello raccontare maggior-mente le storie di queste persone, perché ma-gari ci bombardano alla televisione di numeri, percentuali, statistiche però quando hai una persona davanti, hai un volto, un nome, un’età, … ti raccontano perché ha perso il lavoro e cosa è la paura che c’è dietro legata anche ai propri figli, alla scuola, alla precarietà, ecc.”

Tra gli aspetti da valorizzare e non abban-donare si annovera la formazione online, che è stata utile per fornire strumenti di lavoro e di riflessione e ha sostenuto la comunità pri-va della possibilità di incontrarsi.

Infine, in alcuni casi è stata sottolineata l’im-portanza di un accompagnamento struttura-to e capillare alle parrocchie, che hanno più volte chiesto un supporto e un sostegno alle Caritas diocesane, non solo in termini di aiuti concreti per soddisfare i bisogni delle perso-ne che a loro si sono rivolte, ma anche di re-lazione, approccio, metodologia e confronto.

“Abbiamo dato un sostegno forte alle par-rocchie in questo momento e loro lo hanno ac-cettato assolutamente e lo richiedono anche… era anche la strada che avevamo deciso di ri-percorrere nel momento in cui abbiamo chiuso il Cda diocesano la nostra attenzione al territo-rio la nostra attenzione alle parrocchie perché fossero presenti perché non si sentissero sole.”

PARTE 3

QUALI POLITICHE PER QUALI POVERTÀ,

Nel documento GLI ANTICORPI DELLA SOLIDARIETÀ (pagine 37-40)