Rosciano_Pe_2011
(vedi sezione completa tra i progetti selezionati a pag. 171)
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87 2014_premio architetture dell’adriatico_
nato per questa seconda edizione del Premio Ad’A il progetto “CASA BURRINI”, dello studio nomadearchitetti. Riconosci- mento che trae le sue ragioni da tre condizioni.
Primo: il contesto in cui opera. Contesto della banalità, dell’auto- costruzione, dell’informe e privo di qualità della “citta adriatica”, in cui sembrano convivere indisturbati e piuttosto serenamente (con buona pace di tanta letteratura “contro” prodotta da archi- tetti e sociologi) urbano e rurale, centri storici e capannoni, iden- tità locale e globalizzazione. Nel quale l’avvicendarsi dei “piano casa” e degli aumenti volumetrici una tantum su preesistenze prive di qualità, obbliga ad una nuova, o più frequente pratica nel fare architettura. Giustapponendo, sovrapponendo, aggiungendo parti che difficilmente potranno dialogare con l’esistente. Diverse sono le genealogie e, quindi, impossibile l’incontro. Condizioni e vincoli che sembrano limitare le ambizioni progettuali ma che, come in questo caso, diventano occasioni del suo riscatto.
Secondo: il programma, la residenza, tema spesso insidioso per il progetto di architettura. Nel nostro paese i modi dell’abitare la casa e la configurazione dei suoi spazi resistono tenacemente al tentativo di ricerca e sperimentazione finalizzato a rileggere lo spazio domestico alla luce delle mutate condizioni di vita, di lavoro, di relazione. L’intervento opera attraverso spazi fluidi e flessibili, disarticola la divisione per livelli zona notte-zona giorno, inserisce salti di quota interni, si appropria degli spazi intermedi, relaziona l’interno con l’esterno attraverso le grandi luci finestra- te. Articolazioni spaziali che provano a modificare modelli distri- butivi ordinari e desueti, incapaci di attivare differenti modalità di appropriazione da parte degli utenti.
Terzo: un ampliamento attraverso l’innesto. Un anonimo edificio esistente su tre livelli, un piano rialzato incompleto adibito a portico di accesso ai piani superiori, sono le condizioni che hanno permesso l’inserimento di un volume, una stecca, che segue l’an- damento longitudinale del lotto. E la metamorfosi è compiuta. La superfetazione si incastra, scivolando con leggerezza, all’esistente alterandolo. Un gesto elegante, paradigmatico della vitalità del
nunci della sua morte.
Un progetto che ha reso evidente il gioco di divergenza della Parte e dell’Esistente, entrambi irriducibili l’uno all’altro, dove il conflitto è stemperato, forse, dalla leggerezza del gesto archi- tettonico ottenuta interrogando l’Informe e l’Indistinto, l’altro da noi muto e irriconoscibile, nel tentativo di trovare un varco, una saldatura, che permetta di “assestare il colpo”.
Architettura evenemenziale, puntuale, discreta che si sottrae ad ogni tentativo di sistematizzazione in insiemi coerenti e continui. La realizzazione dello studio nomadearchitetti ci piace leggerla come un piccolo manifesto: attraverso “l’innesto” sembra essere riuscita a far convivere in una sorta di miracoloso equilibrio la ba- nalità del nostro paesaggio urbano e l’episodicità “straordinaria” di un’architettura che prova a testimoniare con coraggio che an- cora può esistere una sorta di riscatto alla consueta e (oseremmo dire) tranquillizzante “non qualità” della “città adriatica”.
Inoltre, la commissione dell’Ordine degli Architetti di Teramo ha segnalato WHEELLY: RIFUGIO PORTATILE PER SENZATET- TO, di ZO_LOFT architecture & design.
Un’opera che invoca i temi della flessibilità e della sostenibilità ambientale, subordinandoli ai bisogni sociali, configurando inter- venti temporanei, puntuali, dove la città diventa lo scenario per promuovere un “town scape” volto a qualificare e/o recuperare piazze o quartieri.
Il design ha così modo di svincolarsi dal campo, fin qui privilegia- to, dell’oggetto d’uso, per volgere il suo sguardo agli spazi vuoti, interstiziali della città. Operando una metamorfosi.
Anche qui, la percezione di un tessuto frammentato, smagliato, promuove nuove modalità di intervento a piccola scala, “su mi- sura”, che può essere permanente ma anche flessibile, mobile, in alcuni casi effimero.
giuStino ValleSe
Presidente Ordine degli Architetti, Pianificatori, Paesaggisti e Conservatori della Provincia di Teramo
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Ingresso su strada comunale e vista campagna.
Sullo sfondo, mitigato da ulivi e erba alta, infrastruttura e tessuto artigianale.
Casa di Antonio era questa, un edifico su tre livelli e sottotetto, uno seminterrato con garage e il piano rialzato libero e incompleto, un portico da cui si accede ai piani della residenza. Il volume residuo ci ha consentito di ampliare la superficie del piano rialzato con l’inserimento di una stecca.
Un monolite inciso solo sul lato lungo con tagli verticali e svuotato completamente dove lo sbalzo della camera da letto si affaccia sulla piscina. Dalla parte opposta si trovano il corpo scala preesistente con l’ingresso e la cucina della nuovo appartamento. Al centro tra i due volumi chiusi, lo spazio completamente vetrato consente alla zona pranzo di essere ben illuminata e orientata verso il giardino con piscina. Un percorso entra e esce dalla casa fino ad arrivare ai margini della piscina. Adiacenti al pranzo si trovano il soggiorno e lo studio, spazio in cui un setto separa e disimpegna i servizi della zona giorno indicando la direzione della camera da letto patronale e la scala che porta al piano seminterrato dove sono disposti altri locali tra cui una camera da letto con patio e altri servizi.
Tutto il progetto, oltre alla preesistenza e alle quantità disponibili per la realizzazione dell’ampliamento, è stato fortemente influenzato dalla forte direzionalità e dal paesaggio presente. La stecca si chiude verso l’esterno e protegge uno spazio aperto più domestico e in stretto contatto con la casa, caratterizza e marca forma e proporzioni del lotto. Un percorso entra e esce dalla casa, parte dall’ingresso pedonale, affianca la stecca, attraversa lo spazio insieme alla luce, e termina poco prima della piscina, ma potrebbe estendersi e organizzare tutto lo spazio del verde domestico e agricolo.
La quota “bassa” del progetto allontana l’orizzonte, lasciando allo sguardo l’unica direzione possibile verso la campagna e gli uliveti.