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Dall’opposizione al reclamo della sentenza dichiarativa di fallimento: come cambia l’art.18 della Legge Fallimentare.

LE IMPUGNAZIONI NEL DIRITTO FALLIMENTARE PRIMA DELLE RIFORME

3.1 Dall’opposizione al reclamo della sentenza dichiarativa di fallimento: come cambia l’art.18 della Legge Fallimentare.

E’ noto che nel sistema della legge fallimentare del 1942 l’articolo 18 affermava la possibilità per il debitore e per qualunque altro interessato di proporre opposizione avverso la sentenza dichiarativa di fallimento ,che era stata pronunciata all’esito di un giudizio a cognizione sommaria. Si trattava ,secondo la pressochè unanime opinione ,di un vero e proprio mezzo di impugnazione ,che introduceva un procedimento a cognizione piena di primo grado ,nel rispetto delle forme e dei termini prescritti dal rito ordinario, diretto a verificare se quella dichiarazione fosse stata legittimamente pronunciata .La giustificazione di questo riesame da parte del medesimo organo che aveva pronunciato il provvedimento oggetto di gravame era stata correttamente ravvisata nella particolarità che l’accertamento operato dal tribunale per giungere alla dichiarazione di fallimento ,era avvenuto in modo sommario e con contraddittorio non perfetto ,in virtù del quale s’imponeva un controllo approfondito della legalità della prima sentenza .Il carattere inquisitorio che permeava la fase sommaria ,precedente alla pronuncia della dichiarazione ,si riverberava nel giudizio di opposizione ,sia pure nei limiti della conciliabilità con le fondamentali regole di un ordinario processo di cognizione (quale quello introdotto dall’opposizione).Il decreto legislativo 5/2006 nel perseguire l’obiettivo della speditezza del procedimento ,in attuazione della legge delega fallimentare ,ha abolito il pregresso giudizio di opposizione alla sentenza dichiarativa di fallimento innanzi allo stesso tribunale ,sostituendolo con l’appello ,quale mezzo di impugnazione direttamente davanti al giudice di secondo grado ,che, tuttavia, introduceva un rito camerale ,governato anch’esso dal principio inquisitorio per quanto concerne l’acquisizione della prova. Chi impugna la sentenza dichiarativa di fallimento si trova immediatamente in un vero e proprio giudizio di appello in quanto ,la procedimentalizzazione dell’istruttoria prefallimentare ex art 15,semplificata ma non più sommaria e maggiormente idonea (rispetto al passato) a garantire la tutela del diritto di difesa del debitore, aveva legittimato il passaggio immediato ad un giudizio di secondo grado (inoltre ,è ormai acquisita in dottrina e in giurisprudenza l’opinione secondo cui sono ammissibili giudizi camerali contenziosi ,estendendosi quella tipologia di rito anche al di là del tradizionale settore della volontaria giurisdizione ) (1).Con la

riforma del 2006,l’art.18 prevede che il termine per l’appello (entro trenta (1)Fabiani, Il nuovo diritto fallimentare ,sub.art18

36 giorni)decorre per il debitore dalla data della notificazione della sentenza a norma dell’art.17 l.f e, per tutti gli altri interessati ,dalla data dell’iscrizione nel registro delle imprese ai sensi del medesimo articolo. Il presidente, nei cinque giorni successivi al deposito ,fissa con decreto ,da comunicarsi al ricorrente ,l’udienza di comparizione entro 45 giorni (portati poi a 60 dal correttivo del 2007)dal deposito del ricorso ,assegnando il termine al ricorrente non superiore a dieci giorni dalla comunicazione per la notifica del ricorso e del decreto alle parti e al curatore ,nonché un termine alle parti resistenti non superiore a cinque giorni prima dell’udienza per il deposito di memorie .All’udienza il collegio, sentite le parti presenti in contraddittorio tra loro ed assunti, anche d’ufficio ,i mezzi di prova necessari ai fini della decisione, provvede con sentenza .Si è però da subito osservato come lo svolgimento del giudizio di appello nelle nuove forme del rito camerale avesse messo in dubbio la possibilità di ritenere ,alla stregua di quanto affermato nel vigore della vecchia disciplina, che l’appello stesso ,per quanto non previsto dalle norme speciali contenute nella legge fallimentare ,fosse regolato dagli articoli 342 e seguenti del c.p.c in quanto compatibili. Per questo motivo si era avvertita la necessità di un attento lavoro per verificare quali principi previsti per l’appello nel rito ordinario fossero compatibili con la nuova struttura del giudizio :si pensi al divieto di domande ed eccezioni nuove sancito dall’articolo 345 c.p.c e al problema delle nuove prove ,posto che l’attribuzione alla corte di appello di poteri istruttori d’ufficio in riferimento <<ai mezzi di prova necessari ai fini della decisione >>,implicava che se ne individuasse la nozione, contrapponendola a quella di << mezzi indispensabili>> di cui agli articoli 345 e 437 del c.p.c. A questo punto ,entra in vigore il c.d correttivo che mutua ancora la situazione e introduce l’istituto del reclamo ,eliminando l’appello e riprendendo il tema della piena devolutività del nuovo gravame. Il legislatore ha indubbiamente cercato di realizzare una sorta di modello unitario tendenzialmente idoneo per tutte le controversie endofallimentari , tenendo presente i due fini perseguiti ,da un lato snellire il più possibile i procedimenti ,dall’altro creare giudizi camerali contenziosi dove sia garantita l’effettività del diritto di difesa. Quel che è certo è che ,nel passaggio dall’appello al reclamo ,non è comunque mutata la natura impugnatoria del giudizio che ha sempre e comunque quale oggetto la verifica della sussistenza dei presupposti del fallimento ,l’insussistenza di fatti impeditivi ,e di vizi procedurali e quale esito necessario la conferma o la revoca della sentenza dichiarativa di fallimento. Non viene meno neanche la sua inquisitorietà in ordine all’acquisizione della prova ,come confermato dalla possibilità per la corte d’appello di assumere anche d’ufficio i mezzi di prova necessari. Tuttavia ,benchè la relazione illustrativa si premuri di avvertire come <<la modifica vale ad escludere l’applicabilità della disciplina dell’appello dettata dal codice di rito e ad assicurare l’effetto pienamente devolutivo dell’impugnazione, com’è necessario attesi il carattere indisponibile della materia controversa e gli effetti della sentenza di fallimento,

37 che incide su tutto il patrimonio e lo status del fallito>>la questione non è poi cosi lineare e pacifica .Se infatti la novella del 2007 sembrerebbe voler sterilizzare ogni questione inerente l’applicabilità all’ impugnazione della sentenza di fallimento dei principi generali in materia di appello privilegiando la coerenza tra la fase id gravame ed il rito adottato in primo grado, dall’altro essa appare incongrua allo scopo :la norma infatti, prevede che il ricorso debba contenere i motivi dell’impugnazione e l’indicazione dei mezzi di prova ,analogamente a quanto imposto all’art.342 c.p.c ed al contrario degli art.739 e 669 terdecies c.p.c. La verità è che, come ha rilevato la dottrina più autorevole ,il nomen reclamo può rivelarsi neutrale rispetto alle classificazioni impugnatorie , sicchè è necessario verificare in virtù del nuovo mezzo impugatorio se il giudice del reclamo sia vincolato all’esame dei soli vizi dedotti (come accade normalmente in caso di appello)o possa estendere anche d’ufficio il proprio esame all’intera vicenda oggetto di tutela ,a prescindere dai motivi di censura .La corte di cassazione ,sul presupposto devolutivo pieno del processo di reclamo ,ha stabilito che ,a cagione della sua specialità essa non tollera limiti (anche probatori) previsti agli art.342 e 345 c.p.c in riferimento all’appello comune. La conseguenza è che il debitore ,benchè non costituito avanti al tribunale, possa indicare e produrre anche per la prima volta in sede di reclamo i mezzi di prova di cui intende avvalersi ,ad esempio al fine di dimostrare l’insussistenza dei limiti dimensionali di fallibilità. L’articolo 18 non dice espressamente se le parti possono depositare documenti o articolare nuovi mezzi di prova. Se ci ponessimo sul terreno dell'integrale recepimento,( in quanto non diversamente disposto dalla legge), delle norme della cognizione ordinaria, dovremmo predicare l'applicabilità in parte dell'art. 345 c.p.c., e concludere che nel giudizio di reclamo non sia possibile depositare documenti non versati agli atti del primo grado, ovvero chiedere nuovi mezzi di prova costituendi, a meno che la corte non li ritenga indispensabili ai fini della decisione, o la parte non dimostri di non aver potuto proporli nel giudizio di primo grado per causa ad essa non imputabile. La problematica non è di poco conto, anche e soprattutto sotto il profilo della salvaguardia dei diritti difensivi del fallito. Al riguardo, si è osservato che «aumentano statisticamente in modo imponente le ipotesi nelle quali il debitore non comparso in primo grado venga dichiarato fallito e ritenga di potersi difendere per la prima volta in sede di reclamo», sicché l'impossibilità, per questi soggetti, di introdurre in questa fase nuovi fatti impeditivi e nuove eccezioni in senso stretto, nonché nuovi documenti e nuove prove, li lascerebbe «irrimediabilmente falliti, pur se non dotati in concreto delle soglie quantitative minime che il legislatore ha ritenuto necessarie per poter utilizzare lo strumento del fallimento» (2). Secondo autorevole dottrina (2) Così A. Paluchowski, in P. Pajardi - A. Paluchowski, Manuale di diritto fallimentare, VII ed., Milano, 2008, 169

38 (3)la natura di cognizione ordinaria che ha oggi assunto il procedimento per dichiarazione di fallimento non può condurre l'interprete fuori dal solco dell'art. 345 c.p.c., tanto da scardinare - per effetto dell'illimitata apertura ai nova - le preclusioni maturate in sede dì istruttoria prefallimentare. La stessa Corte di cassazione ha, in un recente arresto, ritenuto che, nel giudizio di reclamo avverso la sentenza dichiarativa di fallimento, di cui al novellato art. 13 l.fall., «tale istituto, per quanto adeguato alla natura camerale dell'intero procedimento, non è del tutto incompatibile con i limiti dell'effetto devolutivo normalmente inerenti al meccanismo dell'impugnazione, attenendo comunque ad un provvedimento decisorio emesso all'esito di un procedimento contenzioso svoltosi in contraddittorio tanto è vero che il comma 2, n. 3, della citata norma prescrive che il reclamo deve contenere l'esposizione dei fatti e degli elementi di diritto su cui si basa l'impugnazione, con le relative conclusioni, e dunque solo entro tali limiti la corte d'appello può riesaminare la decisione del tribunale, non potendo essere messi in discussione i punti di detta sentenza {ed i fatti già accertati in primo grado) sui quali il reclamante non abbia sollevato censure di sorta» (4). L'assetto delle preclusioni che governano il giudizio di reclamo (che finiscono con il colpire per lo più il debitore) va, pertanto, opportunamente costruito a partire da tale disposizione, con le indubbie specialità recate dall'art. 18 l.fall. Al debitore fallito devono essere, innanzi tutto, riconosciuto il diritto di dedurre in sede di reclamo nuovi fatti principali, volti a neutralizzare i fatti costitutivi della dichiarazione di fallimento, ed il conseguente diritto di provarli, le quante volte non abbia potuto svolgere tali attività difensive in primo grado, per causa a lui non imputabile (5). In secondo luogo, sempre autorevole dottrina ritiene che il debitore - il quale abbia ritualmente eccepito in primo grado l'assenza di uno o più presupposti della dichiarazione di fallimento (e cioè uno o più fatti impeditivi o estintivi dei fatti costitutivi allegati nel ricorso di fallimento) - possa articolare o depositare col reclamo quelle prove e quei documenti nuovi, ancorché preesistenti e noti, ritenuti «indispensabili» ai fini della decisione, in quanto - nel quadro delle risultanze istruttorie già acquisite - «suscettibili di un'influenza causale più incisiva rispetto a quella che le prove, definite come rilevanti, hanno sulla decisione finale della controversia; prove che, proprio perché indispensabili, sono capaci di

(3)De Santis, Il processo per la dichiarazione di fallimento (4) Cass. 28 ottobre 2010, n. 22110,

(5)ad esempio, IL vizio della notifica del ricorso di fallimento, che abbia determinato la contumacia involontaria dei debitore, oppure al fatto sopravvenuto, rimasto ignoto alla parte senza sua colpa, o, ancora, l'ignoranza incolpevole circa l'esistenza di un documento, che farebbe venir meno i presupposti del fallimento (ad esempio, della ricevuta del pagamento del debito, che priverebbe il creditore istante della legittimazione a domandare il fallimento)

39 determinare un positivo accertamento dei fatti di causa, decisivo talvolta anche per giungere ad un completo rovesciamento della decisione cui è pervenuto il giudice di primo grado» (6). La previsione dell'art. 345 c.p.c. delimita, dunque, l'area delle novità che le parti (costituite o contumaci) dell'istruttoria prefallimentare possono introdurre in sede di reclamo. Per queste parti, inoltre, il gioco delle allegazioni potrebbe, in misura più o meno ampia, riaprirsi per effetto di due eventi previsti dall'alt. 18 l.fall. Il primo evento è rappresentato dal fatto che il reclamo sia introdotto da un terzo interessato, che non era parte dell'istruttoria prefallimentare, ovvero che intervengano nel giudizio di reclamo terzi legittimati a proporlo in via autonoma. A questi terzi (così come al curatore resistente, che è parte necessaria del giudizio di reclamo) non può non essere riconosciuta libertà di allegazione e di prova, stante l'autonoma legittimazione a reclamare prevista in loro favore dall'alt. 18, primo comma, Lfall. Di converso, al riconoscimento di poteri processuali al terzo reclamante e al curatore deve corrispondere il recupero di poteri processuali in capo alle parti originarie del processo, nel rispetto dei principi costituzionali del contraddittorio e della parità delle armi (7). Perciò, per le parti dell'istruttoria prefallimentare (ed, in specie, per il debitore), l'introduzione, ad opera del terzo, di fatti principali e di prove nuove, apre la strada alla formulazione di domande ed eccezioni consequenziali, nonché di prove contrarie, ancorché nuove, mantenendo inalterata la normale ripartizione degli oneri probatori. Il secondo evento suscettibile dì riaprire il gioco delle allegazioni probatorie in sede di giudizio di reclamo, è rappresentato dall'esercizio di poteri istruì- tori officiosi da parte della corte d'appello. Se ciò accade, alle parti del processo di gravame deve essere concessa la facoltà di depositare documenti ed articolare prove, che si rendano necessari in relazione ai mezzi officiosi, sul modello dì quanto oggi dispone, per il primo grado di giudizio, l'art. 183, ottavo comma, c.p.c. Nella vigenza del giudizio di opposizione alla sentenza dichiarativa di fallimento, in giurisprudenza era invalso il principio per il quale, stante il carattere officioso del processo, il giudice potesse prendere in esame, ai fini della prova relativa ai presupposti della dichiarazione di fallimento, tutte le risultanze processuali, senza distinzione tra oneri spettanti all'attore ed oneri spettanti al convenuto (8). Conformemente a quanto sopra esposto con riferimento

(6) Cfr. Cass., sez. un., 20 aprile 2005, n. 8203, in Pluris.

(7) Cosi M. Fabiani, Sud art. 18, in II nuovo diritto fallimentare. a cura di A. Jorio e M. Fabiani, I, Bologna, 2006, 374

(8) Così Cass. 26 luglio 1994, n. 6953, in Pluris. Secondo alcuni interpreti, anche l'attuale proposizione normativa, evocando l'esercizio di poteri istruttori officiosi, confermerebbe la natura inquisitoria del giudizio, facultando il giudice del gravame di disporre anche mezzi di prova che le parti hanno omesso di richiedere o fornire (cfr. A. Paluchowski, Manuale di diritto fallimentare, cit., 169 s.).

40 al giudizio di primo grado, è mia opinione che, alla corte d'appello che disponga mezzi di prova d'ufficio, sia inibito di andare autonomamente alla ricerca della prova di fatti principali, così supplendo alle carenze probatorie delle pani, potendo essa limitarsi a ricercare fonti di prova idonee a corroborare il convincimento su fatti già allegati, ma insufficientemente provati . Perciò, l'intervento officioso del giudice del reclamo non può ribaltare le regole dell'onere probatorio di cui all'art. 2697 c.c. In questo contesto si colloca altresì la problematica dell'acquisizione del fascicolo della procedura fallimentare, che il cancelliere, ai sensi dell’art. 90 l.fall., forma immediatamente dopo la pubblicazione della sentenza dichiarativa di fallimento. Difatti, in quel fascicolo potrebbero rinvenirsi atti o documenti che diano ragione dell'apprezzamento positivo in ordine allo stato d'insolvenza e consentano di esercitare il controllo sull'adeguatezza della motivazione della sentenza dichiarativa di fallimento. Si pensi alle risultanze dello stato passivo, se è vero che la considerazione dell'entità dei crediti ammessi al passivo del fallimento ben può dare ragione, pur se a posteriori, del convincimento del tribunale in ordine alla sussistenza dello stato d'insolvenza del debitore. Prima delle riforme, era consolidato in giurisprudenza il principio per il quale, nel procedimento di opposizione alla dichiarazione di fallimento, il carattere officioso ed inquisitorio del giudizio abilitava il giudice ad attingere la conoscenza di profili di tatto rilevanti per la decisione dagli atti del fascicolo fallimentare, indipendentemente dalla costituzione in giudizio del curatore e dalle sue produzioni documentali (9). In particolare, la sussistenza dello stato di insolvenza poteva essere correttamente desunta anche dalle risultanze non contestate dello stato passivo (10). È legittimo chiedersi se tali principi siano validi anche oggi, alla luce della natura e delle caratteristiche che le riforme fallimentari hanno impresso ai giudizi di reclamo. Secondo alcuni autori- nei limiti, sopra tracciati, entro i quali la corte d'appello può disporre mezzi di prova d'ufficio – è tuttora legittima l'acquisizione del fascicolo fallimentare, ma con almeno due precisazioni. Innanzi tutto, va ribadito il principio, già affermato dalla giurisprudenza con riferimento alla previgente opposizione a sentenza dichiarativa di fallimento, che il collegio può acquisire ii fascicolo fallimentare e da esso eventualmente desumere elementi o argomenti di prova, ma che si tratta di facoltà, il cui mancato esercizio non esonera la parte dalle conseguenze del mancato assolvimento dell'onere probatorio (11). Secondariamente, l'acquisizione del fascicolo fallimentare dovrebbe essere

(9) Cass. 26 marzo 2003, n. 4476, in Pluris.

(10) Cass. 6 settembre 2006, n. 19141, e Cass. 18 giugno 2004, n- 11393, entrambe in Pluris. (11) in questo senso v. Cass. 21 dicembre 2005, n. 28302, in Pluris; Cass. 9 maggio 2001, n. 6465, in Dir. fall.. 2001, II, 667, con nota di G. Ragusa Maggiore.

41 subordinata ad una termale ordinanza istruttoria della corte d'appello, nella quale si specifichi che l'acquisizione riguarda gli atti esistenti in quel fascicolo fino ad una certa data. Se si ammettesse l'ingresso automatico e continuo degli atti del fascicolo della procedura fallimentare in quello del giudizio di reclamo, «ci si troverebbe facilmente di fronte a prove documentali a inserzione variabile, visto che nella dinamica della procedura fallimentare è normale che vi sia una continua sequenza di atti che vengono inseriti nel fascicolo, con la conseguenza che non si potrebbe mai sapere quali sono gli atti oggetto dell'indagine e se questi atti siano stati conosciuti dalle parti» (12). E superfluo soggiungere che il travaso di atti dal fascicolo fallimentare a quello del giudizio di reclamo ne implica la piena estensibilità alle parti di quest'ultimo, alle quali deve essere concessa piena libertà di articolazione istruttoria in relazione alle risultanze degli atti acquisiti .L’art. 18 attribuisce la legittimazione ad impugnare al debitore e a qualunque interessato ,per tale dovendo intendersi non già chi è titolare di un generico interesse economico od anche solo morale alla revoca della dichiarazione di fallimento. bensì chi è titolare di situazioni giuridiche in qualche misura in concreto modificate ,anche indirettamente ,da tale dichiarazione.A riguardo la giurisprudenza è molto vasta: sono ricompresi l’ex amministratore della società fallita (alla cui posizione va equiparata quella dell’amministratore in carica ,laddove agisce iure proprio);i parenti o eredi persona fisica del fallito ,per esempio. Per quanto concerne invece la legittimazione passiva, il ricorso deve essere notificato al curatore ed alle altre parti(ovvero quelle che hanno partecipato al procedimento prefallimentare :il creditore su impulso del quale si è svolto il giudizio, e il debitore se non opponente).Il reclamo avverso la sentenza dichiarativa di fallimento va notificato anche al Procuratore della Repubblica presso il Tribunale ,al quale spetta la legittimazione all’impugnazione ,in qualità di ufficio del pubblico ministero presso il giudice che ha pronunciato la sentenza impugnata.

42 3.2 Il nuovo articolo 22:punti di contatto e differenze con la disciplina dettata ex articolo 18 l.f

La relazione all’atto del Governo 540 riguardante lo<<schema di decreto legislativo recante la riforma organica della disciplina delle procedure concorsuali di cui alr.d 16/3/1942,n.2>> afferma che con la riforma è stato <<profondamente rivisitato il sistema dei gravami contro il decreto del tribunale che respinge il ricorso per la dichiarazione di fallimento>> .In realtà non sembrano così innovative e dirompenti le modifiche apportate all’art .22 l.fall.,ciò se si considera che la previgente normativa era già stata modificata per effetto di due interventi della Corte Costituzionale (1),modifiche poi recepite dal legislatore nel testo riformato dell’art.22 l.fall. Il provvedimento di rigetto è adottato dal tribunale all’esito della verifica dell’insussistenza dei presupposti, soggettivi e /o oggettivi ,che ai sensi dell’articolo 1 l.fall. danno luogo alla dichiarazione di fallimento(2) o ancora quando c’è un difetto di legittimazione in capo al soggetto