• Non ci sono risultati.

Orfej i Artemida (Orfeo e Artemide) è datata ottobre 1964. Quando

la scrive, Iosif Brodskij si trova al confino, nel villaggio Norenska- ja; Brodskij si trova, quindi, nel Settentrione della Russia. Alla fine di gennaio, dopo essere andato a Tarusa da Leningrado a trovare Viktor Golyšev, scrive l’ultima poesia da uomo libero: Voron’ja pesnja

(Il canto dello stormo di cornacchie). Giunge a Norenskaja alla fine di marzo, per lasciarla definitivamente solo diciotto mesi più tardi, alla fine di settembre del 1965.

Dopo il secondo processo, subito il 13 marzo 1964, Brodskij viene condannato a cinque anni di lavoro coatto. A Norenskaja riceve la visita di numerosi amici e a maggio E. Gres e V. Gindlis gli portano un regalo da parte di Frida Vigdorova: una macchina da scrivere. Nel mese di maggio giunge A. Babenyšev, che gli porta un volume di poesie di John Donne; seguono le visite della madre e del padre, di G. Ginzburg-Voskov, di K. Samasjuk e a dicembre di A. Azadovskij e Michail Mejlach. Soprattutto, però, nel mese di ottobre, quando viene scritta la poesia, giungono a Norenskaja Jakov Gordin e Igor’ Efimov; in seguito, Gordin gli spedirà il volu- me del romanzo di Thomas Mann La montagna incantata, dono che

si riflette nella poesia Dva časa v rezervuare (Due ore nel serbatoio)

dell’anno seguente.

Una notazione curiosa nei riguardi di John Donne: circa una ventina di anni dopo, Brodskij definisce il problema di quanto il po- eta inglese abbia o meno influenzato la sua poetica «una scemenza». Egli riconosce l’influsso di Donne solamente sull’organizzazione del verso e, con una probabile buona dose di ironia, parla di «un poeta infinitamente più profondo di me»75.

Mentre scrive Orfej i Artemida, Brodskij sembra non avere solle-

citazioni dirette all’uso di un intertesto classico. La non presenza di un intertesto classico è, però, smentita dalla narrazione del mito di Orfeo e Euridice, che si trova nelle Metamorfosi di Ovidio76. Sembra plausibile che Brodskij abbia conosciuto l’universo della mitologia classica soprattutto per il tramite dell’opera ovidiana. Ovidio è per altro presente sia nella poesia di Anna Achmatova, sia e soprattutto

stefania Pavan, Lezioni di poesia. Iosif Brodskij e la cultura classica il mito, la letteratura,

la filosofia, isbn 88-8453-472-9 (online), ccPl non commerciale-non opere

in quella di Osip Mandel’štam, che addirittura ha ripreso dal poeta latino il titolo Tristia. Si può azzardare una importante differenza:

per Mandel’štam il dialogo avviene soprattutto con le opere del terzo periodo dell’attività poetica di Ovidio, quello della relegatio,

della composizione di Tristia e delle Epistulae ex Ponto; per Anna

Achmatova è importante il primo periodo della poesia ovidiana, quello della poesia elegiaco-amorosa, degli Amores, delle Heroides;

Brodskij si avvicina e fa propria soprattutto, anche se non solo, la poesia del secondo periodo di Ovidio, il periodo della poesia epico-mitologica, quello delle opere narrative di più ampio respiro, le opere più complesse nelle quali evidente è il sostrato filosofico, i quindici libri del Metamorphoseon e i sei libri compiuti dei Fasti.

Questa differenza non è stata sino ad oggi notata da coloro che hanno indagato i legami tra Brodskij e il testo della cultura classica. La tripartizione, comunemente accettata, del testo ovidiano ha però valore soprattutto di sistematizzazione espositiva, perché:

[…] il filo sottile della passione, sia questa erotica, dramma- tica o nostalgica, e non ultima quella del piacere letterario, che determina la perenne mutabilità delle cose e degli esseri umani, percorre e unifica tutta la sua opera77.

Le emozioni violente e persistenti sono in Ovidio e in Brodskij velate, trasformate, esaminate spesso col necessario ed esperito distacco, condite con l’ironia e con l’affermazione costante della supremazia poetica. Ambedue non hanno inteso rappresentare una vicenda personale, bensì una vicenda comune e diffusa; per questo ambedue hanno spesso regalato, estraniandosi, la loro vicenda umana e personale ad altri attori-personaggi e per questo ambedue hanno regalato concetti e categorie generali.

Il legame dialogico tra Ovidio e Brodskij si realizza sia sul piano artistico che su quello umano; curioso che ambedue abbiano scritto una propria autobiografia attraverso passi e luoghi diversi della loro poesia. È opportuno, dato che troppo spesso si delinea un parallelo tra i due esilî, ricordare che Ovidio non visse il trauma del passaggio tra lo Stato repubblicano e la fondazione del Principato di Augusto, viceversa Brodskij visse appieno il trauma dei primi anni Settanta del XX secolo e della definitiva chiusura di ogni possibilità di espressione libera. Ovidio nasce nel 44 a.C., l’anno successivo all’uccisione di Caio Giulio Cesare, e ha circa 13 anni quando nel 31-30 a.C. hanno

57

Orfej i Artemida

termine le lotte civili, prima con la vittoria di Ottaviano su Antonio ad Azio, e quindi con l’occupazione di Alessandria e il suicidio di Cleopatra. Brodskij nasce nel 1940, vive da adolescente il periodo del disgelo, attraversa da giovane uomo il periodo controverso ma ancora ricco di attese e speranze dei primi anni Sessanta, subisce processi e confino al Nord e, infine, l’esilio a soli 32 anni. La relega- tio di Ovidio è dell’8 d.C., quando egli ha già 52 anni. Un passo da Tristia basta, invece, a ristabilire le basi del loro comune universo

dialogico, basato sulla poesia come scelta di vita, sulla poesia come vita stessa:

Senza che me ne accorgessi la Musa mi conduceva al suo ministero. […] Ero scosso da quelle parole e, lasciato perdere l’Elicona, provavo a scrivere un discorso non vincolato dal ritmo. Ma senza volere affiorava la poesia con le sue cadenze e qualunque cosa tentassi di scrivere aveva l’andamento dei versi78.

Soprattutto, i quindici libri delle Metamorfosi presentano circa due-

centocinquanta miti, uniti dal motivo della trasformazione; vera e propria biblioteca di miti e delle trasformazioni-metamorfosi che le creature subiscono, acquisendo una vita perenne sia pure in for- me in costante mutazione, le Metamorfosi hanno lasciato in eredità

l’esametro ovidiano. Non a caso, esse iniziano con il mito, proprio alla Teogonia di Esiodo, che vede il caos primitivo trasformato in kosmos e, quindi, per il poeta il chaos inteso come vuoto in origine

che solo la parola può e deve riempire79. Non a caso, nel Libro XV Ovidio mette in bocca a Pitagora il famoso discorso sull’universo inteso come luogo di trasformazione perenne. Se ricordiamo che Ovidio sottolinea come in ogni nuova forma trasformata persista il ricordo doloroso, le tracce, della forma precedente, possiamo anche supporre che Brodskij, sin da questa poesia del 1964-1965, percepisce che in ogni poeta esiliato, e quindi anche in se stesso, continua a sussistere l’esistenza di una forma di vita precedente e ormai trasmutata. Talvolta, come per le creature delle Metamorfosi, la

trasformazione può essere l’unica via di uscita, la sola praticabile. Quando Brodskij traccia un segno di eguaglianza tra il principio della rima e l’inerzia con cui si stabilisce un rapporto di coppia e/o di eguaglianza tra una cosa e l’altra, l’intertesto complesso con il fenomeno della metamorfosi è chiaro. La rima, dunque, è la meta-

morfosi secondo il poeta, che gli permette di collegare idee e cose solo in apparenza molto distanti tra loro. Il poeta, con la rima, è in grado di creare collegamenti tanto singolari da divenire autonomi, entità autonome. Brodskij va oltre e collega la metamorfosi alla scrittura bustrofedica, alla scrittura che corre sulla riga da sinistra verso destra fino al margine per poi ricominciare da destra a sinistra; si crea una scrittura che dà un’idea di continuità nella diversità; la svolta della scrittura è un cambiamento, una metamorfosi e, so- prattutto, un versus80. Si è tentati di pensare che l’intera storia della poesia, quando i poeti sono veramente tali, sia un unico lungo verso denso di echi reciproci.

Esaminando il titolo, il primo nome è quello di Orfeo. Brodskij scriverà nel 1994 un saggio sul poema Orfeo. Euridice. Ermete di Rainer

Maria Rilke dove, sottolineando l’assenza del punto dopo il nome di Ermete, afferma:

Perché egli è un dio, e la punteggiatura è la provincia dei mortali. Come minimo, un periodo dopo il nome di un dio non va bene, perché gli dei sono eterni e non possono essere tenuti sotto controllo. […] L’uso della divinità in poesia ha la propria etichetta, che risale quanto meno al medioevo e Dante, ad esempio, mette in guardia contro il far rimare qualunque cosa del Pantheon cristiano con nomi di basso livello81.

L’intervento divino, il legame tra la divinità e il poeta è, comunque, reso possibile dal fatto che il poeta è colui che ha il dono della parola: Orfeo, il cantore tracio, figlio del re Eagro e della Musa Calliope, il cui mito ritroviamo anche nella poesia più tarda Post aetatem nostram. Orfeo era il più famoso poeta e musicista mai esi-

stito, avendo ricevuto la lira in dono da Apollo e l’insegnamento di come usarla dalle Muse; egli è, quindi, l’ur-poeta, il primo e più antico dei poeti. Il suo canto ammansiva le belve, e gli alberi e i massi si muovevano per seguirlo. Questo potere è collegato all’uso, attribuito ad Orfeo, dell’antico alfabeto di tredici consonanti, che si basava su di una sequenza stagionale di alberi ed animali sim- bolici. Il che potrebbe anche aprire uno spiraglio sull’utilizzo di nomi ben precisi di alberi e di un ben definito bestiario da parte di Brodskij, sottolineando il potere assoluto dell’alfabeto su tutta la natura e, di conseguenza, di colui che l’alfabeto sa usare meglio di chiunque: il poeta.

59

Orfej i Artemida

Appare ormai accreditato che l’alfabeto greco fosse una sem- plificazione dei geroglifici cretesi; l’ipotesi che il primo alfabeto scritto sia nato in Egitto, durante il diciottesimo secolo prima di Cristo, per influenza cretese, è citata in Plinio82, secondo il quale un egiziano chiamato Meno (luna) inventò l’alfabeto quindici anni prima del regno di Foroneo re di Argo. Ora, Plinio e le sue storie sono citate nelle poesie di Brodskij; possiamo, quindi, supporre che egli avesse letto e conoscesse l’autore latino, tanto più nei passi che riguardano quell’alfabeto, quella lingua e quella scrittura che sono fondamentali per la poetica83.

Meno, citato in Plinio, si collega all’ipotesi per cui già in pre- cedenza esisteva un alfabeto in Grecia, un alfabeto iniziatico e per iniziati, il cui segreto era custodito dalle sacerdotesse della Luna. Tale alfabeto era legato quindi al calendario; non esistevano segni che rappresentassero le lettere; esse erano invece rappresentate da ramoscelli recisi di alberi di specie diverse, ciascuno dei quali era a sua volta legato ad un mese dell’anno. Secondo il calendario lunare, l’anno cominciava due giorni dopo il solstizio d’inverno, ogni mese era di ventotto giorni, con una serie quindi di tredici mesi. A tale calendario corrispondeva la serie di consonanti e alberi: B betulla o olivo selvatico, L frassino di montagna, N frassino, F ontano o corniolo, S salice (SS o Z prugno selvatico), H biancospino o pero selvatico, D quercia o terebinto, T agrifoglio o quercia spinosa, C noce (CC o Q melo o sorbolo), M vite, G edera, NG o GN giunco o palla di neve, R sambuco o mirto. Ogni vocale rappresentava la quarta parte di un anno: O ginestra era l’equinozio di primavera; U erica il solstizio d’estate; E pioppo l’equinozio d’autunno; A abete e I tasso, assieme, il solstizio d’inverno, quali alberi rispettivamente della vita e della morte.

Il rifarsi alla narrazione sulla nascita dell’alfabeto e, quindi, della parola espressa in segni necessaria alla poesia scritta, potrebbe, come già detto, gettare una luce particolare sull’utilizzo delle immagini trat- te e dalla natura e dalla zoologia, frequenti nelle poesie di Brodskij. Inoltre, la narrazione della nascita dell’alfabeto aiuta anche a dipanare lo stretto intrecciarsi nelle sue poesie delle figure mitiche di Ermete, Apollo, Dioniso, Artemide, Orfeo e Teseo, con quelle storiche di autori e filosofi greci e latini, nonché con gli avvenimenti storici a cui questi ultimi fanno spesso riferimento nelle loro opere.

Non a caso, Orfeo compie un viaggio in Egitto, dopo il quale si unisce agli Argonauti, partendo per la Colchide e con la sua musica

li aiuta a superare molte difficoltà. Affranto per la morte dell’amata sposa Euridice, discende nel Tartaro e, all’arrivo nell’oltretomba, incanta con la propria musica il traghettatore Caronte, il cane Cerbero e i tre giudici dei morti, soprattutto, fa cessare per un certo tempo le torture dei morti. Purtroppo, egli è destinato a perdere per sempre l’amata sposa Euridice per avere disobbedito al comando di Ade di non guardarsi alle spalle, quindi di non gi- rarsi, sino a che Euridice non fosse uscita alla luce del sole. Orfeo scende nell’oltretomba per recuperare Euridice, ottiene di poterla riportare indietro con sé, ma si volta, compie quel movimento bustrofedico che gli era stato vietato e, con ciò, perde per sempre l’amata sposa.

A sua volta, morirà dilaniato da uno stuolo di Menadi, da no- tare che esse erano adepte di Dioniso, la divinità tradizionalmente opposta ad Apollo. La testa di Orfeo fu gettata nel fiume Ebro dal quale, galleggiando e continuando a cantare, fu portata sino all’isola di Lesbo, centro della musica lirica. Le membra di Orfeo vennero raccolte dalle Muse e sepolte ai piedi del monte Olimpo, a Libetra, là dove il canto degli usignoli si fece da allora più dolce che in qualsiasi altra parte del mondo. Da questo mito trae origine il valore dominante del canto dell’usignolo, inteso come canto della poesia e sostenuto dall’estensione vocale di questo canto. Anche la lira di Orfeo, trasportata dalle acque dell’Ebro, giunse a Lesbo e venne deposta nel tempio di Apollo che la pose in cielo, facendola diventare l’omonima costellazione. Questa narrazione del mito di Orfeo si trova nelle Metamorfosi di Ovidio84.

E ancora in questo saggio, poco oltre, Brodskij sottolinea che la parola ‘verso’ viene dal latino versus, che significa ‘svolta’, è una

svolta che indica quindi una peculiarità del poeta e si può conclu- dere che Orfeo perde la sposa nel momento in cui compie un atto poetico: si gira, disobbedisce agli dei, diviene egli stesso un «abitante del cielo», non per nulla, il mito lo tramuta in ultima analisi in una costellazione85.

Interessante anche che la testa di Orfeo, deposta nella grotta di Antissa, cara a Dioniso, abbia cominciato a profetizzare; Orfeo è diventato così profeta, oltre che cantore e musicista, riunendo in sé le tre componenti fondamentali dell’autentica poesia. La testa pro- fetizzante divenne la più ascoltata, tanto da destare l’ira di Apollo, i cui santuari venivano disertati, Apollo le ordinò quindi di tacere per sempre. Orfeo, il poeta, riunisce in sé le due componenti divine: i

61

Orfej i Artemida

sensi, ovvero Dioniso, e l’intelletto, ovvero Apollo; ciò che negli dei è separato, nel poeta è riunito.

Se Brodskij già allora, nel 1964, conosce la poesia di Rainer Maria Rilke, va anche ricordato che il terzo nome citato, Ermete, è parti- colarmente significativo. Rilke era conosciuto sia nella traduzione di Boris Pasternak, sia in quella, molto apprezzata da Anna Achmatova, di Andrej Sergeev. Ermete, figlio di Zeus e di Maia, messaggero degli dei, dio della scaltrezza e dei commerci, guida le anime dei morti verso l’Ade ma, soprattutto, è considerato l’inventore della lira, strumento del quale fece dono al dio Apollo. Se prima abbiamo trovato un Orfeo che perde la vita ad opera delle seguaci di Dioniso, adesso troviamo un dio che dona ad Apollo lo strumento simbolo dei cantori. Come già scritto, Ermete riproduce anche in segni i suoni del primo alfabeto, motivo essenziale per il poeta Iosif Brodskij.

Rimane ora da esaminare la seconda divinità, il cui nome dà il titolo alla poesia: Artemide. Figlia di Zeus e di Latona, è sorella di Apollo; dea della castità e della caccia, viene spesso identificata in una dea lunare, soprattutto in dipendenza dello stretto legame con il ciclo della terra. Il motivo richiama la nascita del primo alfabeto, iniziatico. Ma chi è il poeta, se non l’iniziato per eccellenza?

Più che sorella gemella di Apollo, Artemide è la parte comple- mentare di Apollo, legata a lui da fratellanza e opposizione. Apollo è divinità solare, tanto quanto Artemide è lunare; l’uno agisce nella luce e nell’ordine, mentre l’altra nelle tenebre e al di fuori dell’ordine. Né sposa, né madre, cacciatrice che abita i boschi, spesso feroce, basti ricordare il famoso sacrificio richiesto ad Agamennone della figlia Ifigenia. Il suo mondo sembra essere quello che precede il vivere civile organizzato e non a caso la dea aiutava gli uomini a nascere, come protettrice dei parti, ma anche a rinascere nella condizione di adulti. Quindi, Artemide che aiuta Orfeo a rinascere nella propria condizione di poeta.

Un’altra osservazione, la natura che Artemide protegge è quella dove la vita si spegne e si rigenera in continuazione, è la natura che conserva per l’uomo un senso di estraneità e di mistero. Era diffusa la credenza che Artemide, assieme al fratello Apollo, all’ini- zio dell’autunno abbandonasse i territori della Tracia, per svernare nel paese degli Iperborei. Nella famosa Letter to Horace (Lettera ad

Orazio), Brodskij definisce se stesso e i suoi compatrioti «abitanti di Iperborea». Si potrebbe anche notare come il legame con la natura rimandi al tema dell’alfabeto, di cui si è detto.

La poesia inizia proprio con il poeta, il cantore, che né è impazzi- to né si è zittito, nonostante il sopraggiungere dell’inverno. Brodskij non usa la parola «поэт» (poeta), bensì «песнопевец» (cantore), marcando il legame con la musa Melpomene e con la tradizione che vuole la poesia arte nata con la musica, accompagnata dalla musica. Questo legame giustifica i frequenti accostamenti della figura del poeta a quella di un uccello, l’animale che è connotato dal canto, il più delle volte identificato con un’estrema esattezza ornitologica e in specie che variano a seconda della poesia stessa86. In questo caso, il cantore è «как дятел-краснодеревец» (come il picchio intarsiatore). Egli, come il picchio, sale sulla cima del pino «чтоб расширить свой кругозор» (per allargare il proprio orizzonte); il poeta, come l’uccello, si alza in alto per allargare, concretamente e metaforicamente, il proprio orizzonte, per vedere meglio e di più, per comprendere ciò che agli altri non è dato vedere o compren- dere. La prima delle tre ottave che compongono la poesia, termina significativamente con i due versi: «разглядев получше узор, / оттеняющий белизну» (avendo meglio compreso il disegno, / che crea ombre al biancore). Interessante anche che il picchio, secondo i montanari arcadici, preannunciasse le benefiche piogge d’estate, battendo col becco sui tronchi.

Avendo utilizzato il termine ‘ottava’, è opportuno specificare che quella di Brodskij in questo caso diverge da quella canonica: strofa di otto versi endecasillabi, di cui i primi sei a rima alternata e gli ultimi due a rima baciata; gli endecasillabi brodskiani rimano secondo lo schema ABBACDDC per la prima e la seconda ottava, mentre nell’ultima la rima segue lo schema AABBCDDC.

La seconda ottava si apre con un’immagine che spiega da cosa sia formato il ‘disegno’ con cui si chiudeva la strofe precedente: è la miriade di tracce di neve che ha ricoperto le vette, «будто / в постели красавицы утро / рассыпало жемчуга» (come se / il mattino il letto della bella / avesse cosparso di perle). Il paragone sposta l’occhio mentale da un esterno naturale ad un interno, dove l’unico oggetto degno del letto di una bella donna sono le perle di cui lo cosparge la luce del mattino.

Il quinto e il sesto verso riportano il lettore all’esterno, dove i boschetti e i sentieri sparsi hanno ingarbugliato i fili, facendo perdere la strada, come si comprende dagli ultimi due versi che introducono un paragone, privo di una qualunque particella di congiunzione, che viene addirittura dopo che un punto ha chiuso i due versi precedenti:

63

«Не по плечу Артемиде / их собрать в бугорок» (Supera le forze di Artemide / riunirli nell’altura). A proposito di «бугорок» (altura), nel linguaggio gergale russo degli anni Sessanta la parola è sinoni- mo di confine dell’Unione Sovietica, il che apre una prospettiva di

Documenti correlati