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Le origini dell’Environmental Life Cycle Thinking risalgono agli anni ‘60, quando furono redatti i primi bilanci energetici e di massa, sotto la spinta di una crescente preoccupazione per i problemi relativi all’esauribilità delle risorse e alla produzione di reflui industriali.

Si ricorda come primo esempio uno studio condotto da Harold Smith – l’indagine riguardava il calcolo dell’energia richiesta per la produzione di intermedi chimici – e presentato alla World Energy Conference del 1963. La relazione di Smith, seppure marginalmente, trattava aspetti di valutazione degli impatti ambientali.

Alla fine degli anni ’60, alcuni ricercatori intuiscono che per analizzare efficacemente le problematiche ambientali connesse ai sistemi produttivi occorre utilizzare metodi scientifici che esaminino tutti gli step della filiera: estrazione delle materie prime, produzione, imballaggio, utilizzo, fine vita, senza dimenticare le fasi intermedie di trasformazione e trasporto (Baldo & alii, 2005).

L’analisi “from cradle to grave” non assume da subito il significato di analisi LCA; la denominazione LCA arriva solo più tardi, quando ci si rende conto che l’interesse deve spostarsi dai singoli step produttivi al sistema nella sua interezza e complessità. Inizialmente, si adottano terminologie quali “cradle to grave analysis”, “resource and environmental profile analysis” – poi abbreviato metodo REPA, “life cycle analysis”, “ecobalance”, “energy and environmental analysis”.

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Questo tipo di approccio è del tutto innovativo per i tempi. Per la prima volta il focus cambia: da processo a “sistema prodotto”45. Fino ad allora l’attenzione è incentrata sull’analisi dei singoli processi/componenti separatamente. Si trascura il fatto che i benefici ottenuti localmente in una fase possano influenzare/modificare le prestazioni altrove, all’interno del sistema tecnologico esaminato o al di fuori della filiera (sfera ambientale). Il rischio di una visione riduttiva, potremmo dire a “compartimenti stagni”, è quello di non ottenere risultati migliorativi nel complesso, o addirittura di peggiorare il bilancio generale.

Un esempio molto attuale dell’importanza di attuare un approccio “dalla culla alla tomba” è rappresentato dal dibattito in corso sulla produzione di biocombustibili; per effettuare un valido bilancio occorre tenere presente tutte le fasi, valutando sia i benefici – come ad esempio la riduzione della CO2 footprint relativa alle emissioni

veicolari ─ che i potenziali svantaggi – modifica di destinazione d’uso del territorio e di estensione delle superfici coltivabili destinati all’agricoltura (Humpenödera & alii, 2013).

Negli anni ’70, negli Stati Uniti, si sviluppano le prime applicazioni della teoria LCT. Alcuni ricercatori della Midwest Research Institute (MRI), su commissione di alcune grandi aziende industriali e sotto il patrocinio dell’Agenzia per la protezione dell’ambiente EPA (US Environmental Protection Agency), conducono i primi studi comparativi su diversi contenitori per bevande, con l’obiettivo di determinare il packaging con il minor impatto in termini di emissioni, consumo di risorse e più eco- compatibili a fine vita. L’obiettivo era sì caratterizzare il ciclo di vita dei differenti contenitori, ma in ultima battuta confrontare le prestazioni dei diversi materiali impiegati

45 Per “prodotto” o “sistema di prodotti” si intende qualsiasi bene o servizio così come definito nel

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per le medesime applicazioni. Vennero definiti indagini REPA - Resource and

Environmental Profile Analysis. E da quel momento appare chiaro uno dei principi che

sarà alla base di una tra le più comuni applicazione della metodologia LCA: non si possono comparare in modo assoluto materiali diversi, bensì solamente funzioni equivalenti realizzabili, a parità di prestazioni, con materiali alternativi.

Tra le summenzionate ricerche si ricorda quella del 1969, sponsorizzata dalla Coca Cola Company, tra le prime industrie ad applicare il metodo REPA conducendo una analisi multi-criteri comparativa su diversi tipi di imballaggio; il fine era quello di valutare quale materiale (vetro, alluminio, plastica) e quale strategia di impego a fine vita (a perdere o a rendere) fosse più eco-compatibili ed energeticamente favorevole (Baldo & alii, 2005).

Nel frattempo, in Europa, si sviluppa un approccio simile denominato Ecobalance e viene pubblicato il “manuale di Analisi Energetica” di Bouestead e Handcock (1979), considerato una delle pietre miliari della metodologia: esso riporta una prima descrizione della procedura che trova ancora la sua validità nell’attuale procedimento LCA (Bouestead & Hancock, 1979).

Negli anni ’80 e ’90, le crisi petrolifere e le emergenti problematiche ambientali - la destinazione dei rifiuti, il riscaldamento globale, la limitatezza delle risorse, le crisi energetiche - costringono ad abbandonare la teoria economia classica a favore dell’affermarsi consapevole del nuovo concetto di “sviluppo sostenibile”, già enunciato nel Capitolo 1. Diventa chiaro che i ritmi con cui l’umanità sfrutta le risorse ambientali superano il tasso di rigenerazione delle stesse.

In questo contesto, l’interesse delle aziende nei confronti dell’ambiente cresce e cominciano così ad affermarsi diverse tecniche per analisi di tipo ambientale. Consulenti, aziende e istituti di ricerca lavorano, talvolta congiuntamente talvolta in

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parallelo per sviluppare, diffondere ed affinare la metodologia. In quel periodo l’analisi LCA riceve una notevole spinta propulsiva, e si trova a convivere con altri metodi basati sull’approccio Life Cycle Thinking, quali il Life Cycle Costing (LCC), l’Environmental LCC, il Life Cycle Accounting ecc.

Gli anni ’80 si concludono tuttavia con una situazione di grande confusione; rapporti ambientali effettuati sugli stessi prodotti (funzionalmente equivalenti) contengono risultati spesso contrastanti. Tali studi si fondano su dati, metodi e terminologie differenti, questo il motivo delle incongruenze riscontrate. Appare evidente la necessità di implementare delle linee guide chiare per l’applicazione delle differenti metodologie.

Conseguentemente, negli anni ’90 prende il via il processo di standardizzazione dei vari metodi, sotto il patrocinio della Society of Environmental Toxicology and Chemistry (UNEP, 1996).

La SETAC fornisce un contributo rilevante a tale processo, elaborando le prime linee guida LCA raccolte in “A code of practice” (1993). Nello stesso anno la International Organization for Standardization (ISO) prende la leadership del processo. SETAC costituisce diversi gruppi di lavoro in Europa (LCA Steering Commitee) e in Nord America (LCA Advisory Group), con l’intento di diffondere la conoscenza e promuovere sviluppi ulteriori della metodologia LCA. ISO e SETAC trovano un valido partner per questa “missione” nell’UNEP (United Nations for Environmental Programme) - (Klöpffer, 2006). Nel 1996 l’UNEP pubblica un rapporto dettagliato sullo stato di applicazione dell’analisi LCA, definendola una tecnica innovativa di valutazione di impatto ambientale – l’equivalente della procedura VIA per gli impianti. Gli esperti dell’UNEP ritengono che” Life cycle assessment is a decision support tool

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can be used by governments and by companies as well as by NGOs and individual

consumers when making decisions related to products […].” 46 (UNEP, 1996).

Il risultato più importante dell’impegno della comunità scientifica e di suddetti enti è la pubblicazione, nel 1998, delle norme tecniche della serie ISO 14040, che costituiscono un quadro di riferimento per la definizione e l’applicazione della metodologia LCA riconosciuto e accettato al livello internazionale.