NIEVO E LA LETTERATURA ITALIANA TRA CINQUECENTO E TRECENTO: ARIOSTO E DANTE
3.1 Orlando furioso e Satira V: Ludovico Ariosto nelle Confessioni d’un Italiano
La sistematica analisi intertestuale, via via oggetto sempre più manifesto di questo lavoro incrociato, che ha come fulcro Le Confessioni d’un Italiano di Ippolito Nievo, assume significato nel suo senso più generale, in quanto “relazione tra testi”, senza dimenticare però l’accezione ristretta che Gerard Genette le ha attribuito.1 Tralasciando il concetto genettiano di “transtestualità” e racchiudendo l’intera gamma di significati sotto il più comune e largamente utilizzato concetto bachtiniano di “intertestualità”, è interessante tenere in considerazione la distinzione che compie Genette tra “ipotesto” e “ipertesto”: il primo indica sostanzialmente il testo di partenza, l’opera prima a livello letterario e cronologico, lo scritto conosciuto da Nievo, in questo caso, e richiamato dallo stesso come sotto-testo (dal greco ypo), più o meno velatamente, all’interno del proprio ipertesto derivato, che può mutarne il genere in serio, parodico, satirico o pastiche. Il legame, quindi, tra ipotesto (Orlando furioso) e ipertesto (Le Confessioni d’un Italiano), in relazione all’incidenza ariostesca all’interno dell’opera nieviana, necessita di spiegazioni e, a mio avviso, di risposte ad alcuni quesiti di fondo: che cosa lega Nievo ad Ariosto e a che livello il primo era conoscitore dell’opera del secondo? Che tipo di rapporto intercorre tra i due testi? In che modo Nievo riutilizza il materiale ariostesco?
I volumi che facevano parte della biblioteca di casa Nievo sono conosciuti grazie ad una Nota nieviana,2 ad opera della Samaritani e della Zambon, attraverso la quale si è potuta rilevare la predominanza di autori classici latini (Tito Livio, Orazio, Euclide,
1 G. Genette, Palinsesti, Torino, Einaudi, 1997. Il critico letterario e saggista francese, infatti, si serve del termine “transtestualità” per indicare le relazioni, manifeste o segrete, di un testo con altri testi. All’interno della “transtestualità”, inoltre, sono presenti differenti categorie, tra cui l’intertestualità, definita come la presenza di un testo in un altro sotto forma di citazione, plagio o allusione; e l’ipertestualità, ossia l’inserzione di un testo in un altro, concetto che più si avvicina alla definizione generalizzata coniata da M. Bachtin, in Estetica e romanzo, Torino, Einaudi, 2001.
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Cicerone, Seneca, Terenzio, Cornelio Nepote, Tacito, Properzio, Virgilio) e greci (Plutarco, Omero), che vi erano presenti, di storiografia settecentesca e di romanticismo ottocentesco francese, senza dimenticare i numerosi autori italiani, tra cui Goldoni, Tasso, Boiardo, Cesarotti, Tassoni, Sannazzaro. Tuttavia, questa fu l’eredità del nonno di Ippolito, non l’effettiva biblioteca che la famiglia di Antonio e Adele Nievo aveva messo a disposizione del figlio. Serva, quindi, da punto di partenza. Pertanto, è facilmente ipotizzabile la presenza dell’Orlando furioso di Ludovico Ariosto, a fianco degli attestati Boiardo e Tasso, esponenti principali della letteratura cavalleresca italiana quattro-cinquecentesca, sia fisicamente in volume sia sotto forma di reminiscenze scolastiche.
Sulla presenza di temi e figure ariosteschi nell’opera di Nievo, ha scritto un contributo fondamentale la studiosa francese Elsa Chaarani-Lesourd, dal titolo Variations
nieviennes sur des figures de l’Arioste, Le Confessioni d’un Italiano, hypertexte du Roland furieux.3
Pertanto, non trascorrono molte pagine dall’inizio del romanzo che il nome di Ariosto emerge in correlazione all’ironico ed ossimorico dialogo tra il vecchio Conte e il figlio Orlando, futuro Monsignore, già preso a modello in precedenza per evidenziare il rapporto con la storia della Gertrude manzoniana. Il paladino Orlando d’ariostesca memoria è posto in contrasto con l’Orlando nieviano, che viene così chiamato dal padre per indirizzarlo alla «professione delle armi», che lui, con effetto comico, rifiuta ed aborrisce in nome della fede cristiana:
– Tu porti un nome superbo – riprese sospirando il vecchio Conte. – Orlando, come devi aver appreso dal poema dell’Ariosto che ti ho tanto raccomandato di studiare...
– Io leggo l’Uffizio della Madonna; – disse umilmente il fanciullo.
– Va benissimo; – soggiunge il vecchio tirandosi la parrucca sulla fronte – ma anche l’Ariosto è degno di esser letto. Orlando fu un gran paladino che liberò dai Mori il bel regno di Francia. E di più se avessi scorso la Gerusalemme
liberata sapresti che non coll’Uffizio della Madonna ma con grandi fendenti
di spada e spuntonate di lancia il buon Goffredo tolse dalle mani dei saracini il sepolcro di Cristo.4
3 E. Chaarani-Lesourd, Variations nieviennes sur des figures de l’Arioste. Le Confessioni d’un Italiano, hypertexte du Roland furieux, in La renaissance italienne, images et relectures. Mélanges à la mémoire de Françoise Glénisson, “P. R. I. S. M. I.”, n. 3, Culture et société dans les lettres italiennes, 2000, pp. 351-68.
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Ariosto, dunque, e Tasso al suo fianco aprono, per così dire, il romanzo attraverso la prima rievocazione dell’ottuagenario (che può tramandarla perché gli è stata probabilmente raccontata, non perché vi ha assistito in prima persona), in quanto portatori, per mezzo dei loro personaggi più celebri, Orlando e Goffredo, di un sistema valoriale cavalleresco ancora legato all’ancien régime, ma in lenta decadenza. Il vecchio Conte è portatore di questi ideali, che vengono percepiti sia dal giovane sia della Contessa come superati, e vi rimane ancorato, fuori dalla storia in modo anacronistico. Il sistema educativo maschile e maschilista, che Nievo mette abilmente in luce attraverso le parole del Conte, rifiuta un figlio avvezzo «a donneggiare col rosario»,5 che di contro dovrebbe praticare la «professione delle armi», come esempio di virtù morale e guerresca. L’avversione di Orlando nei confronti delle armi si trasforma nel corso del romanzo in avida brama di cibo e in paura di non aver più nulla da mangiare:
Intanto da basso una discreta cena improvvisata con ova e bragiuole avea calmato gli spasimi dei due monsignori [...].6
[...] e se non colsi in una mattina i ventiquattro beccanotti del nonno di Leopardo, mi venne fatto sovente di metterne nella bissaccia una dozzina. Cinque ne cedeva al Capitano e al Monsignore; gli altri li teneva per noi e lo spiedo girava.7
La reazione burlesca alla quale Nievo sottopone il personaggio di Orlando funge da declassamento dell’omonimo eroe ariostesco, che perde le caratteristiche fisiche e caratteriali del personaggio cinquecentesco, del quale rimane vivo esclusivamente il significante nominale. L’epica cavalleresca segue, quindi, la linea paterna, da una parte il vecchio Conte e dall’altra Antonio Provedoni, padre di Leopardo e di altri figli dai nomi «eroici o bestiali».8 Occorre soffermare l’attenzione sulla figlia Bradamante, dal carattere poco rispondente al nome di cui è portatrice: celebre eroina, guerriera ariostesca e sposa di Ruggiero. La prima impressione di fronte alla lettura lineare del romanzo nieviano e, quindi, del primo episodio in cui viene citato il modello ariostesco, risponde, a mio avviso, alla creazione di un effetto di comicità diffusa e alla trasmissione di un ideale
5 Ivi, p. 13.
6 Ivi, p. 206.
7 Ivi, p. 729.
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epico-cavalleresco condiviso esclusivamente dai padri, continuatori di un sistema feudale e di valori, ad esso correlato, decadente ed agonizzante, rifiutato dai rispettivi figli.
Proseguendo nella lettura e passando dal I al II capitolo delle Confessioni, scorgiamo che i riferimenti all’Ariosto non mancano, anzi si moltiplicano. Dopo aver presentato i personaggi principali della vicenda, l’ottuagenario narratore si sofferma, a partire dalle prime righe del II capitolo, sulla presentazione di sé bambino, sul «chi fosse questo Carlino»,9 dando conto della propria presenza nel castello di Fratta e della propria infanzia vissuta con gli zii, lontano dai genitori. La citazione ariostesca si inserisce all’interno di una digressione sul carattere mellifluo e capriccioso della Contessina Pisana, in particolare sui suoi mutevoli amori e «sopra questi incidenti puerili»,10 ragione di sofferenza e di umiliazione in Carlino. Nievo riflette e porta il tema del vizio su più ampia scala, affermando che le abitudini infantili ed adolescenziali hanno spesso portato uomini e donne a mantenere un certo tipo di comportamento anche in età più adulta. Lo sviluppo della ragione, che segue «gli anni dell’ignoranza», porterà alla formazione di esseri doppi, depravati ma dotati d’intelletto, «capaci di grandi passioni non di grandi affetti»,11 come Saffo ed Aspasia. A questo punto, si immagina un contraddittorio che faccia presente come un’educazione orientata agli insegnamenti della religione cristiana abbia il merito di debellare quelle abitudini nocive e contagiose. Secondo l’ottuagenario, dietro cui si nasconde l’autore Nievo, «una tal educazione religiosa serve meglio a velare che ad estirpare il male»,12 perciò nemmeno il cristianesimo e il cattolicesimo sono indicati come un rimedio adeguato a questo tipo di comportamenti che vengono sviluppati da alcuni soggetti a partire dall’infanzia. Si inserisce all’interno di questo contesto il riferimento all’Ariosto, non all’autore del Furioso ma a quello delle Satire:
È segno che tutti si rassegnano a pigliar le cose come stanno; contenti di salvar la decenza colla furberia della gatta che copre di terra le proprie immondizie, come dice e consiglia l’Ariosto.13
La Satira V, scritta dall’Ariosto tra il 1519 e il 1523 e dedicata al cugino Annibale in procinto di sposarsi, sviluppa in tono scherzoso il tema del matrimonio. Nella divertita 9 Ivi, p. 47. 10 Ivi, p. 51. 11 Ivi, p. 52. 12 Ibidem. 13 Ivi, pp. 52-53.
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descrizione che Ariosto conduce in relazione alle caratteristiche fisiche e caratteriali che la “sposa modello” dovrebbe possedere, si consiglia «quel che tu déi cercar, quel che fuggire»,14 richiamando nell’ironia e nella ricerca della medietas l’Orazio satirico. Lo scrittore emiliano, pertanto, consiglia al cugino di ricercare, in questo prototipo compiuto e perfetto di sposa ideale, la riservatezza, sinonimo di saggezza, in quanto, in caso contrario, una donna sciocca, sfrontata ed esuberante darà troppo a parlare di sé, dei propri affari e delle proprie faccende private:
L’altra, più saggia, si conduce all’opra / secretamente, e studia, come il gatto, / che la immondizia sua la terra copra.15
Nievo, a mio avviso, sembra non condividere il punto di vista ariostesco, che nella similitudine esalta il riserbo come qualità fondamentale in una “donna da maritare”; anzi, l’esempio del gatto, che diventa gatta, declinato al femminile probabilmente per sottolineare la maggior astuzia del genere, viene utilizzato per indicare il punto di vista opposto rispetto a quello sostenuto da Ariosto, ad argomentazione di un comportamento percepito come fortemente negativo. La «gatta che copre di terra le proprie immondizie» è metafora per indicare la volontà ultima ed estrema di salvare le apparenze, di recuperare un destino al limite della compromissione, di velare le passioni, gli stimoli, le tentazioni, senza risolvere il problema in profondità. Un’azione superficiale percepita come soluzione temporanea, ma non definitiva, capace di riemergere nella sua complessità dinnanzi a propositi ben più alti:
Invece i costumi sensuali, molli scapestrati fanno che l’animo non possa mai affidarsi di non essere svagato da qualche altissimo intento per altre basse ed indegne necessità: il suo entusiasmo fittizio si svampa d’un tratto o almeno diventa un’altalena di sforzi e cadute, di fatiche e di vergogne, di lavoro e di noie.16
L’invettiva nei confronti della corruzione dei costumi prosegue e si sposta su un piano nazionale e militare, ricadendo inesorabilmente sulla ricerca delle motivazioni che rendono il territorio italiano spezzettato e in dominio di potenze straniere:
14 L. Ariosto, Satire, a c. diG. Davico Bonino Milano, BUR, 2010, V, v. 78, p. 86.
15 Ivi, vv. 178-180.
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In che modo volete far durare uno, due, dieci, vent’anni in uno sforzo virtuoso, altissimo, nazionale, milioni di uomini de’ quali neppur uno è capace di reggere a quello sforzo tre mesi continui? Non è la concordia che manca, è la possibilità della concordia, la quale deriva da forza e perseveranza. La concordia degli inetti sarebbe buona da farne un boccone, come fece di Venezia il caporalino di Arcole.17
La definizione del popolo italico come una massa di inetti, privi di forza e perseveranza, suona come un richiamo a ridestare le coscienze sonnecchianti e a non lasciarsi sopraffare dallo straniero, esemplificato in questo caso dal nemico per eccellenza del periodo storico in cui si sviluppa la prima parte delle Confessioni, Napoleone Bonaparte. Quale soluzione, dunque, propone Nievo di fronte a questa intricata situazione?
Ma la educazione potrebbe far molto coltivando la ragione, la volontà e la forza prima che i sensi prendano il predominio. [...] Predico pel bene di tutti e pel vantaggio della società; alla quale la sanità dei costumi è profittevole e necessaria come la sanità degli umori al prosperare d’un corpo. La robustezza fisica, la costanza nei sentimenti, la chiarezza delle idee e la forza dei sacrifizii sono suoi corollari [...].18
È evidente che Nievo abbia in questo caso utilizzato un’immagine ariostesca, cioè quella del gatto che furbescamente copre di terra le proprie immondizie, in chiave antitetica rispetto al significato originario. Risulta chiaro, a mio avviso, la volontà di distaccarsi dal modello in chiave tacitamente polemica, senza volerlo dissacrare, ma con l’intento di darne un lettura più profonda. Apparentemente la soluzione proposta da Ariosto è la più semplice, tuttavia non elimina «lo scandalo» che «trabocca», citando l’espressione della quinta satira, anzi lo vela, lo copre, come il gatto, e lo trascura, donando maggior importanza all’apparente serenità e all’immagine pubblica, piuttosto che alla sostanza dei fatti. I contesti che fanno da sfondo alla satira ariostesca e alla sua ripresa nieviana sono sicuramente agli antipodi da un punto di vista socio-culturale e valoriale: in ottica cinquecentesca, la non compromissione della donna in ambito pubblico, quindi cortigiano, aveva un valore espressamente alto, pertanto, la riservatezza caratteriale era posta all’apice, assieme ad altre “doti” personali, delle priorità di cui un
17 Ibidem.
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uomo doveva tener conto nel momento in cui decideva di sposarsi. Nievo, figlio dell’Ottocento, risente della complessità della sua epoca e bada al sodo, oserei dire, alla concretezza e al tentativo di scioglimento delle preoccupazioni che lo attanagliano, come l’attaccamento alle passioni sensuali e l’inettitudine del futuro popolo italiano, non accontentandosi di mascherare le situazioni, ma cercando modalità per risolverle concretamente.
Il capitolo II delle Confessioni, dopo la rapida ripresa di un’immagine dell’Ariosto satirico all’interno di una più ampia riflessione sull’educazione, presenta un’ulteriore inserzione della materia ariostesca, abbandonando questa volta la satira, in favore del
Furioso. L’episodio prende vita dalla descrizione di una normale quanto quotidiana serata
tra le mura del castello di Fratta, in cui, dopo i giochi in tinello, si intonava il rosario, si cenava ed ognuno si dirigeva nella propria camera per il riposo notturno, procedendo uniti in processione. A questo punto, l’ottuagenario narratore sofferma la propria attenzione sulla rappresentazione dettagliata della stanza e delle azioni della Contessina Clara, la sorella maggiore di Pisana. Una «cameraccia» spoglia, «che somigliava la celletta d’una monaca»,19 ma che nell’assenza totale di qualsiasi tipo d’oggetto, permette alla panoramica del narratore di focalizzarsi, invece, su una pila di libri, «avanzi di una biblioteca andata a male». Si scopre, dunque, che tra le passioni di Clara vi è la lettura, sviluppata nei tre anni passati in convento, ben prima della definitiva monacazione che il lettore scoprirà nei capitoli successivi. Una biblioteca in miniatura, quindi, che dà conto del gusto letterario della Contessina, portando a galla, indirettamente, i volumi che Nievo è ipotizzabile conoscesse ed avesse amato leggere:
Qualche volume di memorie tradotte dal francese, alcune storie di quelle antiche italiane che narrano le cose alla casalinga e senza rigonfiature, il Tasso, l’Ariosto, e il Pastor Fido del Guarini, quasi tutte le commedie del Goldoni stampate pochi anni prima, ecco a quanto si ridussero i suoi guadagni.20
Intendo soffermare l’attenzione sull’accostamento Ariosto-Tasso, i quali grazie ai loro poemi cavallereschi stanno al vertice della tradizione cinquecentesca eponima,
19 Ivi, p. 70.
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assieme all’Orlando innamorato del Boiardo. Questo legame si concretizza in maniera più esplicita nelle righe successive:
Spesso tutti gli abitanti del castello dormivano della grossa che il lume della lampada traluceva ancora dalle fessure del suo balcone; e quando poi ella prendeva in mano o la Gerusalemme liberata o l’Orlando furioso (gli identici volumi che non avean potuto decidere la vocazione militare di suo zio monsignore) l’oglio mancava al lucignolo prima che agli occhi della giovine la volontà di leggere.21
Il testo restituisce al lettore l’immagine di Clara come lettrice appassionata di letteratura cavalleresca cinquecentesca italiana, tanto che si percepisce che l’immersione in questi testi avrebbe potuto rapirla per tutta la notte. In più, è presente un riferimento interno alle Confessioni, all’episodio della dichiarata vocazione infantile di Monsignor Orlando, di cui si è già scritto in precedenza.22 A questo punto, viene assunto il punto di vista di Clara nella lettura della Liberata e del Furioso, opere accostate anche nei personaggi grazie alle quali prendono vita:
Si perdeva con Erminia sotto le piante ombrose e la seguiva nei placidi alberghi dei pastori; s’addentrava con Angelica e Medoro a scriver versi d’amore sulle muscose pareti delle grotte, e delirava anche talora col pazzo Orlando e piangeva di compassione per lui. Ma soprattutto le vinceva l’animo di pietà la fine di Brandimarte, quando l’ora fatale gli interrompe sul labbro il nome dell’amante e sembra quasi che l’anima sua passi a terminarlo e a ripeterlo continuamente nella felice eternità dell’amore.23
Il primo personaggio che emerge dalle letture di Clara è Erminia, eroina della
Gerusalemme liberata, primo ed unico tra quelli citati dal Nievo in questa sequenza
testuale ad appartenere al poema del Tasso. Figlia di Cassano, re d’Antiochia, ed innamorata del valoroso e coraggioso cavaliere Tancredi, Erminia è fatta prigioniera di guerra durante l’attacco alla sua città da parte dei crociati, che le uccideranno il padre e la porteranno nell’accampamento cristiano. Qui, a stretto contatto col bel Tancredi, ella se ne innamora perdutamente e una volta ottenuta la libertà non smette di pensare e di struggersi per la mancanza dell’amato. Intenzionata a tutti i costi a rivederlo, Erminia
21 Ivi, pp. 70-71.
22 All’interno di questo stesso paragrafo (3.1) e nel rapporto tra Gertrude, Orlando e i rispettivi padri al paragrafo 2.1.
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prende possesso dell’armatura e delle armi di Clorinda, guerriera musulmana, e si dirige presso i nemici, ma «la gran tigre che ne l’argento impressa»24 la tradisce: il giovane Poliferno riconosce l’armatura di Clorinda, che in precedenza gli aveva ucciso il padre in battaglia, e si lancia contro Erminia, la quale fugge dal campo cristiano e trova rifugio sulle rive del Giordano, dove incontra dei pastori che la accolgono nel loro mondo naturale, pacifico e semplice, dove conducono la propria esistenza. Non è, dunque, l’amore di Erminia nei confronti di Tancredi né la perseveranza nel ricongiungersi a lui ad interessare Clara, ma la focalizzazione è centrata sulla dimensione pastorale, naturale, arcadica, simbolo di un tempo immutabile in cui uomo e natura convivono felicemente.
In secondo luogo, si può notare la presenza di una celebre coppia di personaggi, tratti, così come i successivi, dall’Orlando furioso dell’Ariosto: Angelica e Medoro. La bellezza sconvolgente del personaggio femminile, principessa del Catai ed esperta di arti magiche e mediche, attrae a sé numerosi cavalieri, tra cui anche i paladini Orlando e Rinaldo. In fuga ed ospitata da una famiglia di pastori francesi, Angelica incontra Medoro, semplice soldato saraceno, ferito dai cristiani e per questo curato dalle abilità orientali della donna, la quale se ne innamora perdutamente ed è decisa a fuggire con lui verso i Pirenei per unirsi in nozze. La scoperta dell’imminente matrimonio tra i due scatena la pazzia di Orlando, che, alla ricerca della donna, si imbatte nei due innamorati ai quali viene impedita la fuga, ma dei quali perde le tracce. È proprio Orlando, dunque, il terzo personaggio dell’Orlando furioso nel quale l’appassionata lettrice Clara si immedesima: l’amore rappresentato dalle incisioni dei nomi di Angelica e Medoro, «ovunque un arbor dritto / vedesse ombrare o fonte o rivo puro, / v’avea spillo o coltel subito fitto»,25 si scontra col delirio amoroso di Orlando, «un uom pazzo [...] che [...] si