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Riuniti i giudizi:

1) dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 9, commi 3 e 6, del decreto-legge 24 giugno 2014, n. 90 (Misure urgenti per la semplificazione e la trasparenza amministrativa e per l’efficienza degli uffici giudiziari), convertito, con modificazioni, dalla legge 11 agosto 2014, n. 114, sollevate dal Tribunale amministrativo regionale per la Calabria, sezione staccata di Reggio Calabria, dal Tribunale ammini- strativo regionale per la Puglia, dal Tribunale amministrativo regionale per il Molise e dal Tribunale amministrativo regionale per la Campania in riferimento all’art. 3, primo comma, della Costituzione, con le ordinanze indicate in epigrafe;

2) dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 9, commi 2, 3 e 6, del d.l. n. 90 del 2014, convertito, con modificazioni, dalla legge 114 del 2014, in riferimento agli artt. 3, 23 e 53 Cost., e del comma 4 dello stesso articolo in relazione all’art. 2 Cost., sollevata dal TARCampania, con l’ordinanza indicata in epigrafe;

3) dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionali dell’art. 9, commi 3 e 6, del d.l. n. 90 del 2014, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 114 del 2014, sollevate dal TARCalabria, sezione staccata di Reggio Calabria, in riferimento agli artt.

3, 23 e 53, Cost., e dal TARPuglia in riferimento agli artt. 3 e 53 Cost., con le ordinanze

indicate in epigrafe;

4) dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 9, commi 2, 4 e 8, del d.l. n. 90 del 2014, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 114 del 2014, sollevata dal TAR Campania in riferimento agli artt. 35, 42 e 97 Cost., con

l’ordinanza indicata in epigrafe;

5) dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 9, comma 1, del d.l. n. 90 del 2014, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 114 del 2014, sollevata dal TARCalabria, sezione staccata di Reggio Calabria, in riferimento agli artt.

6) dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 9 del d.l. n. 90 del 2014, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 114 del 2014, sollevate dal Tribunale regionale di giustizia amministrativa del Trentino-Alto Adige, sede di Trento, dal TARCalabria, sezione staccata di Reggio Calabria, dal TARPuglia, dal TARMolise

e dal TARCampania, in riferimento all’art. 77, secondo comma, Cost., con le ordinanze

indicate in epigrafe;

7) dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 9, commi 2 e 4 del d.l. n. 90 del 2014, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 114 del 2014, sollevate dal TARCalabria, sezione staccata di Reggio Calabria, dal TARPuglia, dal TAR

Molise e dal TAR Campania, in riferimento all’art. 3, primo comma, Cost., con le

ordinanze indicate in epigrafe;

8) dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 9, comma 4, del d.l. n. 90 del 2014, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 114 del 2014, sollevate dal TARCalabria, sezione staccata di Reggio Calabria e dal TARCampania, in

riferimento agli artt. 3, 23 e 53 Cost., e dal TARPuglia in riferimento agli artt. 3 e 53,

Cost., con le ordinanze indicate in epigrafe;

9) dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 9, commi 2, 4 e 8 del d.l. n. 90 del 2014, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 114 del 2014, sollevate dal TAR Puglia, in riferimento agli artt. 3, 25 e 117, primo comma, Cost.,

quest’ultimo in relazione all’art. 6 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848, e dal TARCampania, in riferimento agli

artt. 3 e 117, primo comma, Cost., quest’ultimo in relazione all’art. 6 della CEDU e all’art. 1 del Protocollo addizionale alla richiamata Convenzione, firmato a Parigi il 20 marzo 1952 e ratificato con la stessa legge n. 848 del 1955, con le ordinanze indicate in epigrafe;

10) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 9, commi 2, 4 e 8 del d.l. n. 90 del 2014, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 114 del 2014, sollevata dal TARCampania in riferimento all’art. 36, Cost., con l’ordinanza indicata in

epigrafe.

Le ordinanze che hanno sollevato la questione sono pubblicate inG.U. nn.

17 del 27 aprile, 49 del 7 dicembre, 52 del 28 dicembre 2016, 10 dell’8 marzo e 18 del 3 maggio 2017, 1ª serie spec.

(1-10) Sui problemi e i profili della rilevanza della questione di legittimità costituzionale, cfr. la nota redaz. alla sent. n. 208 del 2016. Poi, cfr. sentt. nn. 215, 224, 228, 245, 259, 280 e 283 del 2016; 2, 22, 38, 48, 56, 79, 95, 109, 111, 119, 120, 123, 124, 127, 128, 149, 164, 184, 209 e 218 del 2017.

Riguardo alla necessaria motivazione dei profili di violazione del parametro, in maniera non generica, né inconferente cfr. i richiami contenuti nella nota alla sent. n. 239 del 2016, poi, cfr. sentt. nn. 240, 247, 249, 265, 267, 273, 276 e 287 del 2016; 30, 31, 32, 35, 45, 47, 50, 60, 62, 68, 84, 105, 107, 114, 127, 133, 135, 151, 153, 157, 161, 169, 170, 189, 197, 201, 210, 212, 228 e 232 del 2017.

Sull’inammissibilità per insufficiente descrizione della fattispecie oggetto del giudizio a quo, per difetto di motivazione sulla rilevanza, per difetto di

motivazione sulla non manifesta infondatezza cfr. i richiami contenuti nella nota alla sent. n. 196 del 2017. Poi, cfr. sentt. nn. 199, 205, 207, 209, 210, 214, 215, 221, 222 e 231 del 2017.

Sui rapporti tra decreto-legge e legge di conversione, cfr. nota alla sent. n. 154 del 2015. Poi, cfr. sentt. nn. 186 del 2015; 110, 133, 244 e 287 del 2016; 16, 169 e 170 del 2017.

Circa il controllo di eguaglianza, anche con riferimento ai profili deltertium comparationis e della disparità di trattamento, cfr. i richiami contenuti nella

nota alla sent. n. 232 del 2016; poi, cfr. sentt. nn. 233, 241, 244, 262, 268, 274 e 276 del 2016; 17, 21, 30, 42, 45, 47, 53, 54, 69, 86, 87, 94, 134, 136, 148, 149, 153, 154, 165, 169, 170, 177, 193, 206, 207, 208, 213, 214, 222 e 231 del 2017.

Sul principio di capacità contributiva, di cui all’art. 53 Cost., cfr. nota alla sent. n. 304 del 2013. Poi, cfr. sentt. nn. 192 del 2015; 96 del 2016; 153 del 2017. Sulla qualificazione di natura tributaria di una fattispecie, cfr. sentt. nn. 233 del 2012; 304 e 310 del 2013; 154 del 2014; 70 e 178 del 2015; 96 del 2016.

Sul controllo di ragionevolezza, cfr. i richiami contenuti nella nota alla sent. n. 219 del 2016. Poi, cfr. sentt. nn. 231, 233, 236, 240, 241, 244, 268, 274, 286 e 287 del 2016; 7, 13, 15, 17, 20, 23, 29, 38, 43, 73, 82, 86, 94, 107, 114, 124, 134, 142, 147, 149, 150, 154, 170, 178, 181, 182, 192, 205, 207 e 222 del 2017.

Sull’applicazione dell’art. 117, comma 1, Cost. cfr. i richiami contenuti nella nota alla sent. n. 242 del 2016; poi, cfr. sentt. nn. 43, 244, 276 e 286 del 2016; 16, 43, 62, 74, 75, 80, 93, 94, 98, 111, 114, 122, 123, 143, 154, 165, 176, 228 e 232 del 2017.

Sul bilanciamento tra i principi di proporzionalità tra lavoro prestato e retribuzione di cui all’art. 36 Cost., cfr. i richiami contenuti nella nota alla sent. n. 82 del 2017. Poi, cfr. sent. n. 124 del 2017.

A commento della presente sentenza pubblichiamo un’osservazione del dott. Giovanni Boggero.

“Gli occhi sempre a Papiniano”. La Corte costituzionale giudica non spro- porzionata la riduzione degli onorari di Procuratori e Avvocati dello Stato.

Con l’annotata sentenza n. 236/2017 la Corte costituzionale ha dichia- rato in parte inammissibili e in parte non fondate le questioni di legittimità costituzionale sollevate in via incidentale da cinque Tribunali amministra- tivi regionali in ordine all’art. 9 del d.l. 24 giugno 2014, n. 90, convertito in legge, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1 della legge 11 agosto 2014, n. 114, ai sensi del quale è stato riformato il complesso regime di onorari spettanti al personale dell’Avvocatura dello Stato e agli altri avvocati degli enti pubblici.

1. Ad aver adito il Giudice amministrativo erano stati numerosi Pro- curatori e Avvocati dello Stato in servizio presso le Avvocature distrettuali di Bari, Campobasso, Napoli, Reggio Calabria e Trento (1), interessati a

(1) Giova osservare che a difesa della Presidenza del Consiglio dei Ministri si è costituita l’Avvocatura dello Stato, segnatamente gli uffici distrettuali a livello periferico e l’Avvocatura Generale dinanzi alla Corte costituzionale. In tali occasioni, non si è formalmente realizzata un’ipotesi di conflitto d’interesse, atteso che la difesa della Presidenza è stata appositamente assegnata al personale togato che non fosse in

vedere accertato il loro diritto all’integrale corresponsione dei compensi professionali, rectius alla quota variabile della retribuzione senza le decur-

tazioni e le limitazioni derivanti dall’applicazione del predetto art. 9, con conseguente condanna dell’Amministrazione al pagamento delle somme dovute. Tale disposizione normativa, infatti, ha radicalmente trasformato la disciplina del trattamento economico del personale dell’Avvocatura dello Stato, organo tecnico-legale istituito con r.d. 30 ottobre 1933, n. 1611 (2), al fine di assicurare secondo una logica unitaria la rappresentanza e la difesa in giudizio di tutte le Amministrazioni statali, ivi inclusi gli organi costituzio- nali.

Nello specifico, l’articolo censurato ha modificato e in parte abrogato le disposizioni del menzionato Regio Decreto concernenti gli onorari spettanti al personale dell’Avvocatura in funzione dell’esito delle controversie patro- cinate nell’interesse delle Amministrazioni di riferimento. In origine, l’art. 21 del Regio Decreto stabiliva, infatti, un generoso sistema di onorari, comunemente noti come propine, differenziandone la misura a seconda che le spese del giudizio fossero poste in capo alla controparte soccombente oppure, a fronte pur sempre di una sentenza favorevole all’Amministra- zione, fossero integralmente o parzialmente compensate dal giudice. Nel primo caso, le spese processuali liquidate con sentenza o ordinanza, una volta autonomamente riscosse dall’Avvocatura e detratta la quota del 12,5 percento da assegnare a titolo premiale al personale amministrativo, veni- vano ripartite per 7/10 tra i Procuratori e gli Avvocati di ciascun ufficio distrettuale e per i restanti 3/10 tra tutti i Procuratori e Avvocati dello Stato in servizio. Nel secondo caso, l’Erario doveva corrispondere all’Avvocatura la metà delle competenze di avvocato e di procuratore che sarebbero state poste a carico del soccombente.

quel momento parte ricorrente in uno dei giudizia quibus o comunque in altri giudizi

allora pendenti e aventi ad oggetto le medesime pretese. Tale situazione di fatto non ha, tuttavia, impedito che il personale togato dell’Avvocatura si trovasse a operare in un contesto nel quale l’interesse alla difesa dello Stato confliggeva con l’interesse alla difesa dell’Istituto, oltreché con un interesse individuale di natura patrimoniale: se è vero che gli interessi dello Stato e dell’Istituto erano ascrivibili allo Stato ordinamento nel primo caso e allo Stato apparato nel secondo e quindi formalmente separati, è altrettanto vero che una eventuale declaratoria di incostituzionalità avrebbe avuto efficacia erga omnes, interessando potenzialmente la totalità del

personale togato, compreso quello impegnato nell’attività di difesa della Presidenza. A tal proposito, oltre all’ipotesi della rinuncia alla difesa, per il quale l’art. 3 del Codice etico dell’Avvocatura pone in capo all’Avvocato o Procuratore un dovere di astensione «se ha nella causa [...] un interesse contrastante con quello dell’amministra- zione patrocinata», l’art. 5 del r.d. fa pur sempre salva l’ipotesi che, «per ragioni assolutamente eccezionali» l’Amministrazione si avvalga del patrocinio di un avvocato

del libero foro.

(2) L’Avvocatura dello Stato è erede della Regia Avvocatura Erariale, isti- tuita con l. 28 novembre 1875, n. 2781 e successivo regolamento attuativo 16 gennaio 1876, n. 2914 sul modello asburgo-lorenese dell’Avvocato Regio, rispetto al quale si veda L. PACINOTTI,L’Avvocatura Regia del Granducato di Toscana, in Rassegna mens.

La descritta disciplina di carattere ordinamentale veniva parzialmente emendata dal d.l. n. 90/2014, così come modificato dalla legge di conversione n. 110/2014, che, ispirato tanto dalla straordinaria necessità e urgenza del risanamento della finanza pubblica, quanto da più generali considerazioni di perequazione retributiva nell’ambito delle pubbliche amministrazioni, di- sponeva la soppressione dell’obbligo delle Amministrazioni patrocinate di versare all’Avvocatura i compensi professionali in caso di spese integral- mente o parzialmente compensate dal giudice, sulla base del presupposto che Procuratori e Avvocati dello Stato fossero remunerati in maniera già suffi- cientemente cospicua per l’espletamento dei doveri d’ufficio e non abbiso- gnassero quindi di ulteriori emolumenti. Allo stesso tempo, il legislatore stabiliva che, in caso di sentenza favorevole all’Amministrazione con con- danna della controparte alle spese, soltanto il 50 percento delle somme esatte dall’Avvocatura venisse ripartito tra Procuratori e Avvocati, mentre il restante 50 percento fosse destinato per metà all’erogazione di borse di studio per lo svolgimento della pratica forense presso la stessa Avvocatura dello Stato e per la restante metà affluisse, invece, al cd. Fondo per la riduzione della pressione fiscale, istituito dalla legge di stabilità per l’anno allora in corso. Peraltro, l’art. 9, comma 5 stabiliva che la quota di “riscosso” che fosse stata incamerata a beneficio dell’Avvocatura erariale avrebbe dovuto essere ripartita secondo criteri di rendimento individuale da deter- minarsi con atto regolamentare interno dell’Istituto.

2. Chiamati a pronunciarsi sulle domande di accertamento del diritto alla corresponsione degli emolumenti fondata sul regime normativo ante- riore alla novella, i giudici amministrativi avevano ritenuto pregiudiziale l’esame delle diverse questioni di legittimità costituzionale prospettate dai ricorrenti, le quali sono state disattese dal Giudice costituzionale con ri- guardo a ciascuno dei parametri evocati. In proposito, nelle ordinanze di rimessione possono essere distinti almeno cinque gruppi di questioni ritenute rilevanti e non manifestamente infondate.

2.1. Con riferimento alle questioni di legittimità attinenti all’asserita lesione dei molteplici limiti costituzionali che circondano la decretazione d’urgenza, il Collegio ha, innanzitutto, richiamato un proprio precedente vertente sulla conformità di altre disposizioni del decreto-legge in parola (sent. n. 133/2016). In tale occasione, la Corte aveva già avuto modo di pronunciarsi sulla sussistenza dei presupposti di straordinaria necessità e urgenza del provvedimento governativo sotto il profilo dell’«esigenza di favorire una più razionale utilizzazione dei dipendenti pubblici» in un contesto

generale di crisi economico-finanziaria. Tale finalità, esplicitata nella rela- zione illustrativa del Governo, troverebbe formale riscontro anche nelle rubriche del Titolo e del Capo in cui è collocato il censurato art. 9 (anche se non nel Titolo del decreto-legge), oltreché nelle successive disposizioni di cui agli artt. 10 e 13, tutte «connotate da una comune logica di rimodulazione e contenimento di determinati emolumenti economici accessori» dei funzionari

pubblici. Pertanto, non potrebbe evocarsi una lesione dell’art. 15, comma 3 della l. n. 400/1988 quale esplicitazione della ratio dell’art. 77, comma 2,

rispetto al contenuto complessivo del d.l. n. 90/2014, nemmeno nella sua versione emendata in sede di conversione.

Lungi dall’essere elemento ultroneo rispetto all’obiettivo del buon an- damento dell’azione amministrativa, proclamato dal Titolo e dal Preambolo del predetto decreto-legge, il contenimento della spesa pubblica avrebbe, peraltro, un effetto determinante sull’organizzazione degli uffici considerato il testo novellato dell’art. 97, comma 1 Cost., in base al quale tutte le pubbliche amministrazioni, inclusa l’Avvocatura dello Stato, debbono con- tribuire a garantire l’equilibrio dei bilanci e la sostenibilità del debito pubblico. A tal proposito, nonostante la lettera dell’art. 17, comma 3 della l. n. 196/2009 imponesse al legislatore di quantificare le entrate e gli oneri recati da disposizioni di legge, a nulla è valsa la contestazione per la quale l’effettivo risparmio di spesa inerente al “compensato” non sarebbe stato adeguatamente documentato nella relazione tecnica di accompagnamento, dovendosi in realtà tollerare una certa indeterminatezza nella quantifica- zione delle economie, laddove oggetto di scrutinio siano compensi professio- nali di per sé variabili nel quantum.

Infine, per quel che riguarda l’asserito abuso dello strumento della decretazione d’urgenza, la Corte ha ribadito che la discrezionalità governa- tiva può essere oggetto di sindacato soltanto in caso di assoluta insussistenza dei presupposti, i quali, invece, nel caso di specie, potevano ritenersi sussi- stenti quantomeno dal punto di vista della necessità e urgenza cd. sogget- tiva. A nulla sembra rilevare, invece, che il legislatore fosse già intervenuto sul regime degli onorari con la legge di stabilità 2014, ben potendo il generale contesto di crisi economico-finanziaria suggerire nuove e più incisive misure di contenimento della spesa. A tal proposito, la riformade qua non potrebbe

neanche definirsi organica e di sistema, visto che l’art. 9 non altera l’ordina- mento complessivo dell’Avvocatura, ma si limita a modificarne un singolo aspetto (cfr. in proposito sent. n. 220/2013, Punto 12.1 del cons. in dir.)

inerente alla quota variabile della retribuzione del personale togato. Da ultimo, quanto alla non immediata applicabilità delle disposizioni censurate, stante la necessaria modifica dei regolamenti interni che disciplinano la retribuzione di Procuratori e Avvocati, la Corte, confermando un proprio recente orientamento che ridimensiona l’effettività dell’altro criterio di cui all’art. 15, comma 3 della l. n. 400/1988 (sentt. nn. 170 e 16/2017), ha valutato che la combinazione tra tempi ridotti per procedere all’adegua- mento da parte dell’Istituto e sanzione in caso di inadempimento costituisse un meccanismo ex se sufficiente per considerare il differimento nel tempo

della loro efficacia operativa insuscettibile di smentire il presupposto del- l’urgenza di cui all’art. 77, comma 2 Cost.

2.2. Con riguardo al secondo gruppo di censure, i rimettenti deducevano che la citata disciplina avesse stabilito un trattamento ingiustificatamente discriminatorio nei confronti del solo personale dell’Avvocatura dello Stato rispetto a quello delle altre avvocature pubbliche e fosse perciò lesivo dell’art. 3 Cost.

Il Collegio non ha condiviso tale impostazione, negativamente opinando circa la raffrontabilità delle diverse categorie di dipendenti pubblici ai fini di un controllo di razionalità. In particolare, a differenziare lo statuto profes-

sionale dei vari avvocati pubblici concorrerebbe la natura del rapporto di lavoro. Infatti, mentre tutti gli altri legali delle avvocature pubbliche sono soggetti alla contrattazione collettiva, il personale dell’Avvocatura erariale, al pari della Magistratura, opera ancora in regime di diritto pubblico. Da ciò deriva che la dimensione solidaristica entro la quale deve avvenire la riduzione dei compensi non può trascurare il fatto che, mentre la retribu- zione di Procuratori e Avvocati dello Stato trova fondamento direttamente nella legge, per gli altri legali delle amministrazioni pubbliche il compenso è definito sulla base dei contratti collettivi nazionali di lavoro. Sicché, una limitazione dei compensi variabili delle altre avvocature pubbliche, analoga a quella operata per l’Avvocatura dello Stato, avrebbe determinato una ingiustificata compressione dell’autonomia contrattuale, elemento che, in- vece, non è dato riscontrare per il caso di Procuratori e Avvocati di Stato, la cui retribuzione può essere ridotta prescindendo da qualsiasi strumento di contrattazione.

Il regime di diritto pubblico ai sensi dell’art. 3 del d.lgs. 30 marzo 2001, n. 165, da originario elemento di “guarentigia” per sottrarre una specifica categoria di dipendenti del pubblico impiego da periodiche rivendicazioni nei confronti di altri poteri, viene utilizzato nel caso di specie come circo- stanza che, invece, giustifica l’instaurazione di un regime retributivo diffe- renziato tra avvocati del settore pubblico. Diversamente dai precedenti citati dal Collegio (sentt. nn. 192/2016 e 178/2015), in altra occasione la Corte costituzionale aveva ritenuto che, a parità di capacità contributiva da lavoro dipendente, il blocco triennale degli adeguamenti retributivi dei magistrati stabilisse una disparità ingiustificata rispetto ai dipendenti pub- blici contrattualizzati, dal momento che, a differenza di questi ultimi, i magistrati, proprio per il fatto di operare in regime di diritto pubblico, non avrebbero potuto, tramite la contrattazione collettiva, recuperare gli incre- menti retributivi nel frattempo non maturati. In quel caso, tuttavia, ad aver influito in sede di scrutinio era stata la configurazione del raffreddamento della dinamica contributiva come misura permanente e non temporanea, in grado di incidere soltanto sui magistrati, in ordine ai quali gli adeguamenti stipendiali erano ritenuti garanzia imprescindibile della loro indipendenza (sent. n. 223/2012, Punto 11.7 delcons. in dir.). Nel caso che qui ci occupa,

invece, la Corte ha assunto, alquanto apoditticamente, la disomogeneità delle categorie poste a confronto dal giudice rimettente, senza ricavare dalla asserita «peculiarità ordinamentale» dell’Istituto dell’Avvocatura un motivo

fondante l’esigenza di garantirne in maniera adeguata l’indipendenza ri- spetto agli altri poteri o, comunque, tale da ricollegare necessariamente i compensi professionali evocati a una funzione di garanzia dellostatus degli

avvocati erariali. La sentenza in commento conferma, del resto, una ten- denza della Corte a riconoscere ampia discrezionalità al legislatore nello stabilire riduzioni di spesa anche quando esse comportino trattamenti dif- ferenziati tra dipendenti pubblici (3).

(3) Sulla natura eccezionale della sent. n. 223/2012 rispetto a un filone giurisprudenziale successivo con il quale è stata riconosciuta ampia discrezionalità al legislatore in materia di previdenza e lavoro pubblico si veda la ricostruzione di: M.

2.3. Sempre fondandosi sul precedente da ultimo richiamato, diverse ordinanze di rimessione avevano, inoltre, adombrato il dubbio che la ridu- zione della quota variabile della retribuzione possedesse gli elementi inde- fettibili della prestazione tributaria e realizzasse pertanto una lesione del principio di eguaglianza, dal momento che, in quanto imposta speciale, avrebbe inciso su una componente già soggetta a imposizione fiscale in condizioni di parità tra diversi percettori di reddito da lavoro dipendente. Secondo la Corte, invece, non sarebbe possibile entrare nel merito delle allegazioni addotte circa la violazione dei diversi parametri evocati dai rimettenti (artt. 3, 23, 53 Cost.), considerato che la riduzione degli onorari, a differenza delle decurtazioni patrimoniali poste in capo ai magistrati, mancherebbe di due dei tre presupposti indefettibili per poterla qualificare come avente matrice tributaria.

Innanzitutto, per potersi dire effettiva, essa dovrebbe avvenire su situazioni soggettive già compiutamente formate. Secondo la Corte, invece, la pretesa patrimoniale del personale togato dell’Avvocatura non nasce ex lege, come era il caso dell’indennità giudiziaria dei magistrati e come,

d’altronde, sarebbe stato se ad essere decurtata fosse stata l’identica inden- nità riconosciuta agli avvocati erariali, ma insorge soltanto una volta che la

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