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C OSA SONO I CAG? P UNTI DI FORZA E DEBOLEZZA DI UN ’ IDEA DEGLI ANNI ’

di Elisabetta Carrà Mittini, Isabella Crespi e Francesco Dellisanti

2.1. C OSA SONO I CAG? P UNTI DI FORZA E DEBOLEZZA DI UN ’ IDEA DEGLI ANNI ’

L’istituzione dei Centri di Aggregazione Giovanile è stata anticipata da alcune importanti esperienze, come i cosiddetti «progetti giovani» degli anni ’70, o servizi specifici sorti in Lombardia negli anni ’80 sull’esempio di quelli che operavano nell’ambito delle tossicodipen- denze (Regoliosi 2003, p.13), che dimostrano una crescente atten- zione ai problemi legati alla fascia d’età adolescenziale. Risale al periodo 1985/86, la nascita dei primi CAG in Lombardia. Essi hanno costituito un elemento di punta delle politiche giovanili lombarde, anticipando intuizioni e progetti che sarebbero stati ripresi quasi 20 anni dopo dalla legge 285/1997 e dalla legge 328/2000.

1 Isabella Crespi ha redatto i paragrafi 2.5.2. e 2.5.3.; Francesco Dellisanti

i paragrafi 2.4.1. e 2.5.1.; tutte le restanti parti sono state redatte da Elisabetta Carrà Mittini.

Nei primi anni del 2000 in Lombardia si è rinnovato l’interesse per un tipo d’intervento che sembrava ormai superato da altri (edu- cativa di strada, sportelli di ascolto, ecc.), verso i quali si stavano spostando gli investimenti. Tale riscoperta dell’attualità di quest’espe- rienza è coincisa proprio col periodo in cui è stata realizzata la ricer- ca qui presentata (2004).

I CAG sono nati in una stagione storica differente da quella attuale, a colmare un’assenza totale dell’intervento pubblico sui bisogni giova- nili; ora, invece, appaiono come un’offerta accanto ad altre proposte ed opportunità. È dunque necessario comprendere la loro specificità.

Può essere utile partire dal nome che a questo servizio è stato attribuito (Regoliosi 2003). La parola «aggregazione» suggerisce in- nanzitutto l’intenzione di opporsi alla frammentazione del mondo giovanile di quegli anni e di contrastare la distanza dei giovani da- gli ambiti istituzionali di partecipazione, dalla vita delle comunità, dalle tradizionali proposte delle agenzie educative. C’era dunque il desiderio di riaggregare i giovani, superando lo scollamento che si era venuto a creare tra le generazioni. In secondo luogo, la finali- tà aggregativa mostra una focalizzazione sul «fare gruppo», sul pro- muovere la relazione, a prescindere dalle attività svolte: si tratta di un obiettivo significativamente diverso da quello di altre esperienze tipo i «centri diurni» o i «centri giovani», che rispondevano gli uni ad un bisogno di assistenza e sostegno scolastico per minori «segnalati» e «inviati» al centro stesso (ruolo educativo), gli altri all’esigenza di far sperimentare attività artistiche/spor tive di vario tipo (ruolo cultu- rale) a cui i giovani avevano accesso tramite iscrizione. Quindi tra la connotazione assistenziale di un centro diurno e quella culturale di un centro giovani, l’idea da cui è nato il centro d’aggregazione è sta- ta quella di puntare sulla relazione, ipotizzando che per adolescenti e giovani ciò che rende attraente un’esperienza non sono tanto le attività che vengono proposte, ma la qualità delle relazioni affettive amicali. Ciò ci porta a fare immediatamente una connessione tra l’idea relazionale di capitale sociale e l’intuizione che un servizio per giovani se vuole essere efficace non deve «usare» le loro relazioni per produrre «attività» (siano il successo scolastico o l’abilità artisti- ca), ma proporre attività per promuovere e rafforzare la relazione.

I CAG attuali non sono identici a quelli degli anni ’80. Regoliosi (2003) individua tre tappe nella loro trasformazione:

1. vengono affi ancati alle tipologie già esistenti (scuola, oratorio, as- sociazione, centro diurno, consultorio, ecc.), proponendo un mo- dello educativo diverso, ritenendo che le altre proposte non fosse- ro totalmente adeguate;

2. ci si rende conto che la loro sopravvivenza ed effi cacia dipende dalla capacità di dialogare con le altre «agenzie educative» e co- minciano ad essere pensati come nodo di una rete, all’interno della quale va ricostruita una strategia comune;

3. si comincia a considerarli come un’équipe di educatori, competenti nel campo dell’adolescenza, che non deve più solo accontentarsi di gestire solo il proprio gruppetto di ragazzi, ma puntare a far crescere una comunità educante.

Nel sito ad essi dedicato dalla Regione Lombardia i CAG vengono all’epoca della ricerca presentati come un luogo finalizzato a supportare i giovani nel progettare la propria vita quotidiana, ad accompagnarli e ad affiancarli nel percorso educativo della loro crescita. L’intervento dovreb- be essere rivolto alla globalità della popolazione giovanile e non a fasce marginali e svilupparsi all’interno di un «patto educativo» (anche attraver- so intese formalizzate) tra tutti i soggetti della comunità locale che hanno a che fare con il mondo giovanile (famiglia, istituzioni pubbliche, private e di privato sociale). In questo ambito, il CAG dovrebbe costituire un «sensore privilegiato» della condizione e delle problematiche giovanili, svolgendo anche una funzione di monitoraggio costante; a questo scopo sarebbe necessario garantire una continuità di presenza sul territorio, perché il centro possa diventare un patrimonio della comunità stessa. Nell’idea attuale di CAG, le azioni, le metodologie, lo stile dovrebbero essere di tipo sperimentale, alla continua ricerca di strategie innovative, flessibili rispetto alla rapida evoluzione dei bisogni, per svolgere non solo una funzione genericamente educativa e di socializzazione, ma an- che com piti specifici di ascolto, accompagnamento, informazione-orien- ta mento, sostegno. A tal fine le attività proposte possono andare da un minimo a un massimo di strutturazione e prevedere sia l’attivazione di piccoli gruppi, sia colloqui individuali, sia il sostegno e l’orientamento scolastico-professionale, sia lo svolgimento di attività espressive, ludi- co–ricreative, sportive, creativo–manuale, e di carattere culturale 2.

2 Sui CAG si vedano Scaratti e Majer (a cura di, 1998); Majer, Regoliosi e

Se l’idea del CAG è nata sostanzialmente in ambito pubblico, a volte in contrapposizione con altre iniziative del privato sociale, ora, invece, nell’ottica del welfare plurale i CAG possono essere gestiti da enti diversi: comuni, ASL, Comunità Montane, ma anche coopera- tive sociali, associazioni, parrocchie.