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Le osservazioni della Commissione Ue e le conclusioni dell’Avvocato generale sulla violazione del principio di uguaglianza e non discriminazione nelle risposte

5. Le osservazioni della Commissione Ue e le conclusioni dell’Avvocato generale sulla violazione del principio di uguaglianza e non discriminazione nelle risposte

“costituzionali” della Corte Ue

Per altro verso, come ha sottolineato la stessa Commissione europea nelle sue osservazioni scritte nella causa C-282/19 sugli insegnanti precari di religione cattolica, la Corte di giustizia non è sempre stata sempre lineare e coerente nell’applicazione diretta del principio di uguaglianza e non discriminazione di cui alla clausola 4 dell’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato quando la comparazione riguardava personale ex precario successivamente assunto stabilmente e, quindi, diventato lavoratore a tempo indeterminato comparabile.

Anzi, il dibattito sul punto è stato aperto dall’Avvocato generale Mengozzi nelle sue conclusioni scritte della causa Regojo Dans C-177/14, depositate il 20 maggio 2015 (EU:C:2015:326), nella lunghissima nota 73:

«Sottolineo che la situazione su cui la Corte è chiamata a pronunciarsi nella presente causa si distingue da quella sfociata nell’ordinanza Rivas Montes (C-178/12, EU:C:2013:150).

In tale ordinanza, la Corte era chiamata ad occuparsi della disposizione spagnola che prevedeva, con riferimento ai dipendenti di ruolo, la considerazione, ai fini del calcolo degli scatti di anzianità, di tutti i periodi anteriori di servizio, a prescindere dall’amministrazione nella quale essi erano stati svolti. La stessa disposizione

prevedeva, per contro, con riferimento agli agenti assunti con contratto, la considerazione dei soli periodi di servizio svolti nella stessa amministrazione. La Corte ha dichiarato di non essere competente a pronunciarsi sulla conformità di tale disposizione spagnola alla clausola 4 dell’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato. Essa ha rilevato che gli agenti reclutati con contratto erano assunti o a tempo determinato o a tempo indeterminato, e che tutti gli agenti reclutati con contratto erano trattati in maniera identica (erano presi in considerazione unicamente i periodi di servizio svolti nella stessa amministrazione). Essa ne ha desunto che la disparità di trattamento dedotta era fondata non già sulla durata determinata o indeterminata del rapporto di lavoro, bensì sulla natura giuridica di quest’ultimo (di ruolo o contrattuale). Una siffatta differenza di trattamento non rientrava pertanto nell’ambito di applicazione del diritto dell’Unione.

Orbene, nell’ordinanza Rivas Montes, nella quale un agente reclutato con contratto a tempo determinato invocava il beneficio di detta clausola 4, non tutti gli agenti erano stati assunti con contratto a tempo determinato: taluni erano a tempo indeterminato; tuttavia, tutti venivano trattati nella stessa maniera. Per contro, nella presente causa, nella quale un membro del personale reclutato occasionalmente invoca il beneficio della stessa clausola 4, tutti i membri del personale reclutato occasionalmente lo sono a tempo determinato; e tutti vengono trattati in maniera identica (nessuno ha diritto agli scatti controversi).

In ogni caso, la soluzione accolta dalla Corte nell’ordinanza Rivas Montes mi sembra criticabile. Infatti, nella misura in cui la ricorrente era stata assunta a tempo determinato, e taluni lavoratori a tempo indeterminato (i dipendenti di ruolo) beneficiavano del vantaggio ad essa negato, sarebbe stato preferibile, a mio avviso, ritenere che fosse integrata una disparità di trattamento vietata dalla clausola 4 dell’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato. Negare alla sig.ra Rivas

Montes, come fatto dalla Corte, il beneficio di tale clausola 4 si risolve nell’esigere che tutti i lavoratori a tempo indeterminato comparabili (dipendenti di ruolo e agenti assunti con contratto a tempo indeterminato), e non solo taluni lavoratori a tempo indeterminato comparabili (i dipendenti di ruolo), beneficino del vantaggio negato al lavoratore a tempo determinato che si reputa vittima di una discriminazione. Siamo in presenza in tal caso, mi sembra, di un’interpretazione restrittiva della citata clausola 4, mentre gli obiettivi di detto accordo quadro e il suo effetto utile richiedono un’interpretazione ampia della clausola in parola. Infine, rilevo che nell’ordinanza Vino, sulla quale si fonda la Corte nell’ordinanza Rivas Montes, nessun lavoratore a tempo indeterminato poteva beneficiare del vantaggio rivendicato dal ricorrente, in quanto un siffatto vantaggio consisteva nell’indicazione obbligatoria, nel contratto di lavoro a tempo determinato, della ragione per la quale esso era concluso a tempo determinato (posto che l’omissione di una siffatta indicazione comportava la riqualificazione in contratto di lavoro a tempo indeterminato). Si era dunque effettivamente in presenza di una disparità di trattamento fra taluni lavoratori a tempo determinato (quelli al servizio, come il ricorrente, delle poste italiane, la cui normativa prevedeva che il contratto non doveva menzionare la ragione per la quale esso era concluso a tempo determinato) e altri lavoratori a tempo determinato (quelli che beneficiavano delle disposizioni di diritto comune, ossia il cui contratto doveva menzionare la ragione per la quale esso era a tempo determinato). V. ordinanza Vino (C-20/10, EU:C:2010:677, punti 15, 16 e 57).».

Dalla sollecitazione dell’Avvocato generale Mengozzi, accolta dalla Corte di giustizia nella sentenza Regojo Dans del 9 luglio 2015 (EU:C:2015:450), il Collegio lussemburghese ha sviluppato una giurisprudenza sempre più sviluppata

sull’applicazione diretta del principio di uguaglianza e non discriminazione, sancito dalla Carta negli artt.20 e 21 e in varie disposizioni di diritto derivato dell’Unione.

L’ordinanza di rinvio pregiudiziale del Tribunale di Napoli aveva, dunque, scelto la strada della negazione di un ruolo valoriale e giuridico-istituzionale della Corte costituzionale in subiecta materia, alla luce della sentenza n.248/2018 del Giudice delle leggi.

Infatti, diversamente dalle precedenti ordinanze di rinvio pregiudiziale dello stesso giudice nelle cause Affatato e Mascolo, il Tribunale di Napoli aveva chiesto alla Corte di giustizia di riconoscere il potere di non applicazione, con riconoscimento del diritto all’immissione in ruolo (secondo quesito pregiudiziale) o disapplicazione (quarto quesito pregiudiziale) delle norme interne ostative all’applicazione della tutela equivalente ed adeguata della riqualificazione a tempo indeterminato dei contratti a termine successivi che abbiano superato i 36 mesi di servizio.

La situazione fattuale degli insegnanti di religione supplenti è quella tipica del reclutamento scolastico, mai modificato, nonostante la sentenza Mascolo: una sequenza, a volte impressionante per la durata, di supplenze annuali che coprono l’intero anno scolastico (dal 1° settembre al 31 agosto), in misura comunque di gran lunga superiore per tutti ai 36 mesi di servizio, sempre continuativi e sempre per lo stesso tipo di attività didattica.

La situazione di inadempimento alla direttiva 1999/70/CE è quella già registrata dall’ordinanza n.207/2013 della Corte costituzionale per il precariato della scuola pubblica, all’interno del cui settore gli insegnanti di religione si collocano, e non è cambiata con la legge n.107/2013, anzi è peggiorata in termini di discriminazione rispetto a tutte le categorie di docenti supplenti che sono stati inseriti nel piano straordinario di stabilizzazione, «essendo notorio che ….la immissione in ruolo ha

riguardato migliaia di docenti, inseriti nelle graduatorie provinciali ad esaurimento della scuola pubblica, che sono stati immessi in ruolo con decorrenza giuridica dal 1° settembre 2015, ai sensi dell’art.1, commi 95 ss., della legge n.107/2015, senza il possesso di alcun titolo di servizio nella pubblica amministrazione scolastica, per la mera condizione di essere inseriti in una graduatoria selettiva permanente ad esaurimento, il cui accesso era consentito fino al 2007 anche senza il superamento come idoneità all’insegnamento di procedura concorsuale» (punto 17 dell’ordinanza).

All’uopo, il giudice del rinvio si è riconosciuto nella posizione della Cassazione dalla sentenza n.10127/2012 fino alle sentenze del 7 novembre 2016 (dalla n.22552 alla n.22558) sul precariato scolastico, che considera “diritto vivente” nella parte in cui la Suprema Corte esclude l’applicazione del d.lgs. n.368/2001 sulla base della normativa speciale applicabile, con conseguente carenza assoluta delle misure preventive e sanzionatorie previste dalla clausola 5 dell’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato.

Per gli insegnanti di religione la situazione di precarietà si è accentuata, oltre che a causa della reiterazione indefinitiva dei contratti a termine successivi in mancanza di procedure concorsuali per l’immissione in ruolo (l’ultimo concorso per l’assunzione a tempo indeterminato è stato quello del 2003), anche dal fatto che il conferimento dell’incarico di supplenza annuale è subordinato al possesso dell’idoneità conferita dall’ordinario diocesano, idoneità che può essere revocata anche nel caso in cui il docente sia stato assunto a tempo indeterminato, oltre che a tempo determinato.

In definitiva, il Tribunale di Napoli poggia il primo e il terzo dei quesiti sul divieto di discriminazione fondata sulla religione ai sensi dell’art.21 della Carta dei diritti fondamentali Ue e della direttiva 2000/78/CE, aggiungendo, per il terzo quesito, il

principio di uguaglianza e non discriminazione di cui alla clausola 4 dell’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato recepito dalla direttiva 1999/70/CE, senza aggiungere l’art.20 della Carta di Nizza, come si è visto.

In particolare, il giudice del rinvio ha distinto l’ipotesi della discriminazione diretta (primo quesito) ai sensi degli artt. 1 e 2, paragrafo 2, lett.a), della direttiva 2000/78/CE da quella della discriminazione indiretta (terzo quesito) di cui agli artt.

1 e 2, paragrafo 2, lett.b), della stessa direttiva antidiscriminatoria sulle condizioni di lavoro.

La direttiva 2000/78/CE opera una distinzione tra, da un lato, le discriminazioni direttamente fondate sulla religione (e sulle altre condizioni discriminanti, convinzioni personali, handicap, età o tendenze sessuali), e, dall’altro, quelle definite «indirette», nel senso che le prime non possono essere giustificate da una finalità legittima. Per contro, in forza dell’articolo 2, paragrafo 2, lettera b), della suddetta direttiva, le disposizioni, i criteri o le prassi tali da costituire discriminazioni indirette possono evitare la qualifica di discriminazione a condizione che siano «oggettivamente giustificati da una finalità legittima e i mezzi impiegati per il suo conseguimento siano appropriati e necessari»41.

Infatti, al terzo quesito è stata indicata come ipotesi di finalità legittima per giustificare la discriminazione indiretta la ragione obiettiva della “necessità d’intesa con l’ordinario diocesano”, di cui alla clausola 5, punto 1, lett.a), dell’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato.

Pare evidente che l’intesa con l’ordinario diocesano, nell’ottica del principio di uguaglianza e non discriminazione di cui alla clausola 4, punto 1, dell’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato e gli artt.20 e 21 della CDFUE, in combinato

41 Cfr. Corte di giustizia Ue, sentenza 18 novembre 2010, C-356/09 Kleist, EU:C:2010:703, punto 41.

disposto con l’art.1 della direttiva 2000/78/CE, non costituisca finalità legittima o ragione oggettiva per giustificare la discriminazione indiretta nei confronti di tutti i lavoratori a tempo determinato a cui si applica la disciplina di diritto comune.

Il paradosso proposto dal Tribunale di Napoli con due quesiti (il primo e il terzo) non subordinati era estremamente interessante per le conseguenze pratiche della decisione della Corte di giustizia.

Se la Corte Ue si fosse limitasse, come nell’ordinanza Maturi42, ad evidenziare la discriminazione diretta per ragioni di religione, rispondendo soltanto ai primi due quesiti, al giudice del rinvio, senza incidere sull’assetto normativo interno, sarebbe sufficiente riconoscere agli insegnanti di religione precari lo stesso diritto all’immissione in ruolo scelto dalla legge n.107/2015 a tutti gli altri docenti supplenti inseriti nelle graduatorie ad esaurimento attraverso il piano di reclutamento straordinario, così applicando in via diretta l’art.21 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea.

All’uopo il Tribunale di Napoli al punto 16 dell’ordinanza di rinvio ha riconosciuto che la Corte di giustizia Ue, con il trittico di sentenze Egenberger43, Bauer e Willmeroth44 e Max-Planck45 ha costituzionalizzato la Carta dei diritti fondamentali, utilizzandola per estendere l’applicazione del diritto dell’Unione in via diretta anche alle controversie tra privati, superando le problematicità create dalla giurisprudenza che

42 Corte di giustizia Ue, ordinanza 7 febbraio 2018, cause riunite C-142/17 e C-143/17, Maturi ed altri contro Fondazione Teatro dell’Opera di Roma, EU:C:2018:68.

43

Corte di giustizia Ue, sentenza 17 aprile 2018, Egenberger, C-414/16, EU:C:2018:257.

44

Corte di giustizia Ue, sentenza 6 novembre 2018, cause riunite C-569/16 e C-570/16, Bauer e Willmeroth, EU:C:2018:871.

45

Corte di giustizia Ue, sentenza 6 novembre 2018, causa C-684/16, Max-Planck-Gesellschaft zur Förderung der Wissenschaften, EU:C:2018:874.

era intervenuta ad applicare in orizzontale tra privati il divieto di discriminazione per motivi di età, fondando la disapplicazione della norma interna soltanto sulla direttiva 2000/78/CE, come nei casi Mangold46, Palacios de la Villa47, Bartsch48 e Kücükdeveci49.

Si sarebbe trattato, ove fosse stato adottato dalla Corte di giustizia, di un percorso giudiziale non invasivo del potere legislativo, ma che si sarebbe limitato, con la copertura costituzionale della CDFUE e dell’art.3 Cost. (sul cui disposto si fondano gli artt.20 e 21 della Carta di Nizza, cioè le due norme che più contribuiscono, con il principio fondamentale di uguaglianza e non discriminazione, alla formazione delle tradizioni costituzionali comuni su cui poggia il pilastro sociale europeo e l’intero sistema di tutela giurisdizionale Ue), ad estendere alle categorie svantaggiate gli stessi effetti di costituzione del diritto riconosciuti dalla norma interna alle categorie privilegiate, senza oneri per la finanza pubblica, trattandosi, per gli insegnanti di religione supplenti, di personale che viene impiegato per tutto l’anno scolastico su posti vacanti in organico e con la reiterazione indefinita dei rapporti di lavoro a termine.

Più complessi apparivano gli effetti legati all’accoglimento (ovviamente eventuale) del terzo quesito sulla discriminazione indiretta (o, meglio, sulla discriminazione tout court priva di ragioni oggettive).

In questo caso, il giudice del rinvio, disapplicando le norme interne ostative per applicare il diritto Ue (sempre con la copertura costituzionale degli artt.20 – non

46 Corte di giustizia Ce, sentenza 22 novembre 2005, C-144/04, Mangold v. Helm, EU:C:2005:709.

47 Corte di giustizia CE, sentenza 16 ottobre 2007, causa C-411/05 Palacios de la Villa, EU:C:2007:604.

48 Corte di giustizia CE, sentenza 23 settembre 2008, causa C-427/06 Bartsch, EU:C:2008:517.

49 Corte di giustizia Ue, sentenza 19 gennaio 2010, causa C-555/07 Kücükdeveci, EU:C:2010:21.

evocato - e 21 CDFUE e degli artt.3 e 117, comma 1, Cost., in combinato disposto con il diritto derivato Ue della clausola 4, punto 1, dell’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato e dell’art.1 della direttiva 2000/78/CE), avrebbe dovuto applicare la tutela di diritto comune, cioè la trasformazione a tempo indeterminato dei contratti a termine successivi che hanno superato i 36 mesi di servizio anche non continuativi di cui all’art.5, comma 4-bis, d.lgs. n.368/2001 e, ora, dall’art.19 d.lgs. n.81/2015, oltre, nel caso di contratti a tempo determinato successivi con soluzione di continuità, al risarcimento dei danni previsto dall’art.32, comma 5, della legge n.183/2010 (oggi art.28, comma 2, d.lgs. n.81/2015).

Paradossalmente, quindi, l’accoglimento del primo quesito sulla discriminazione diretta, che è più grave di quella indiretta non ammettendo alcuna legittima finalità che la possa giustificare, avrebbe provocato meno danni alle pubbliche amministrazioni, anzi, come anticipato, nessun danno per quanto riguarda la

“stabilizzazione” degli insegnanti di religione, trattandosi di quella situazione che ha inventato la fantasiosa giurisprudenza spagnola di contratti (sostanzialmente) “a tempo indeterminato non permanente”, cioè legati annualmente all’intesa con l’ordinario diocesano e al permanere dell’idoneità all’insegnamento concessa dalla stessa autorità ecclesiastica.

Con questa tecnica interpretativa ad incastro e per quesiti simili ma non sovrapponibili, in verità, il Tribunale di Napoli ha messo in evidenza anche le contraddizioni interne alla giurisprudenza “comunitaria” sul precariato pubblico italiano, legate a loro volta alla pretesa interna di individuare nella sentenza n.5072/2016 delle Sezioni unite della Cassazione una soluzione di sistema.

Viceversa, la sentenza n.5072/2016 delle Sezioni unite era legata ad una vicenda processuale collocata in un contesto normativo nazionale completamente diverso da quello successivo (l’ultimo contratto a termine dei cuochi Marrosu e Sardino era

cessato nei primi mesi del 2002), in vigore dal settembre 2013 (art.36, comma 5-quater, d.lgs. n.165/2001), in cui la sentenza di 2° grado della Corte di appello di Genova, non impugnata dai lavoratori sul punto, limitava la sanzione dell’abusivo ricorso ai contratti a termine nel pubblico impiego al solo risarcimento del danni nella misura delle 20 mensilità di retribuzione, in applicazione analogica dell’art.18, commi 4 e 5, della legge n.300/1970.

E’ sufficiente leggere il punto 62 della sentenza Sciotto della Corte Ue: «Ne deriva che l’ordinamento giuridico italiano non comprende, nel settore delle fondazioni lirico-sinfoniche, nessuna misura effettiva, ai sensi della giurisprudenza citata al punto 60 della presente sentenza, che sanzioni l’utilizzo abusivo di contratti a tempo determinato, e ciò sebbene il personale di tale settore, contrariamente ai lavoratori di cui trattasi nella causa che ha condotto alla sentenza del 7 marzo 2018, Santoro (C-494/16, EU:C:2018:166, punti 35 e 36), non abbia diritto all’attribuzione di un’indennità ai fini del risarcimento del danno subito.».

Secondo la Corte di giustizia nella sentenza Santoro la precaria siciliana degli enti locali della causa C-494/16 alle dipendenze “a tempo indeterminato non permanente” del Comune di Valderice (attualmente stabilizzata dopo la sentenza Santoro) godeva comunque, per l’abusivo ricorso al contratto a tempo determinato, dell’indennità forfetaria creata dalle Sezioni unite, mentre la tersicorea alle dipendenze a tempo determinato della Fondazione Teatro dell’Opera di Roma della causa Sciotto non beneficiava di alcuna tutela preventiva e sanzionatoria contro l’abusivo ricorso ai contratti a tempo determinato, per l’inapplicabilità dell’intero d.lgs. n.368/2001.

In definitiva, è il precariato pubblico (scuola, sanità, enti locali, enti lirico-sinfonici, università, conservatori di musica, ecc.) che rimane del tutto privo di tutele sanzionatorie, sulla base di una normativa interna che preclude ogni misura

ostativa, negando la possibilità stessa che vi possa essere un abuso, per inapplicabilità generale della disciplina interna antiabusiva (art.36, comma 5-quater, d.lgs. n.165/2001; art.29 d.lgs. n.81/2015), a cui, nei singoli settori del lavoro pubblico, il legislatore nazionale ha aggiunto ulteriori disposizioni (anche di contrattazione collettiva di comparto) di inadempimento integrale alla direttiva 1999/70/CE, come per la scuola, per la sanità, per le fondazioni lirico-sinfoniche, per i conservatori di musica, per gli enti locali (compresi quelli siciliani), per limitarci alle fattispecie già esaminate dalla Corte di giustizia nelle decisioni Marrosu-Sardino, Affatato, Papalia, Mascolo, Santoro, Sciotto, Rossato.

L’Avvocato generale Tanchev nelle sue conclusioni scritte della causa C-282/19 aveva completamente e abilmente glissato di prendere posizione sul presunto conflitto tra la sentenza Sciotto della Corte di giustizia e la sentenza n.248/2018 della Corte costituzionale, su cui il Tribunale di Napoli nell’ordinanza di rinvio aveva particolarmente insistito.

Le conclusioni dell’Avvocato generale Tanchev nella causa pregiudiziale sugli insegnanti di religione cattolica precari sono state presentate il 18 marzo 2021:

«L’obbligo per gli insegnanti di religione cattolica di ottenere l’approvazione dell’ordinario diocesano come condizione preliminare all’insegnamento nelle scuole pubbliche non costituisce una ragione obiettiva ai sensi della clausola 5, punto 1, lettera a), dell’accordo quadro allegato alla direttiva 1999/70/CE del Consiglio, del 28 giugno 1999, relativa all’accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato, che giustifica il rinnovo dei contratti a tempo determinato. Nelle circostanze del procedimento principale, e poiché la clausola 5 dell’accordo quadro è priva dei presupposti per l’effetto diretto, il giudice del rinvio è tenuto a disapplicare un divieto legislativo assoluto prescritto dal diritto dello Stato membro che impedisce la conversione di contratti a tempo determinato in contratti a tempo

indeterminato, solo se la mancata conversione comporta una discriminazione fondata sulla religione o sulle convinzioni personali, in violazione dell’articolo 21 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, e l’indisponibilità di un ricorso effettivo per correggere tale discriminazione, in contrasto con l’articolo 47, primo comma, della Carta, circostanza che spetta al giudice del rinvio verificare. In tal caso, tutte le norme del diritto dello Stato membro che non possono essere interpretate in modo conforme al divieto di discriminazione fondata sulla religione o le convinzioni personali sancito dall’articolo 21 della Carta, e il rimedio per la sua violazione garantito dal primo paragrafo dell’articolo 47 della Carta, devono essere disapplicate, comprese le norme di natura costituzionale.».

Le conclusioni dell’A.G. divergono dalla soluzione delle questioni pregiudiziali sollevate dal Tribunale di Napoli sugli i.r.c. proposta dalla Commissione europea nelle osservazioni scritte depositate il 31 luglio 2019: «1) L'accordo quadro sul lavoro a tempo determinato, concluso il 18 marzo 1999, che figura nell'allegato alla direttiva 1999/70/CE del Consiglio, del 28 giugno 1999, relativa all'accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato, ed in particolare la sua clausola 5, osta ad una normativa nazionale, come quella in causa nel giudizio principale, che non prevede alcuna misura ai sensi di tale clausola per prevenire abusi nel ricorso allo strumento del contratto di lavoro a tempo determinato nei confronti di lavoratori come i ricorrenti nella causa principale. 2) Spetta alle autorità giurisdizionali dello Stato membro interessato garantire il rispetto del divieto di discriminazione di cui alla clausola 4, punto 1, dell’accordo quadro, anche disapplicando quelle disposizioni nazionali che impediscono l’operare delle norme di diritto interno finalizzate a sanzionare debitamente la violazione di tale clausola e

Le conclusioni dell’A.G. divergono dalla soluzione delle questioni pregiudiziali sollevate dal Tribunale di Napoli sugli i.r.c. proposta dalla Commissione europea nelle osservazioni scritte depositate il 31 luglio 2019: «1) L'accordo quadro sul lavoro a tempo determinato, concluso il 18 marzo 1999, che figura nell'allegato alla direttiva 1999/70/CE del Consiglio, del 28 giugno 1999, relativa all'accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato, ed in particolare la sua clausola 5, osta ad una normativa nazionale, come quella in causa nel giudizio principale, che non prevede alcuna misura ai sensi di tale clausola per prevenire abusi nel ricorso allo strumento del contratto di lavoro a tempo determinato nei confronti di lavoratori come i ricorrenti nella causa principale. 2) Spetta alle autorità giurisdizionali dello Stato membro interessato garantire il rispetto del divieto di discriminazione di cui alla clausola 4, punto 1, dell’accordo quadro, anche disapplicando quelle disposizioni nazionali che impediscono l’operare delle norme di diritto interno finalizzate a sanzionare debitamente la violazione di tale clausola e

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