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ovvero l’opera contemporanea a Torino

Sfogliando i programmi generali dell’unico ente torinese che pos­ sieda strutture e sovvenzioni suf­ ficienti a programmare stagioni operistiche, ci si accorge che la presenza di lavori teatrali di au­ tori contemporanei è andata di­

minuendo considerevolmente.

Insensibile alle parole spese dalla più autorevole critica locale in favore dell’opera d’avanguardia, il Teatro Regio ha aperto le sue scene ai musicisti d ’oggi più ra­ ramente del Teatro Nuovo, qua­ lificandosi come unico ente lirico italiano il cui rapporto col teatro

musicale contemporaneo sia

andato peggiorando anziché mi­ gliorare. Il glorioso «Teatro Re­ gio» che vide le prime mondiali di Manon Lescaut e di Bohème, che fu solito mettere in scena Wagner ai tempi in cui sembrava scanda­

loso, che organizzò la prima ita­ liana di Salomè diretta dall’auto­ re, ha ospitato nella sua sala grande, dalla riapertura del ’73, solo tre opere di autori viventi (Fuga, Bruni-Tedeschi e Henze), opere che, tra l’altro, non posso­ no neppure, con le dovute diffe­ renze, considerarsi rappresenta­ tive dell’avanguardia musicale più propriamente detta dirom­ pente.

Quest’ultima, invero, fece capo­ lino nel ’76 sul palcoscenico del Regio: si trattava di Tombeau, balletto su musica di Boulez dan­ zato dal gruppo di Béjart. Fu uno spettacolo straordinario, in asso­ luto uno dei più belli che si siano visti recentemente a Torino. Bi­ sogna quindi constatare che l’a­ vanguardia musicale storica è giunta al grande Regio per inizia­

tiva di un illuminato coreografo, dato che non viene spontaneo pensare a precise richieste a Bé­ jart da parte di un Teatro che, se desiderasse balletti o qualsivoglia spettacolo con musiche contem­ poranee, avrebbe i mezzi per produrli.

Ci si chiede il perché di questa chiusura nei confronti del nuovo, soprattutto dopo la stagione ’78-79, che ha visto il grandissi­ mo successo di Salomè e Pelléas et

Mélisande, opere moderne, di non

facilissimo ascolto e legate a pro­

blematiche culturali piuttosto

impegnative. Successo che ha presentato un pubblico torinese proiettato nella direzione della modernità e quindi più maturo di quanto pensi chi è addetto alla programmazione.

In proposito vorrei aprire una parentesi. Esiste, fra i frequenta­ tori del Teatro Regio, un gruppo di appassionati alla lirica, facente capo ai cosiddetti « Amici del Regio», che in passato si è posto come interlocutore diretto. Forse per la costante presenza in sala, per il peso del loro umore alle « prime » o per una semplice for­ ma di educazione nei confronti di persone molto entranti e assidue, il Teatro Regio ha dovuto soven­ te render conto del suo operato a questo gruppo. Nessuno mette in dubbio che fra questi melomani torinesi vi sia qualche persona aperta e utile alla vita musicale, come raccoglitori di antichi li­ bretti e di materiale storico. Di fatto, tuttavia, le loro frange più conservatrici e ottuse, spalleggia­ te da pubblico mondano e impre­ parato, scatenarono due anni fa un pandemonio indecoroso per contestare certi cantanti a loro

sgraditi e soprattutto per boicot­ tare tre opere del cartellone ’77-78 (Corregidor, Elegia per

giovani amanti, Amore delle tre melarance), tacciandole di indesi­

derato modernismo (si noti che due su tre moderne non erano!), senza averle mai ascoltate, quindi esclusivamente perché i nomi di Wolf, Henze e Prokofiev non suonavano familiari alle loro orecchie come Verdi o Puccini. Le impennate di questo pubblico si dimostrarono nel corso della stagione infondate, perché le opere in questione ebbero tutte, per diverse ragioni, un buon suc­ cesso, nel caso de L’amore delle

tre melarance successo addirittura

trionfale anche nelle recite per le scuole. Ciò per dire che i gusti di certi melomani, legati al solo repertorio ottocentesco e al divi­ smo canoro, non coincidono con quelli del grosso pubblico privo di pregiudizi, unico e autentico rappresentante della città a cui il Teatro Regio deve rendere conto del suo operare. Realtà dimostra­ ta anche dal fatto che certe fred­ de accoglienze registrate alle «prime» si sono trasformate in successi nelle recite successive e viceversa.

Questa lunga parentesi è stata fatta per dichiarare che una pro­ grammazione aggiornata si im­ pone a Torino, non tanto per tappare la bocca a critici e intel­ lettuali, ma per soddisfare i desi­ deri di novità vivi in una grossa fetta del pubblico cittadino, solo apparentemente sprovveduto e disattento. Senza contare il fatto che lo svecchiare un po’ le sta­ gioni — pubblicizzando a dovere l’azione, come si è fatto altrove — potrebbe coinvolgere nuove masse di giovani che non metto­ no piede all’opera perché vi fiu­ tano l’aria stantia e polverosa di un museo in decadenza. E nessu­ no è in grado di escludere che molti torinesi possano arrivare al repertorio tradizionale tramite opere d’avanguardia: le strade della comprensione artistica sono spesso complesse e il suggerire la modernità di certe opere di re­ pertorio con l’accostamento ad altre radicalmente moderne è

un’operazione che si è rivelata oltremodo stimolante in tutta l’Europa musicale. Spero che almeno quegli amici del Regio che all’epoca del Teatro Nuovo seguivano con curiosità ogni anno opere di autori contempo­ ranei — dimostrandosi allora autentici amici dell’arte — siano d’accordo con chi scrive, con la

critica e con i giovani intellettua­ li, su una politica di apertura alle avanguardie. Anche uno sprov­ veduto capisce che promuovere l’esecuzione di opere di autori viventi è un dovere culturale e morale assoluto di un Ente lirico e, per quanto numeroso possa essere il gruppo di persone che va all’opera solo per vedere il

reper-Nuovo Teatro Regio, stagione 1977/78 Henze Elegia per giovani amanti, direttore B. Martinotti

Nuovo Teatro Regio, stagione 1977/78, Prokofiev L'amore dette tre melarance, direttore I V. Delman

Nuovo Teatro Regio, stagione 1977/78, Prokofiev L'amore delle tre melarance, direttore V. Delman torio tradizionale (ma le cifre

sono cambiate!), un teatro riceve sovvenzioni anche per contribui­ re all’evoluzione dell’arte musica­ le nel nostro paese (si veda la Legge Corona n. 800 del 14 ago­ sto 1967 art. 18, 29, 31).

Ma al Regio la situazione pare inceppata. Nessun concorso per nuove opere è stato più bandito dopo quello che vide classificata

Ayl di Correggia e nessuna

« commissione » di lavori scenici nuovi è stata più assegnata a mu­ sicisti d’oggi dopo i balletti ri­ chiesti a Mosso e a Quaranta per il Piccolo Regio. Amore e Psiche di Sciarrino, che era programma­ ta, non è stata in seguito messa in scena.

A guardarsi intorno poi, l’arre­ tratezza di Torino si presenta sconfortante: alla Scala si è data in due stagioni diverse l’ultima opera di Nono (poi rappresentata a Francoforte), un’opera di Bus- sotti e un balletto di Berio, il qua­ le sta scrivendo nuove opere per la Scala e per il Festival di Sali­ sburgo! Bussotti, rappresentato a Venezia e ad Amburgo, presenta una sua nuova opera a Treviso. Sinopoli scrive su commissione due opere per Monaco di Baviera e per Amburgo. Il torinese Ferre­

rò al «Maggio musicale fiorenti­ no», ad Avignone e a Roma, per il cui teatro prepara una nuova opera. Sciarrino a Firenze, dopo la Piccola Scala e prossimamente alla Fenice. Togni alla Fenice, alla Scala e a Roma. Tutte opere nate per un allestimento scenico di autori italiani, ospitate, come ho accennato, anche in importan­ ti centri europei. E ho citato solo ciò che mi veniva in mente, in sospetto di aver fatto gravi di­ menticanze, tale è la moltitudine di queste manifestazioni artisti­ che. Se il discorso si estendesse ai musicisti contemporanei stranieri in patria e in Italia, le argomenta­ zioni crescerebbero a dismisura. Ricorderò solo l’opera di Ligeti nella stagione scorsa a Bologna, quella di Penderecki a Chicago e alla Scala. Pare che l’autore po­ lacco ora prepari una nuova ope­ ra per i teatri dell’Emilia-Roma­ gna.

Insomma ovunque c’è la possibi­ lità di seguire regolarmente un teatro che sia viva espressione del presente, attraverso il linguaggio musicale degli ultimi tempi — non al Teatro Regio di Torino. Si ha forse il timore di offendere i melomani tradizionalisti? O di perdere il pubblico mondano ri­

chiamato dalla scintillante inau­ gurazione del ’73, che sta già len­ tamente facendo posto ad ascol­ tatori più curiosi e più interessati allo spettacolo in sé, che a un’abi­ tudinaria uscita serale in pompa magna? Nessuno potrà mai accu­ sare un Teatro sovvenzionato di essersi mosso nella direzione del­ la cultura ed avere insieme supe­ rato il rischio di ridursi ad ente assistenziale per chi non sa dove indossare i vestiti migliori. Ci si augura, per concludere, che l’opera teatrale contemporanea possa godere nella nostra città di una fortuna maggiore, possibil­ mente in un futuro non troppo lontano. Al nostro Teatro Regio basterà semplicemente mettersi al passo con la programmazione ampiamente aggiornata che — onore al merito — ci ha sempre offerto nella Sala del Piccolo Regio e nei concerti sinfonici. Gli

sarà sufficiente abbandonare

quelle eccessive diffidenze tanto piemontesi verso il nuovo, segui­ re con un po’ di entusiasmo la parte migliore di sé: applicare insomma quella stessa apertura culturale, che ha innegabilmente dimostrato nelle stagioni stru­ mentali, anche alla programma­ zione delle opere sceniche.