un tale scenario, travolgente per la sua bellezza, fosse attraversato dai razzi e dai colpi di Rpg ogni giorno.
Nei numerosi reportage, abbiamo raccontato la vita con i nostri solda-ti, appartenenti ad ogni forza armata, piloti dell’Aeronautica, carabinieri, Forze speciali di Marina Militare ed Esercito quali il Reos, Reggimento elicotteri operazioni speciali; abbiamo condiviso il cibo nelle loro mense e i ricoveri improvvisati nei bunker, du-rante i “rocket attack” (attacchi alle basi con razzi). Ricordiamo perlu-strazioni sotto le notti stellate afgha-ne indimenticabili, immersi afgha-nel fango delle giornate invernali o soffocati dalla sabbia fine come borotalco nei periodi estivi, con 50 gradi. Abbiamo ascoltato i loro sogni, i loro racconti di mondi lontani, di figli e mogli con cui comunicavano tramite web. Trop-pi di loro abbiamo accolto quando son giunti all’aeroporto di Ciampino, in bare avvolte nel tricolore, assisten-do con il cuore gonfio di angoscia al dolore inenarrabile delle madri.
Ab-biamo anche narrato delle esperien-ze compiute con le foresperien-ze armate af-ghane, addestrate dai nostri militari.
Ricordo ancora l’emozione provata allorché il braccio destro di Ahmad
Shah Massoud, il “Leone del Panji-shir, il maggiore Asghur, dopo aver-mi rilasciato l’intervista, con fierezza e orgoglio mi fece dono del “pakol”, il berretto che Massoud usava
porta-re e che rappporta-resenta l’emblema della volontà dei mujahiddin di risorgere e dare stabilità al Paese.
Nel momento in cui, con grande ri-spetto e grande orgoglio da parte mia, mi donò il pakol, stringendomi anche la mano, il mio pensiero andò a co-lui che aveva sacrificato la vita per il proprio Paese, un Paese in cui ancora stavano creando terrore e disordini gli
“insorgenti”, come vengono defini-ti i taliban, quelli che mai avrebbero considerato una donna degna di ri-spetto da parte di un uomo islamico;
se poi avessero addirittura visto come una signora veniva “onorata” con un simbolo afghano, stringendo persino la mano ad un uomo, sicuramente avrebbero lanciato non solo anatemi.
Ed ancora emozione al ricordo degli incontri con Maria Bashir, allora pro-curatrice del tribunale di Herat e stre-nua attivista in difesa delle donne, con la quale abbiamo avuto interessanti colloqui relativi ai diritti delle donne afghane che, attualmente, a causa del-le restrizioni ulteriori dei taliban,
con-...RIENTRAVAMO DALLE NOSTRE MISSIONI GIORNALISTICHE CON ARGOMENTI E FOTO DA PUBBLICARE SUL NOSTRO WEBMAGAZINE CYBERNAUA, MA, SOPRATTUTTO, RIENTRAVAMO CONSAPEVOLI DI AVERE CARICATO SULLE NOSTRE SPALLE LA RESPONSABILITÀ DI RACCONTARE LA REALTÀ, LA TRAGEDIA...
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Apre con una dedica all’Afghanistan la cui sabbia numerose vol-te gli autori hanno calpestato e respirato, a coloro che hanno sacrificato la propria vita, alla collega Maria Grazia Cutuli uccisa in un agguato il 19 Novembre 2001.
Il libro si chiude con la postfazione del generale Mario Arpino che dice:
“Ho appena finito di leggere, ancora in prima stesura, il libro sull’Af-ghanistan di Maria Clara Mussa. Una prima impressione, a caldo?
Eccola: quello che ho appena letto è un libro d’amore. Amore per la natura selvaggia, le montagne, i deserti, per quel cielo stellato che ormai noi non riusciamo più a ricordare, ma che quelli della mia generazione sanno bene che esiste. Amore per i suoi uomini e per le sue donne, in attesa perenne di una libertà a loro sconosciuta. E amore per i nostri soldati, che per vent’anni si sono avvicendati in quei luoghi certamente affascinanti, ma proprio per questo capaci di nascondere pericoli improvvisi e trappole letali.”
“Exit Tragedy.
Pensare che volevamo la pace per l’Afghanistan”, edito da LoGisma è facilmente reperibile online, su tutte le principali piattaforme di vendita libri.
Per www.Cybernaua.it
InformAction Magazine, l’anno 2022 si apre con la pubblicazione del secondo libro sull’Afghanistan scritto da Maria Clara Mussa con le fotografie di Daniel Papagni.
“Exit Tragedy.
Pensare che volevamo la pace per l’Afghanistan”
edito da LoGisma, narra del Paese abbandonato al proprio destino.
Editore: LoGisma Prezzo: 16 Euro tinuano a subire tragedie inenarrabili.
Maria Bashir, che viveva sotto scorta, ora è cittadina italiana, lontana da co-loro che la minacciavano.
Numerosi anche gli incontri con al-cune colleghe afghane e con signore impegnate in attività imprenditoriali, non certo facili da svolgere in quel-la terra martoriata; incontri in cui si confidavano con noi sulle difficoltà che ogni giorno dovevano affrontare a causa delle limitazioni riservate alle donne anche da parte della stessa fa-miglia, legata alle tradizioni culturali mai sopite.
Nei venti anni di missione Nato, con-clusa in modo molto discutibile, una parvenza di conquiste nel settore dei loro diritti si era raggiunta: potevano circolare senza dover subire l’accom-pagnamento di un uomo di fami-glia; potevano cessare di indossare il burqa sostituendolo con il chador;
potevano frequentare scuole ed uni-versità e svolgere attività remunerate.
Ne avevamo incontrate molte, felici di poter narrare la “scalata” ai propri diritti “conquistati”. Ora, da molte di loro, riceviamo email con richiesta di aiuto, terrorizzate dalla situazione che si è instaurata nel Paese. Siamo riusciti a farne uscire alcune da Kabul e da Herat, insieme a collaboratori di ditte italiane ed interpreti che hanno lavorato al fianco dei militari.
Si parla di collaboratori e non solo di interpreti, perché numerosi sono sta-ti i cittadini afghani che hanno lavo-rato con ditte italiane impegnate nella ristrutturazione dell’Afghanistan.
Una per tutte, ricordiamo la R.I.
Group, fornitrice di servizi logistici e costruttrice delle basi in cui operava-no i militari italiani, strenua sosteni-trice dell’importanza dell’inclusione di operai locali nelle attività di co-struzione svolte nel Paese, aiutando così le famiglie afghane nel processo di crescita verso una pace sognata da lungo tempo. Pace che attualmente appare ancora più lontana dopo la presa di potere dei talebani, come sottolineiamo nel nostro libro, Exit tragedy: una tragedia annunciata.