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Il paesaggio e la sua tutela: tra tradizione e innovazione

Nel documento Il diritto delle coste (pagine 101-106)

5. Il governo del territorio e le “tutele parallele”

5.2. Il paesaggio e la sua tutela: tra tradizione e innovazione

Approntare una discussione giuridica sul tema del paesaggio e della sua connessa esigenza di tutela impone alcuni chiarimenti definitori preliminari. È noto, infatti, che, negli ultimi tempi, la nozione di paesaggio è stata oggetto di sostanziali ripensamenti, che hanno trovato un importante approdo nella Convenzione europea del paesaggio (approvata a Firenze il 20 ottobre 2000 e ratificata dall’Italia con l. 9 gennaio 2006, n. 14), poi recepita – peraltro non senza alcune incertezze – nel d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, vale a dire nel “Codice dei beni culturali e del paesaggio” (il c.d. “Codice Urbani”)194, oggetto di molteplici interventi modificativi ed integrativi. Conviene,

dunque, innanzitutto, “attualizzare” il concetto di paesaggio195, muovendo dalla lettura

del dato positivo196.

A norma dell’art. 131, co. 1 del Codice Urbani, così come modificato dall’art. 2 del d.lgs. 26 marzo 2008, n. 63, (il “secondo correttivo”) il paesaggio – che per la prima volta trova una compiuta definizione e un’autonoma disciplina legislativa sul piano interno – è inteso quale «territorio espressivo di identità, il cui carattere deriva

193 In tal senso, per avere contezza delle esperienze regionali, si vd. Ispra, Strumenti per la pianificazione ambientale, Piani di gestione regionali delle (coste), in Annuario dei dati ambientali, edizione 2017, corredato, peraltro, di utili tabelle sinottiche.

194 In ordine al rapporto tra la Convenzione europea del paesaggio e al Codice sui beni culturali e del paesaggio, si vd. G.F. Cartei, Codice dei beni culturali e del paesaggio e Convenzione europea: un raffronto, in Aedon, 2, 2008 e G. Sciullo, Il Codice e la Convenzione europea del paesaggio, in Aedon, 3, 2008.

195 Una simile impostazione metodologica è, in effetti, seguita in molti recenti studi sul tema de qua. Si cfr., ex multis, E. Boscolo, Le nozioni di paesaggio. La tutela giuridica di un bene comune (in appartenenza diffusa) tra valori culturali e identitari, in giustamm.it, 5, 2016; P. Carpentieri, Paesaggio, ambiente e sviluppo: la via italiana della tutela, in giustamm.it, 11, 2015; C. Desideri, Dalla disciplina del paesaggio alla valutazione delle “condizioni di esistenza”, cit., p. 252 ss.

196 In tema di paesaggio, si segnala il recente lavoro monografico di S. Amorosino, Introduzione al diritto del paesaggio, Bari, Laterza, 2010.

97 dall'azione di fattori naturali, umani e dalle loro interrelazioni». La definizione, mutuata dalla Convenzione europea197, tende, dunque, ad esaltare il profilo “percettivo” ascrivibile al territorio (e in esso ai territori, secondo una lettura sistemica delle pertinenti disposizioni legislative), che dipende, nondimeno, dalla azione ed interazione di molteplici fattori antropici e naturali. In questo senso, il paesaggio, già definito dalla dottrina, in modo peraltro antesignano, quale “forma sensibile del territorio”198, assurge a “piattaforma dinamica e multisensoriale” per l’osservatore, generatrice di molteplici “servizi”, che, secondo un lessico oramai penetrato (anche) nel linguaggio giuridico dell’Unione, possono dirsi “culturali” (ovverosia servizi di natura informativa, ricreativa, contemplativa, etc.)199.

Siffatta definizione, inoltre, lascia trasparire alcuni elementi di caratterizzazione della nuova disciplina rispetto alla disciplina precedente, che vale la pena di sottolineare. Il paesaggio, infatti, non si esaurisce, come in precedenza, nei soli “beni paesaggistici” (beni, immobili, aree e/o loro complessi, dotati di particolare pregio da punto di vista “estetico-culturale”, oggi contemplati nell’art. 2, co. 1 e 3 e più compiutamente nell’art. 134 del Codice Urbani, su cui gravano dei “vincoli”, i c.d. “vincoli paesaggistici”)200 ma

197 A norma dell’art. 1, lett. a) della Convenzione europea del paesaggio, ci si riferisce, infatti, ad «una determinata parte di territorio, così come è percepita dalle popolazioni, il cui carattere deriva dall'azione di fattori naturali e/o umani e dalle loro interrelazioni».

198 Così A. Predieri, Paesaggio, cit., p. 514 ss.

199 Per la diffusione della locuzione “servizi culturali” e prima ancora della locuzione “servizi ecosistemici” si è rivelato fondamentale il lavoro di teorizzazione compiuto nell’ambito del progetto di ricerca “Valutazione degli ecosistemi del millennio” (Millennium ecosystem assessment, 2005), sostenuto dalle Nazioni Unite a partire dal 2001.

Questi studi sono, oggi, ampiamente contemplati nelle politiche europee, come dimostra la messa a punto della “Strategia dell’Ue sulla biodiversità fino al 2020”. Si vd. al riguardo, la Com(2011) 244 del 3 maggio 2011 e la Com(2015) 478 del 2 ottobre 2015, recante rispettivamente «La nostra assicurazione sulla vita, il nostro capitale naturale: strategia dell'UE sulla biodiversità fino al 2020» e «Revisione intermedia della Strategia dell’Ue sulla biodiversità fino al 2020».

200 Al riguardo, vale la pena di rammentare che la categoria legislativa dei “beni paesaggistici” nasce con il decreto legge 27 giugno 1985, n. 312, convertito dalla legge 8 agosto 1985, n. 431, il cui art. 1, co. 1 contempla espressamente una serie tipologica di aree e beni: i territori costieri e i territori contermini ai laghi per una fascia di 300 metri; i fiumi, i torrenti e i corsi d'acqua con relative ripe per una fascia di 150 metri; le montagne per la parte eccedente 1800 metri; i ghiacciai e i circoli glaciali; i parchi e le riserve, nazionali o regionali, nonché le aree di protezione esterne ai primi; i boschi e le foreste; infine le aree assegnate alle Università agrarie e le zone gravate da usi civici e i vulcani (art. 1, comma 1). In relazione a questi beni, il decreto prevede un regime di particolare tutela, teso, in sostanza, preservarne l’integrità e/o l’equilibrio, che si affianca al regime di tutela già previsto dalla legge 29 giugno 1939, n. 1497,

98 si estende all’intero territorio (con inclusione della generalità degli spazi naturali, rurali, urbani e periurbani, ivi compresi i paesaggi terrestri, le acque interne e marine)201 o meglio ai “territori”, secondo le tipizzazioni “territorial-paesaggistiche”, recepite, seppure solo implicitamente, dal legislatore nazionale, sulla scia dell’esempio di matrice sovranazionale202.

In particolare, il cambio di prospettiva accolto dal legislatore prefigura “politiche del paesaggio”203 di ampia portata, strutturate per “ambiti” (ossia mediante la nota tecnica

dello zoning, mutuata dall’urbanistica), tese ad involgere non soltanto i “paesaggi straordinari” (che rappresentano la sede di ubicazione ideale dei beni paesaggistici, come i “territori costieri”, oggetto di particolare interesse ai fini del presente lavoro) ma rubricata “Protezione delle bellezze naturali”. In tal caso, tuttavia, i beni, sebbene previamente tipicizzati dal legislatore (a norma dell’art. 1, ci si riferisce: 1) alle cose immobili che hanno cospicui caratteri di bellezza naturale o di singolarità geologica; 2) alle ville, ai giardini e ai parchi che, non contemplati dalle leggi per la tutela delle cose d'interesse artistico o storico, si distinguono per la loro non comune bellezza; 3) ai complessi di cose immobili che compongono un caratteristico aspetto avente valore estetico e tradizionale; 4) alle bellezze panoramiche considerate come quadri naturali e così pure quei punti di vista o di belvedere, accessibili al pubblico, dai quali si goda lo spettacolo di quelle bellezze) sono assoggettabili a siffatta tutela solo a seguito dell’esperimento di un previo procedimento amministrativo volto a riconoscerne il «notevole interesse pubblico». In tal caso si suole parlare di beni “individuati in via amministrativa”, nel caso precedente, invece, di “beni paesaggistici ope legis”. (Al riguardo, peraltro, la dottrina sembra unanime nel riconoscere in questa successione legislativa il passaggio da una concezione “estetica” del paesaggio ad una più estensivamente di natura “estetico-culturale”. Sul punto paiono chiare le parole di G. Sciullo, I vincoli paesaggistici ex lege: origini e ratio, in Aedon, 1-2, 2012). Si noti, inoltre, che ambedue le (macro-)tipologie di beni confluiscono, dapprima, nel decreto legislativo 29 ottobre 1999, n. 490 e, in ultimo, nel d.lgs. n. 42/2004, che offre, nondimeno, un elenco aggiornato dei beni paesaggistici ex lege. L’articolo 134, co. 1, poi, che contempla rispettivamente alla lettera a) i beni individuati in via amministrativa e alla lettera b) i beni paesaggistici ex lege, richiama una “terza categoria” di beni nella lettera c), relativa più precisamente «(a)gli ulteriori immobili ed aree specificamente individuati a termini dell'articolo 136 e sottoposti a tutela dai piani paesaggistici previsti dagli articoli 143 e 156». Quest’ultima categoria, sebbene abbia ingenerato e continui ad ingenerare delle perplessità dal punto di vista interpretativo, sembra sia riconducibile entro il novero dei beni di cui alla lettera a). In questi termini si esprime G.F. Cartei, Codice dei beni culturali e del paesaggio e Convenzione europea: un raffronto, cit.

201 Si vd. l’art. 2 della Convenzione europea.

202 Nell’art. 2 della Convenzione europea, infatti, vengono esplicitate tre tipologie di paesaggi, vale a dire i “paesaggi straordinari”, i paesaggi della vita quotidiana” e i paesaggi degradati”; nel Codice Urbani, invece, siffatta tassonomia è accolta solo implicitamente, come si evince dalla lettura dell’articolo 131 e dagli articoli seguenti. Al riguardo, secondo E. Boscolo, Le nozioni di paesaggio. La tutela giuridica di un bene comune (in appartenenza diffusa) tra valori culturali e identitari, cit., queste disposizioni richiamano alla mente un “paesaggio a strati” ovvero un “paesaggio stratificato”.

203 Secondo quanto espresso nella Convenzione all’art. 1, co. 1, lett. b), la locuzione “politica del paesaggio” «designa la formulazione, da parte delle autorità pubbliche competenti, dei principi generali, delle strategie e degli orientamenti che consentano l'adozione di misure specifiche finalizzate a salvaguardare gestire e pianificare il paesaggio».

99 anche i “paesaggi della vita comune” (significativamente le aree urbane ovvero i centri di aggregazione socio-culturale, quali possono essere le piazze, le aree verdi, i parchi, a prescindere dalla presenza di beni paesaggistici ovverosia di beni caratterizzati da una oggettiva valenza estetico-culturale) e i “paesaggi degradati”204 (che possono identificarsi, ad esempio, con alcune aree industriali, magari dismesse, aree periurbane ovvero aree ove è alta la “dispersione urbana”, nota come “sprawl urbano”). Più specificamente, le disposizioni della Parte III del Codice Urbani contemplano un complesso di misure improntate rispettivamente alla “conservazione/salvaguardia”, “valorizzazione” e “riqualificazione” ovvero “rigenerazione”205, secondo una

graduazione dell’intervento pubblico tendenzialmente ossequiosa delle specificità e dei “valori” territoriali e paesaggistici presi a riferimento206. Così, in linea di massima, se in

relazione ai paesaggi straordinari è escluso qualsivoglia intervento atto a modificare lo “stato dei luoghi”, stante la necessità di preservare i territori/paesaggi e in essi l’“integrità” ovvero l’“equilibrio ecosistemico” dei beni paesaggistici (si pensi, concretamente, da un lato alle ville oppure ai centri e ai nuclei storici dall’altro ai giardini, ai parchi o, per quanto più di interesse in questa sede, ai “territori costieri”), con riferimento ai paesaggi della vita quotidiana e (soprattutto) ai paesaggi degradati,

204 Vale, comunque, la pena di rimarcare che questa tipizzazione la si deduce (solo) implicitamente da una lettura sistematica del Codice ed è invece palesata nell’art. 2 della Convenzione. Al riguardo, con riferimento a siffatta tipizzazione, E. Boscolo, Ibidem, parla, icasticamente, di “paesaggio a strati” o di “paesaggio stratificato”.

205 La “rigenerazione” o più precisamente la “rigenerazione urbana” costituisce, come noto, una nuova frontiera delle “politiche del territorio”. In questa prospettiva, si cfr., in particolare, la recente opera collettanea di F. Di Lascio e F. Giglioni (a cura di), La rigenerazione di beni e spazi urbani, cit.; si vd., anche, P. Urbani, La rigenerazione urbana: la posizione del giurista, cit. e R. Dipace, La rigenerazione urbana tra programmazione e pianificazione, in Rivista giuridica dell’edilizia, 5, 2014, p. 237 ss. Inoltre, per avere contezza di una tesi parzialmente differente, volta, in particolare, a concepire la rigenerazione urbana quale mera sintesi verbale, riconducibile ad una pluralità di programmi e progetti incidenti sul tessuto urbano e caratterizzati da finalità eterogenee, si vd. S. Amorosino, Il finanziamento e le dotazioni urbanizzative nei programmi di rinnovamento urbano, cit., p. 315 ss.

206 Ciò lo si deduce chiaramente da una lettura sistematica delle disposizioni della Parte Terza del Codice Urbani, significativamente dalla lettura dell’art. 131, co. 4, 5 e 6 del Codice Urbani, ma anche dell’art. 133, co. 1, 2. Al riguardo, inoltre, paiono d’interesse le osservazioni di G. Sciullo, Il Codice e la Convenzione europea del paesaggio, cit., secondo cui la definizione di paesaggio accolta dal legislatore implica che «paesaggio sono i valori del territorio che si esprimono come manifestazioni identitarie o, più in breve, i valori identitari del territorio costituiscono il paesaggio».

100 invece, interventi modificativi del territorio/paesaggio non soltanto risultano ammessi, ma addirittura favoriti207.

Il quadro delineato dal legislatore nazionale si pone, dunque, al contempo in linea di continuità e di rottura rispetto al passato, inverando due approcci di tutela al paesaggio (complessivamente inteso) profondamente differenti per oggetto e strumenti evocati. Per un verso, infatti, la disciplina (in linea di continuità con la tradizione) è volta a tutelare l’integrità, la conservazione e/o l’equilibrio di singoli e/o specifici beni (i beni paesaggistici, per l’appunto) specie mediante il ricorso ai classici strumenti vincolistici e autorizzatori, che assumono una caratteristica ed autonoma valenza sul piano giuridico, sebbene comunque configurati entro i “piani paesaggistici”, declinabili, a norma dell’articolo 143, in “piani paesaggistici” ovvero in “piani urbanistico- territoriali”. Per altro verso, invece, la disciplina è tesa ad incidere, più in generale e diversamente, sui territori (“espressivi di identità”), recependo, seppure in modo implicito e per via deduttiva, le pertinenti previsioni dettate dalla Convenzione europea; in tal senso, dunque, vengono meno le previsioni relative ai vincoli paesaggistici e alle connesse autorizzazioni, mentre riveste centralità il piano paesaggistico nella sua duplice accezione di piano paesaggistico “settoriale” ovvero di piano urbanistico- territoriale “generale”208.

207 A tal riguardo, si rivelano particolarmente eloquenti le parole di E. Boscolo, Le nozioni di paesaggio. La tutela giuridica di un bene comune (in appartenenza diffusa) tra valori culturali e identitari, cit., il quale sostiene che «nel primo ordine di ipotesi la qualificazione come paesaggio implica necessariamente l’accentuazione dei valori di esistenza e di lascito (con invitabile compressione della libera estrazione di valori d’uso derivanti da trasformazione del bene), mentre nel secondo ordine di ipotesi la funzione generatrice del valore d’uso non subisce limitazioni». Su questa dicotomia, risultano già chiare le parole di G. Sciullo, Il Codice e la Convenzione europea del paesaggio, cit.

208 Secondo P. Carpentieri, Semplificazione e tutela del paesaggio, in pausania.it, 2008, p. 5-7, questa dicotomica configurazione «esprim(e), andando ancora più a fondo, due diversi orientamenti generali circa il ruolo del diritto pubblico nelle tematiche lato sensu ambientali: una prima visione, fondata sul modello della tutela in senso proprio (modello dell’eccezione del patrimonio culturale); una seconda visione, fondata sul modello della gestione sostenibile dello sviluppo del territorio. La tensione dialettica tra queste due diverse visioni si deposita, divenendo più percepibile, nella definizione delle categorie giuridiche fondamentali della materia, ossia nella distinzione tra paesaggio e beni paesaggistici, nella dialettica tra piano e vincolo (tutela dinamica, tutela statica) e sullo sfondo della questione centrale di quale modello di diritto amministrativo sia da prediligere nella cura degli interessi pubblici ambientali e, in particolare, paesaggistici (proceduralismo, consensualismo, localismo, legittimazione politica delle scelte vs. sostanzialismo, autoritatività, centralismo, legittimazione tecnica delle scelte)».

101 In linea generale, questa (dicotomica) configurazione, atta ad approntare un doppio regime di protezione del paesaggio – incentrato, da un lato sulla (tradizionale) conservazione (dell’integrità) dei beni paesaggistici dall’altro sulla (innovativa) valorizzazione (ivi inclusa la rigenerazione e riqualificazione) dei territori – desta interesse, in quanto arricchisce le forme di tutela paesaggistiche e territoriali previste sul piano interno, anche se, al contempo, “complica”, inevitabilmente ed ulteriormente, il quadro giuridico di riferimento, inducendo a delle riflessioni ulteriori.

5.3. L’azione di tutela naturalistica approntata dall’Ue e la sua incidenza “indiretta”

Nel documento Il diritto delle coste (pagine 101-106)