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di Paolo Leonardi JOHN SEARLE,

Dell'intenziona-lità, Bompiani, Milano 1985, trad. dall'inglese di Daniele Bar-bieri, ed. orig. 1983, pp. 288, Lit. 28.000.

La difesa del senso comune di Moore è un paradigma filosofico: Moore si sbarazza in un colpo di an-tiche o solo vecchie tradizioni filoso-fiche, come lo scetticismo e l'ideali-smo, semplicemente affermando una serie di banalità. Come si prova, p. es., l'esistenza del mondo ester-no? In meno di un minuto lo può fare chiunque: si alzi la mano destra e si dica "Ecco qui una mano", poi si alzi la mano sinistra e si aggiunga "Ecco qui un'altra mano": ecco su-bito dimostrata l'esistenza di cose esterne. Moore mostra che cene cose che i filosofi hanno sempre creduto di dover spiegare sono invece dei punti di panenza. John Searle in

Della intenzionalità mi ricorda

Moo-re.

Searle si occupa di fenomeni men-tali: dolori, credenze, speranze, ti-mori, desideri, percezioni, pensieri, ecc. Searle sostiene che i fenomeni mentali sono elementi primitivi che non possono essere ridotti a qual-cos'altro, né eliminati con qualche ridefinizione, e che sono tanto reali quanto, p. es., ogni altro fenomeno biologico, quanto cioè fenomeni co-me l'allattaco-mento, la fotosintesi, la mitosi o la digestione. I fenomeni mentali, o come a questo punto più correttamente dice Searle, gli eventi e gli stati mentali, non sono dunque qualcosa che va spiegato o di cui bi-sogna capire come s'inserisce nel mondo della natura, perché sono un punto di partenza per la nostra inda-gine della natura. La combinazione di mentalismo e naturalismo è nuo-va, e come Moore si richiama al sen-so comune, così Searle potrebbe ri-collegarsi alla psicologia popolare. Siccome ogni teoria filosofica merita sempre un nome che la descriva, più o meno felicemente, questa la chia-merò "mentalismo naturale". (Sear-le usa un altro nome descrittivo, "biologismo naturale", che mi pare troppo infelice).

All'interno di questa tesi, Searle cerca di elucidare la logica degli stati e degli eventi mentali, stabilendo parallelismi, simmetrie e divergen-ze. Innanzitutto, solo alcuni eventi o stati mentali hanno intenzionalità, sono cioè diretti verso, o relativi a, oggetti e stati di cose del mondo. L'ansia e l'eccitazione, per esempio, pur essendo stati mentali, non sono intenzionali in questo senso tecnico. Ogni stato intenzionale consiste di un contenuto rappresentativo in un certo modo psicologico (la credenza, il timore, il desiderio ecc. sono modi psicologici, ciò che si crede, teme o desidera è un contenuto rappresen-tativo). Searle esamina soprattutto due stati mentali intenzionali, la percezione e l'intenzione. Nella per-cezione, si ha un'esperienza percet-tiva che ha intenzionalità, che cioè è diretta verso oggetti e stati di cose del mondo: non si può separare l'esperienza visiva di una giardinetta gialla dal fatto che è un'esperienza di una giardinetta gialla. Un'espe-rienza visiva può ingannare, ma si sa a che condizioni non lo fa. Si noti che gli oggetti dell'esperienza visiva, come tutti gli altri oggetti intenzio-nali, sono per Searle gli oggetti di sempre: l'esperienza visiva è solo lo "strumento" della percezione e non, come per i fenomenisti, l'oggetto di essa. L'esperienza visiva della giardi-netta gialla non è a sua volta gialla, quella della pioggia non è umida, ecc. L'esperienza visiva nella perce-zione però non rappresenta soltanto

l'oggetto ma dà diretto accesso ad esso, cosa che Searle esprime dicendo che il contenuto della percezione ri-chiede che l'esperienza visiva sia causata dall'oggetto della percezio-ne, che se si vede una giardinetta gialla, la si vede perché c'è una giar-dinetta gialla che causa quella perce-zione. C'è insomma, dice Searle, una forma di autoreferenzialità: la percezione ha una direzione di adat-tamento mente-mondo (una descri-zione ha una diredescri-zione di

adatta-mento linguaggio-mondo, mentre una richiesta ha una direzione d'adattamento mondo-linguaggio), e si adatta solo se è causata da ciò che appare percepito.

Un'intenzione è diretta invece verso la realizzazione di certi stati di cose nel mondo: l'azione intenzio-nale è il contenuto che soddisfa l'in-tenzione. Il contenuto dell'intenzio-ne richiede che questi stati di cose siano causati proprio dall'essere in-tenzionati. C'è anche qui una forma di auto-referenzialità: l'intenzione ha una direzione di adattamento mondo-mente. Come c'è un'espe-rienza visiva (o, più in generale, per-cettiva) così c'è un'esperienza dell'agire, e il contenuto dell'inten-zione richiede che lo stato di cose in-tenzionato sia causato dall'esperien-za dell'agire, sia cioè il prodotto di un'azione intenzionale. Searle di-stingue due tipi di intenzioni: le in-tenzioni precedenti e le inin-tenzioni nell'azione. Queste ultime sono causate dalle prime e sono le inten-zioni che causano l'azione o la serie

di azioni che s'intraprendono per realizzare le proprie intenzioni (pre-cedenti). Quando ho intenzione di rinfrescare la stanza, allora, sempre intenzionalmente, mi alzo, alzo il braccio, giro la maniglia, e apro la finestra.

La percezione e l'intenzione sono il nucleo centrale del libro, che tocca molti altri punti, e naturalmente tratta anche questi due con molta maggior ampiezza: da un iato Searle discute delle interconnessioni fra le percezioni e gli altri stati e eventi mentali del percipiente, della perce-zione di oggetti particolari, ecc., così come distingue, seppure imperfetta-mente, fra azioni intenzionali, azio-ni non intenzionali e cose che si

fan-no e che fan-non sofan-no azioni affatto. D'altro lato, discute altri argomenti come lo sfondo preintenzionale, cioè l'insieme di capacità preinten-zionali che l'intenpreinten-zionalità presup-pone; e distingue l'intenzionalità dall'intensionalità (quest'ultima considera una rappresentazione te-nendo conto dell'aspetto in cui rap-presenta, oltre che dell'oggetto che rappresenta: cosicché nei contesti in-tensionali per sostituire una rappre-sentazione con un'altra non basta che siano due rappresentazioni dello stesso oggetto, ma bisogna che lo rappresentino sotto lo stesso aspet-to). Searle, inoltre, in base a ciò cer-ca di chiarire la nozione di significer-ca- significa-to, e alcune questioni classiche di fi-losofia del linguaggio come la di-stinzione de dicto/de re (le credenze

de re sono relazioni fra chi crede e

certi oggetti del mondo, le credenze

de dicto sono individuate invece solo

attraverso contenuti mentali), gli in-dessicali (espressioni come "io", "tu", "qui", "ora", "questo", "quello", ecc.), i nomi propri, ecc.

Non sono d'accordo in generale con la posizione di Searle, e non perché io escluda che una teoria dei fenomeni mentali richieda di accet-tare come primitivo qualche concet-to mentale, oltre alla realtà di entità mentali. Sono un po' meno sicuro di Searle al riguardo. Sono però del tutto ostile alla quantità e all'alta complessità dei primitivi accettati da Searle: questi esclude che le rappre-sentazioni mentali abbiano struttura (hafino solo un contenuto e un mo-do psicologico), e quindi esclude la possibilità di combinare rappresen-tazioni mentali. Dunque, ogni rap-presentazione mentale dovrebbe es-sere indipendente dalle altre. Non mi pare del tutto chiaro' inoltre in

che cosa consista, per Searle, la realtà degli stati mentali, come cioè gli stati mentali sopravvengano alle strutture del cervello che li realizza-no. Non sono d'accordo, poi, su al-cuni particolari della sua ricostruzio-ne, e specificamente sul suo tratta-mento della causalità come esperien-za primitiva. La causalità — cui è dedicato un intero capitolo, il quar-to — gioca un molo fondamentale, come s'è visto, nel rendere conto della percezione e dell'intenzione, perché le condizioni di soddisfazio-ne di queste usano l'idea di causa-lità: ed è appunto nella percezione e nelle intenzioni in azione che si ha quest'esperienza primitiva della causalità. Che si possa avere un'esperienza primitiva del genere mi pare dubbio, dato che, p. es., nella ricostmzione che Searle fa del-la percezione il concetto di causalità serve per connettere l'oggetto della percezione e l'esperienza percettiva all'interno delle condizioni di soddi-sfazione della percezione, e ciò ga-rantisce che c'è una causa solo se la

percezione è corretta (se cioè è la percezione di un oggetto che effetti-vamente causa la percezione); ma nulla garantisce che la percezione sia corretta, e dunque nulla garantisce che si abbia effettivamente un'espe-rienza della causalità. Personalmen-te preferisco altri Personalmen-tentativi che si ac-contentano di affrontare aspetti li-mitati del problema dell'intenzio-nalità. Comunque, e non solo per l'incertezza complessiva in cui versa l'intera tematica, mi sembra molto interessante il tentativo di John Searle di difendere, a testa bassa, la primitività degli stati mentali e una posizione del tutto realistica al loro riguardo. Pur dissentendo sull'im-postazione generale, ci sono molti aspetti particolari su cui si può con-sentire: innanzitutto con l'idea di un'analisi intenzionale della perce-zione, poi, p. es., sull'idea che gli oggetti intenzionali non sono ogget-ti speciali, ma oggetogget-ti ordinari, perché certo se i fenomeni mentali sono interessanti è proprio per quan-to sono diretti o possono esserlo ver-so gli oggetti ordinari. Così come si può consentire sulla distinzione fra intenzionalità e intensionalità, e sul-la spiegazione che Searle offre dell'origine della loro confusione, che starebbe nella confusione fra sta-ti mentali e resoconsta-ti di stasta-ti mentali (questi sono anche per Searle inten-sionali). Infine, come lettore, non posso non riconoscere il pregio della chiarezza e la brillantezza di diversi punti (Searle scrive bene, e parla an-che meglio), con alcune prese in giro molto riuscite, come la critica alle teorie disposizionali dell'intenzio-nalità fatta elaborando una teoria disposizionale dell'avere una mano, ovvero un "comportamentismo ma-nuale". TRANCHIDA EDITORI 20154 M I L A N O - C O R S O C O M O , 5 Alfonso Sastre LA TAVERNA FANTASTICA Bernardin de Saint-Pierre LA CAPANNA INDIANA (studi della natura)

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