L'ipotesi «pedagogica» funziona però meno quando, anche
nell'Econo-mie mathématique, Pareto accetta l'ipotesi «décroissance du degré final
d'utilité ou décroissance du degré final de rareté» [Pareto (1911), p. 612]. Come conciliare l'ipotesi di utilità marginale decrescente con l'ordi-nalismo?
Nel Manuale, nel Manuel, nell'Economie mathématique, ci sono infatti dei chiari luoghi in cui Pareto attribuisce all'ofelimità la possibilità di
misu-razione cardinale.
Il caso più noto e più criticato è quello dell'analisi dei beni
complemen-tari, dove Pareto - come Edgeworth - considera l'ofelimità misurabile
in-L A TEORIA D E in-L in-L A S C E in-L T A DI P A R E T O
crociata dei beni (52U/ 5ql8q2) dipende dal segno della derivata seconda (l'analisi è basata sulla reazione della utilità-ofelimità marginale di un bene al cambiamento della quantità dell'altro), e pertanto «is completely depen-dent on the notion of utility as a determinate function» [Hicks e Alien (1934), pp. 59-60].8
In alcuni passaggi del Manuel troviamo poi che Pareto non solo richie-de al suo homo oeconomicus di saper riconoscere quali tra due piaceri è maggiore, ma anche «parmi le nombre infini de systèmes d'indeces qui l'ont peut avoir, il nous faut retenir seulement ceux qui jouissent de la pro-prieté suivante, à savoir que si en passant de I à II l'homme éprouve plus plaisir qu'en passant de I à III, la difference des indices de I et de II soit plus grande que la difference des indices de II et de III» [Pareto (1909), p. 265].
Nonostante il parere contrario di Amoroso [1921, pp. 91-2] e De Pie-tri-Tonelli [1927, pp. 62 , 69-71],9 si può facilmente dimostrare, come ha fatto per primo O. Lange su «Economica», che «[f]rom the assumption that the individuai is able to know whether one increase of utility is greater than another increase of utility the possibility of saying how many times this increase is greater than another one follows necessarily» [Lange (1934), p. 220],10
In questo modo Lange mostra che la misurazione cardinale dell'utilità (ofelimità) non è richiesta nel sistema paretiano soltanto quando i beni so-no indipendenti [Pareto (1909), pp. 545-6], ma la ritroviamo sottesa tutte le volte che Pareto (ed è la norma nel Manuel e nell'Economie
mathémati-que) considera l'ofelimità elementare come la derivata prima dell'ofelimità
totale [Lange (1934), p. 220],
8 Cfr. PARETO [(1909), pp. 574-547; (1911), pp. 612-613]. Nel 1934 Hicks e Alien diedero
una definizione di beni complementary e competitive utilizzando soltanto l'elasticità di comple-mentarità misurata in termini di saggio marginale di sostituzione, senza alcun riferimento né al-l'utilità né alla sua decrescenza. Per la discussione di questo punto, e di quanto effettivamente l'analisi di Hicks e Alien si differenzi sostanzialmente da quella di Edgeworth-Pareto, cfr.
SA-MUELSON (1974) e CHIPMAN (1976a).
9 Per Amoroso «nessuna contraddizione è col proposito dichiarato di costruire una teoria
indipendente dal postulato della misurabilità del piacere», poiché per l'economista italiano anche
il confronto tra differenze di piacere è un dato sperimentale [AMOROSO ( 1 9 2 1 ) , p. 9 2 , nota 1 ] ,
Barone nei suoi Principi di economia politica (la ed. 1908) poneva tra le ipotesi della sua versione dell'equilibrio economico - egli partiva dalle curve di domanda come dato primitivo, piuttosto
che dalle curve di indifferenza: un approccio vicino a quello sviluppato dal primo SAMUELSON
( 1 9 3 8 ) - l'utilità marginale decrescente [BARONE ( 1 9 2 9 ) , pp. 4 - 5 ] . Anche SENSINI ( 1 9 5 5 ) basa tutta la sua economia pura presupponendo la legge dell'utilità marginale decrescente.
10 Sul tema è poi ritornato CHIPMAN (1976a) arrivando, sostanzialmente, alle stesse
conclu-sioni di Lange.
L U I G I N O BRUNI
Le «prove» della Pareto's inconsistency mostrate da Hicks, Alien, Lan-ge e molti altri suscitarono un vivace dibattito in Inghilterra, e il «Quarterly journal of economics» ospitò diversi interventi sul tema della «misurazione dell'utilità» con speciale riferimento al «puzzle» o «paradosso» paretiano. E possibile spiegare, e magari risolvere, il «Pareto's puzzle»? E «peda-gogica» la spiegazione della presenza dell'edonismo e della misurazione cardinale? O hanno ragione Papi (1958) e Drakoupolos (1991) per i quali dietro l'approccio paretiano ritroviamo le stesse ipotesi edoniste presenti nella prima generazione di marginalisti? Oppure è più corretta l'interpre-tazione di Hicks (1946) e Hicks e Alien (1934) e molti altri che individuano in Pareto un «ritorno» su posizioni pre-1900 dopo aver fatto la sua «rivo-luzione»?
O invece la spiegazione va cercata altrove? 3 . SULLA «MANCATA» RIVOLUZIONE DI PARETO 3.1. Le letture degli anni trenta
Nell'ultima edizione dei suoi Principles of economics (1920), Marshall cita Pareto una sola volta, in nota, come uno dei migliori economisti-mate-matici [Marshall (1946), p. 787].
In Inghilterra, se ci eccettuano Edgeworth e Wicksteed (e lo stesso Marshall), fino agli anni trenta le opere di Pareto erano praticamente sco-nosciute, e nessuno dei suoi lavori era stato tradotto in inglese.
W. E. Johnson nel 1913 scrive il suo importante articolo sulla teoria dell'utilità (dove arriva a soluzioni riguardo la misurabilità dell'utilità che concordano con quelle di Pareto), e non cita Pareto semplicemente per il fatto che ignorava i suoi lavori (come gli stessi paretiani riconoscono, e per questo non lo accusano di plagio).11
Fu in seguito alla riscoperta di Hicks, avvenuta attraverso Dalton nel suo periodo alla London School of Economics alla fine degli anni venti, e quella parallela e coeva di Alien che ci fu in Inghilterra una vera e propria
Pareto vague.
«Econometrica» e la «Review of economie studies» iniziarono le loro pubblicazioni inserendo come primi articoli rispettivamente Vilfredo
Pare-11 Cfr. Amoroso (1916). In quest'intervento Amoroso attribuisce l'ignoranza della teoria
paretiana da parte di Johnson ad una più generale «lacuna dell'ambiente in cui vivelva]»
LA TEORIA D E L L A SCELTA DI P A R E T O
to, scritto da Amoroso, e Pareto's pure economics di Ricci;12 e nel primo numero della nuova serie di «Economica» c'era il famoso A reconsideration
of the theory of value di Hicks e Alien (1934).
Nel clima di behaviorismo e neopositivismo, Pareto-economista veniva presentato come il fondatore di una nuova scienza economica, basata sui fatti, libera da categorie metafisiche non osservabili come piacere ed utilità.13
Andando a fondo però sulla lettura inglese di Pareto si nota come l'im-magine che entra è quello di un Pareto incerto, confuso, quasi schizofrenico.
Pareto viene visto come un geniale precursore, ma che produsse un ibrido, nel guado tra il vecchio e il nuovo.
Dopo l'articolo di Hicks e Alien (1934), economisti come Lange (1934), Bernardelli (1934, 1938), Schumpeter (1949), Stigler (1950), Tara-selo (1968), Samuelson (1938, 1974), Georgescu-Roegen (1987) e altri si accorsero e mostrarono che Pareto fino agli ultimi lavori restò legato ad una concezione cardinale dell'utilità.
La tesi che qui presento è che la grande maggioranza degli interpreti di Pareto ha, più o meno esplicitamente, assunto che Pareto nella sua opera avesse già in mente il programma ordinalista di Hicks e/o quello operazio-nalista di Samuelson: da cui la facile dimostrazione, testi alla mano, che Pa-reto fu inconsistente e che fallì la sua annunziata rivoluzione.
Con tale riserva mentale dagli anni trenta in poi sono state accusate di «incoerenza» le due principali conquiste attribuite a Pareto:
a) ordinalismo: nonostante Pareto abbia introdotto l'ordinalismo, nella sua opera troviamo spesso un uso cardinale dell'ofelimità, fino alle ultime opere (Economie mathématique)-,
b) ofelimità come indice di preferenze: nonostante Pareto avesse decre-tato nel 1900 la fine della stagione «edonista» e «psicologica» in economia, e la nascita di un'economia basata sui nudi fatti dove l'ofelimità esprime sono un indice delle preferenze o delle scelte, anche negli ultimi suoi lavori egli continuò ad usare linguaggio e categorie edonistiche e a ricorrere quin-di alla psicologia dei soggetti.
Anche se i due aspetti sono strettamente connessi tra di loro,14 nei cri-tici essi vengono spesso mescolati.
12 . Cfr. AMOROSO (1934); RICCI (1933). L'articolo di Ricci è sostanzialmente il suo
articolo-necrologio scritto per il numero speciale del «Giornale degli economisti» del 1924, e quello di Amoroso è la voce Pareto deW'Enciclopedia italiana Treccani.
13 La riscoperta del «Pareto sociologo», avvenuta principalmente attraverso l'americano
Henderson nei primi anni degli anni trenta, è una storia diversa: cfr. CHAZEL (1997).
14 E stato dimostrato che da un punto di vista logico «it is perfeedy possible to adhere to
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L U I G I N O BRUNI
Oscar Lange, dopo aver mostrato che Pareto ricorse sistematicamente ad un'idea cardinale di ofelimità, si domanda: «Was it inconsistent of Pa-reto to keep these definition in spite of regarding utility as immeasura-ble?» [Lange (1934), p. 218], e dopo una lunga e dettagliata analisi, ri-sponde di sì.
La stessa valutazione la ritroviamo in Stigler, per il quale «Pareto was inconsistent» [Stigler (1950), p. 389]; e ancora più chiaramente in Sa-muelson:
as it is well known, Pareto was inconsistent in espousing it [52U/ 8ql8q2] after he had given up cardinal utility in favour of better-or-worse, ordinai utility [Samuel-son (1974), p. 12561.
Per Georgescu-Roegen «[i]n ali his later theoretical contributions Pa-reto continued to treat ophelimity as a cardinal entity, just as utility was by his predecessors» [Georgescu-Roegen (1987), p. 717].
Un segno che tale immagine è diventata quella con cui viene ordinaria-mente rappresentato Pareto, è un recente articolo apparso sul «Journal of economie literature» dedicato alla storia del rapporto tra psicologia ed eco-nomia, dove troviamo: «Although he believed strongly in ordinalism, Pare-to unwittingly allowed cardinalism Pare-to sneak its way back inPare-to his analysis»
[Lewin (1996), p. 1309],
In molti interpreti la dimostrazione che in Pareto esiste ancora un uso cardinale dell'ofelimità porta con sé anche la tesi della presenza in Pareto di una filosofia edonista anche dopo la svolta del 1900.15 In una ricerca de-dicata alle tracce dell'edonismo nella moderna teoria economica, Drako-poulos scrive: «although Pareto attempts to construct a more objective, po-sitive economie science, his orientation is stili influenced by hedonism» [1991, p. 110], ribadendo, ottanta anni dopo, la tesi di Gide.16
Nei prossimi paragrafi cercherò invece di mostrare che il progetto di Pareto era qualcosa di diverso sia da quello di Hicks che da quello di Sa-muelson.
the latter view [l'utilità come un indice delle preferenze] while claiming a cardinal interpretation
for the utility function» [D'ASPREMONT e MONGIN ( 1 9 9 7 ) , p. 1 5 ] . In autori come Allais o Harsanyi
sembrano coesistere sia l'utilità vista come rappresentazione di preferenze, sia il cardinalismo.
15 L'assimilazione edonismo-cardinalismo è esplicita in HICKS ( 1 9 4 6 ) , BERNARDELLI ( 1 9 3 4 ) ,
STIGLER ( 1 9 5 0 ) , SCHUMPETER ( 1 9 4 9 ) .
LA TEORIA DELLA SCELTA DI PARETO
3.2. Le spiegazioni dell'inconsistenza date dagli interpreti
I critici non si sono limitati soltanto a rilevare l'inconsistenza, ma hanno anche cercato di risolvere il «Pareto's puzzle».
La principale spiegazione, quella che è diventata più famosa, è indivi-duata da Schumpeter nella «difficulty he experienced in disentangling him-self entirely from the old utility» [Schumpeter (1949), pp. 162-163].
Ciò fu espresso per la prima volta in modo esplicito da Hicks e Alien:
As it happens, this task [la rifondazione della teoria della scelta] was not by any means completely carried through by Pareto himself. Much of his theory had already been constructed before he realised the immensurability of utility, and he never really undertook the labour of reconstruction which his discovery had made necessary [Hicks e Alien (1934), p. 54],
La stessa affermazione la ritroviamo pochi anni dopo in Capital and
va-lue di Hicks:
even after Pareto had established his great proposition, he continued to use con-cepts derived from the earlier set of ideas. The reason was, perhaps, that he did not take the trouble to rework his earlier conclusions in the light of a proposition which he only reached at a rather late stage of his work in economics. However that may be, he missed an opportunity [Hicks (1946), p. 19].
Questa è comunque l'interpretazione di molti dei maggiori interpreti di Pareto di ieri e di oggi, che spesso riverberano semplicemente l'autorevole interpretazione di Hicks, senza curarsi (anche a causa di difficoltà linguisti-che) di tornare ai testi paretiani.
L'opinione di Hicks è quindi diventata mainstream.
La spiegazione dell'inconsistenza paretiana data da Schumpeter, Hicks e Alien (radicamento in Pareto della vecchia impostazione) non è però l'u-nica tentata dagli interpreti.
Abbiamo già accennato che Stigler (1950), oltre a riconoscere che l'in-coerenza di Pareto era dovuta all'«heavy hand of the past», ha anche rico-nosciuto esigenze pedagogiche nell'analisi paretiana dell'utilità: «it is justi-fied (rather weakly) chiefly on expository ground» (p. 381).
E questa la stessa tesi sostenuta anche dal paretiano Sensini, il quale dopo aver riportato il brano del Sunto dove Pareto afferma che le equazioni dell'economia pura «possono essere ricavate indipendentemente dalle no-zioni di piacere e di dolore», aggiunge:
Su ciò non vi ha dubbio, ma questo punto di vista non è anche il più facile e il
LUIGINO BRUNI
più breve; quindi, dopo essersi serviti di esso per mostrare come la Economia pura può far benissimo a meno della idea di ofelimità esattamente misurabile, conviene tornare a tale ipotesi onde facilitare le indagini e onde rendere più rapida l'espo-sizione dei risultati [Sensini (1955), p. 234, nota 72],
Per Bernardelli invece le ragioni sono diverse. Nella sua interpreta-zione, Pareto non trattò il problema della misurabilità dell'utilità «as lu-cidity as one could wish», non perché Pareto (e Edgeworth) «have over-looked the inference of psychological measurement [...], but they have avoided its discussion because of the thorn hedge of philosophical doubts and difficulties, which beset the whole problem» [Bernardelli (1934), p. 70],
È questo il motivo - continua Bernardelli - per il quale Pareto relegò nelle note, quasi per nasconderle, le considerazioni sull'esistenza dell'ofeli-mità e le sue conseguenze, per un «act of self defence against the literary economists, who, heavily armed with ali kinds of philosophical arguments, have maintained a campaign against the na'ive assumption of measurability of utility, and thereby challenged the whole of his artificially constructed system» {ivi, p. 71).
Quindi nella lettura di Bernardelli Pareto continuò a pensare che il ri-corso alla psicologia dei soggetti, e la cardinalità dell'utilità fossero ammis-sibili, ma cercò di ricorrervi il meno possibile per ragioni «politiche», ed enfatizzò invece la novità della sua teoria e la rottura col passato.
Una interpretazione simile, anche se molto più argomentata e sviluppa-ta, la ritroviamo in John Chipman, un economista che negli anni settanta ha lavorato molto sul «Pareto's heritage».
Chipman riconosce che l'esegesi mainstream di Pareto deriva «from reading Pareto through Hicksian glasses», mentre
Pareto's position was quite different from that of Hicks. In the first place, he continued to believe that pleasure was in principle capable of measurement, even if such measurement was inessential to the explanation of economie equilibrium [Chipman (1976a), p. 76],
Né Bernardelli, né Chipman né altri, però, spiegano come e perché la posizione di Pareto fosse diversa da quella attribuitagli dai suoi interpreti. Il motivo di questa mancata spiegazione è che il come e perché vanno cer-cati e trovati nella filosofia della scienza di Pareto, alla quale coloro che si sono occupati del «Pareto's puzzle» non hanno finora guardato.
LA TEORIA DELLA SCELTA DI P A R E T O
4 . ELEMENTI DELLA METODOLOGIA PARETIANA 4.1. Il metodo deduttivo-induttivo: tra Vailati e Mill
Il biennio 1897-99 si caratterizza anche per il ruolo che assumono i fi-losofi con i quali Pareto si confronta nel tentativo di definire il proprio ap-proccio allo studio della società. Sono infatti di questo periodo i primi rap-porti con Giovanni Vailati e Benedetto Croce. Attraverso questi dialoghi possiamo seguire l'evoluzione della «crisi» che porterà alla nascita della teoria dell'azione e della scelta.
In questo momento di passaggio l'incontro con Vailati e Croce ebbe la sua importanza.
Pareto e il pragmatista logico Giovanni Vailati (1863-1909) si conobbe-ro epistolarmente nell'autunno del 1896.17
Vailati, ricordato soprattutto per essere stato il principale rappresen-tante del pragmatismo italiano, è un pensatore di grande interesse e origi-nalità. Fu logico matematico; epistemologo, storico della scienza, con inte-ressi e competenze che abbracciavano diverse discipline delle scienze natu-rali e sociali.
Dal 1896 al 1899 fu assistente onorario del matematico Vito Volterra a Torino, dove tenne dei corsi di storia della meccanica. Di quei corsi riman-gono i programmi, alcuni saggi storici, e soprattutto le Prolusioni che sono forse i suoi scritti più importanti.
Negli anni delle Prolusioni torinesi Vailati ebbe un vivace e interessante dibattito epistolare con Pareto:
Le sue lucide ed originali osservazioni sulle questioni di metodo e su ciò che si può chiamare «la logica dell'economia politica» sono quanto di meglio ricordi di aver letto su tale argomento in libri italiani o francesi.18 Essi contrastano assai no-tevolmente con le solite pedantesche platitudes e interminabile logomachie sul pre-teso contrasto e la pretesa incompatibilità tra una trattazione induttiva, storica, comparativa e una trattazione, astratta, matematica dell'economia politica: come se l'una dovesse escludere l'altra. È pressappoco come se, volendo appendere un oggetto pesante a un muro, due contendessero sulla questione se è meglio fis-sare bene il chiodo in modo che non si muova, oppure prendere un filo che non si spezzi sotto il peso. L'abilità a garantire la solidità delle premesse è tanto
impor-17 Sul rapporto tra Pareto e Vailati cfr. BOBBIO (1963) e BRUNI (1997b).
18 La specificazione dei «libri italiani e francesi» forse allude al fatto che nella Logica di Mill
(che Vailati conosceva molto bene) c'era già racchiusa buona parte della «logica» di Pareto -come vedremo.
LUIGINO BRUNI
tante ed essenziale come quella di trarre poi da quelle delle conclusioni [Vailati (1971), p. 91].
Con questa bellissima lezione di metodo Vailati commentava, nella sua seconda lettera a Pareto nell'ottobre del 1896, la «logica dell'economia po-litica» racchiusa nel Cours. Nel dicembre del 1897 Vailati disse la sua se-conda prolusione al Corso di storia della meccanica, Il metodo deduttivo
come strumento di ricerca. In quella prolusione il filosofo cremasco, in
pie-no periodo positivista (anche se affioravapie-no già i primi segni di crisi), ricol-legandosi a Mill e a Mach, e contro «la maggior parte dei filosofi contem-poranei» [Vailati (1971), p. 278], lodava l'importanza dell'uso del metodo deduttivo nella scienza. In particolare sosteneva che l'arrivare ad essere cer-ti delle verità non evidencer-ti, derivandole da proposizioni evidencer-ti per se stes-se o almeno più evidenti di quelle dedotte, non è né il solo né il principale vantaggio dell'uso appropriato della deduzione.19
Per Vailati, invece, un vantaggio ben più grande si ottiene dal metodo deduttivo per il fatto che molto spesso si è verificato il caso opposto a quel-lo accennato, e cioè che la certezza delle conclusioni, deducibili dalle pre-messe, è servita ad accrescere e a consolidare la certezza delle premesse me-desime [Vailati (1987), III, pp. 24-5]. La storia della scienza, la meccanica in particolare, mostra
che le prime e più decisive esperienze che determinarono l'avanzamento di questa scienza al di là del punto in cui essa era stata portata dai Greci furono considerate, da quelli che prima le intrapresero, non tanto come delle interrogazioni rivolte alla natura quanto piuttosto delle provocazioni, dei cimenti [ ...] a cui essi l'assogget-tavano per sfidarla a rispondere diversamente da quella che essa avrebbe dovuto {ivi, p. 26).
Per questo gli esperimenti erano visti dai fisici moderni come delle semplici verifiche delle conclusioni alle quali gli sperimentatori erano giunti tramite ragionamento deduttivo: «Grande sarebbe stato il loro stupore se le risposte della natura non fossero state conformi alle loro anticipazioni [...]. Essi sembrano perfino talvolta essersi indotti all'esperimento più per convincere gli altri che non per convincere se stessi» {ibid.).
Infine la potenza della deduzione consiste anche nella sua capacità di costringere i fenomeni a «presentarsi e riprodursi nella nostra mente come
19 Era infatti questa la concezione che ritroviamo in Aristotele e nei filosofi prima della
L A T E O R I A D E L L A S C E L T A DI P A R E T O
se le leggi che li regolano e le proprietà di cui godono fossero assai più sem-plici e generali di quanto esse non siano in realtà» (ivi, p. 45). Per questo il fisico può analizzare corpi perfettamente rigidi, il chimico i corpi puri, per «determinare quali siano le proprietà che essi dovrebbero avere se esistesse-ro» (ibid.).20
Per Vailati dunque «l'idealizzazione semplificatrice» costituisce «un preliminare indispensabile di qualunque applicazione della deduzione allo studio dei fenomeni naturali» (ibid.).
Non possiamo dar conto del fascino e della complessità (e attualità) di quella prolusione: qui basta notare che per il filosofo cremasco la deduzio-ne, oltre a non opporsi all'induziodeduzio-ne, permette di scoprire nuove verità, è uno strumento dinamico di conoscenza, è un «mezzo di invenzione» (ivi, p. 44, nota).
Pareto recensì la prolusione sul «Zeitschrift fur Sozialwissenschaft» [Pareto (1899)] e il punto appena evidenziato fu proprio quello che più lo colpì: «Mr. Vailati est de l'avis que la déduction peut nous conduire à