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3.1 Il parlamento del 1443: la tessera di un dispositivo cerimoniale complesso

Alfonso indisse il parlamento generale del regno di Napoli, dove si trovava da 8 anni, il 20 gennaio 1443, quando ne ebbe completato la conquista, pochi mesi dopo la presa della capitale (2 giugno 1442) e la sconfitta del principale barone a lui osti- le, Antonio Caldora (22 giugno)1. In Corsica (1420) e in Sardegna (1421), entrambe oggetto delle spedizioni militari del Magnanimo, la convocazione del parlamento fu ritenuta necessaria prima della vittoria, come un evento politico e simbolico fondamentale per la legittimità del dominio2. A Napoli, come vedremo, segnò una svolta importante, sia sotto il profilo politico sia sotto quello istituzionale.

Il parlamento era certamente presente nella cultura politica dei baroni e degli ufficiali regnicoli, perché lo era in quella delle élites di tutt’Europa, come ha dimo- strato Michel Hébert, che ha parlato di una diffusa “cultura parlamentare” nell’Oc- cidente europeo dei secoli XIII-XV3. E tuttavia, l’iniziativa del Magnanimo dovette

1 Caldora fu sconfitto e ucciso nella battaglia di Sessano. I due eventi del giugno 1442 entra-

rono subito nella mitologia del Magnanimo e del suo entourage: cfr. Senatore, La processione. Non casualmente la colletta straordinaria per la vittoria era anche definita come colletta di Caldora (infra, Tabella 11). Per i parlamenti napoletani di età alfonsina: D’Agostino, Parlamento e società, pp. 164-169, Gentile, La politica, pp. 1-8, Id., Finanze, Id., Lo stato, pp. 5-10, Marongiu, Il parlamento baronale, Id., Il parlamento in Italia, pp. 232-239, 332-338, Ryder, The Kingdom, pp. 124-135, Sakel- lariou, Southern Italy, pp. 97, 101, 170, 216, 224, 276, 433, Scarton, Il parlamento napoletano, Ead., El parlamento è finito; Senatore, Parlamenti e luogotenenza.

2 Boscolo, I parlamenti; Marongiu, Saggi di storia giuridica, pp. 115-130, Lalinde Abadía, Los

parlamentos, p. 141, Hébert, Parlementer, pp. 92, 589.

3 Più precisamente, esisteva «une pratique commune de la représentation politique, fondée sur

une procédure ou une séquence cérémonielle commune», Hébert, Parlementer, p. 73. Cfr. anche pp. 588-589.

sorprendere qualcuno: lo rivela un passo del De dictis et factis del Panormita, le cui opere riecheggiano i discorsi che si facevano nella corte alfonsina. Ci fu – scrive l’u- manista – chi temeva che il sovrano avrebbe potuto approfittare dell’occasione per imprigionare e uccidere i baroni4. È un richiamo agli assassini politici di Ladislao5. In effetti, erano oltre quarant’anni che – a quanto ne sappiamo – non si riuniva un parlamento nel Mezzogiorno. Gli ultimi, convocati al principio del dominio o in situazioni di incertezza militare, erano stati quelli di Carlo III d’Angiò Durazzo nel 1381-826, Luigi II d’Angiò nel 1390 e 13947, Ladislao nel 14018.

È significativo che la lettera di convocazione non si dilungasse sulle motivazioni del parlamento, giustificato da argomenti essenziali, tipici della tradizione e evi- dentemente ben comprensibili da parte dei destinatari9. Il re ordinò ai baroni di

4 «Non defuerunt qui crederent evocatos a rege contrucidandos esse, siquidem id aliquando

eis a superioribus regibus accersitis accederat», 2.10. Richiama il passo Ryder, The Kingdom, p. 128.

5 Nel 1404 Ladislao d’Angiò-Durazzo attirò alcuni esponenti della famiglia Marzano a Capua

per festeggiare il matrimonio di un suo figlio naturale con la figlia di Goffredo di Marzano. Arrestò tutti e si impadronì dei loro beni. L’anno successivo riuscì a catturare alcuni esponenti della fami- glia Sanseverino e li fece assassinare in Castelnuovo, Cutolo, Re Ladislao, p. 297, 302.

6 Il parlamento fu convocato il 15 settembre 1381 secondo Giuseppe Galasso, che lo data al

periodo febbraio-aprile 1382 e ne riassume le conclusioni (gabella straordinaria di durata quin- quennale e sussidio di 300.000 fiorini), Galasso, Il Mezzogiorno angioino e aragonese, pp. 230-231, 240. Peyronnet, I Durazzo, p. 246 data al periodo 1° novembre-metà febbraio 1382, senza fornire fonti e chiama parlamento generale una riunione con i baroni in Castelnuovo, il 3 novembre (p. 344). Non cita le fonti neppure Galasso, che indica genericamente «gli spogli dei registri angioini» (p. 231 nota). Consultando i repertori della ricostruzione angiona, troviamo che de Alicto, Vetusta regni Neapolis monumenta, ms BSNSP XXV B 5, f. 286 cita un documento con la convocazione al 12 settembre e Sicola registra l’assemblea con la notizia delle gabelle quinquennali sotto l’anno 1381 (ASNa, Ricostruzione angioina, 7, f. 45). La convocazione risale al 4 dicembre secondo Camera, Elucubrazioni, pp. 297-299, che situa il parlamento in Santa Chiara. Di Costanzo, Historia, che parla di un parlamento dei soli baroni nell’aprile 1382, dichiara di aver visto la ricevuta in favore di Marino, barone di Ripacandida, che si tassò per 3.000 ducati. Risalgono a fine gennaio e metà febbraio i provvedimenti per rendere esecutiva la tassazione, secondo le repertoriazioni dai registri cancellereschi di Barone, Notizie, pp. 9-10, che parla della partecipazione di prelati e sindaci delle città demaniali, e secondo Peyronnet, I Durazzo, p. 246. Cfr. Hébert, Les assemblées, p. 487.

7 In Santa Chiara, il 28 agosto 1390, per Peyronnet, I Durazzo, pp. 376, il 28 ottobre per Cuto-

lo, Re Ladislao, pp. 114-115. Il parlamento del 18 luglio 1394 è ricordato da Peyronnet, I Durazzo, p. 378. Probabilmente non è un parlamento quello convocato dal vicario di Luigi d’Angiò Tommaso di Sanseverino nel 1386, Di Costanzo, Historia, p. 191.

8 In aprile, in Santa Chiara, secondo Di Costanzo, Historia, pp. 217-218, ripreso da Galasso, Il

Mezzogiorno angioino e aragonese, pp. 260-261. A fine marzo, tuttavia, Ladislao era partito da Napoli per l’Abruzzo, Cutolo, Re Ladislao, p. 255.

riunirsi a Benevento per il «bono rei puplice huius regni sui Sicilie citra Farum ac conservatione et exaltatione sui regalis status» (2.5). La lettera non conteneva alcun riferimento esplicito alla richiesta di aiuto finanziario, ma questo, come sappiamo, era l’argomento principe in tutte le assemblee di stato del Tre e Quattrocento.

La reintroduzione del parlamento nel regno fu senz’altro un’innovazione consa- pevole da parte del Magnanimo, che lo avrebbe convocato quasi ogni due anni10. Il parlamento, conformemente alla tradizione, era la sede istituzionale deputata per parlare alla feudalità, in rappresentanza di tutto il regno. Non si trattò né di una «mossa obbligata»11, come se il sovrano fosse stato costretto a mercanteggiare la riforma fiscale e il riconoscimento del figlio con concessioni rilevanti, né di una mera formalità, bensì di una precisa scelta del sovrano, un’occasione di negoziazione politica offerta ai baroni, il cui esito non era scontato per nessuna delle parti. Va aggiunto che il parlamento non era affatto necessario per il riconoscimento del so- vrano, come avveniva altrove. Dal punto di vista di Alfonso, la sua legittimità era fuori discussione, anche se non era stata ancora corroborata dall’investitura papale. In primo luogo, era l’adozione di Giovanna II ad aver legittimato la successione. In secondo luogo, Alfonso si era guadagnato sul campo la sua eredità, conquistando il regno a prezzo di immani sacrifici umani e finanziari. È possibile che per questo motivo non ritenesse necessaria, dopo l’accordo con papa Eugenio IV, la prevista in- coronazione. Come è noto, fu celebrata soltanto l’investitura, conferitagli dal legato pontificio poco prima del 18 maggio 144512.

Sul piano politico, poi, il Magnanimo aveva stretto solidi legami clientelari e feu- dali con i più diversi poteri politici e sociali del regno, rappresentati o meno nel parlamento. Baroni e comunità, infatti, avevano da tempo e singolarmente prestato omaggio feudale al conquistatore, e tanto bastava13. Nel discorso di apertura, Alfonso fece solo un accenno al contributo baronale alla conquista (la liberazione dai ribelli e dai tiranni era avvenuta «ipsis illustribus et magnificis coadiuvantibus», 2.5.2).

Il parlamento fu programmato con il necessario anticipo: il 9 gennaio il re ne scrisse alla moglie (2.4), il 20 lo convocò durante un’udienza del suo Consiglio, a Barletta; il 31 accolse regolarmente i baroni, pur pochi di numero (appena 35), nella

10 Il capoverso che segue è ripreso da Senatore, Parlamento e luogotenenza, p. 441. 11 D’Agostino, Parlamento e società, p. 165.

12 Alfonso non risparmiò al regno la colletta straordinaria per l’incoronazione mai effettuata,

Ryder, The Kingdom, pp. 37-38. Sulla mancata incoronazione Delle Donne, Alfonso il Magnanimo, pp. 105-117.

città di Benevento (2.5.2), nel cui palazzo arcivescovile erano stati allestiti tavoli e banchi per la cerimonia (2.3).

Come sappiamo, si trattò di una “falsa partenza”: a Benevento l’assemblea, for- malmente, non fu neppure aperta perché i baroni e i rappresentanti di Napoli chiesero il trasferimento nella capitale, dove le sessioni parlamentari si tennero il 28 febbraio, il 2 e 9 marzo. Sono i giorni successivi al celebre trionfo di Alfonso (26 febbraio), la sontuosa cerimonia di accoglienza14 che trovò una sua rappresen- tazione monumentale nell’arco di Castelnuovo e in altre opere d’arte15. Conviene elencare, in ordine cronologico, le differenti sessioni del parlamento (2.5.3-6) nel quadro degli altri eventi pubblici di quei giorni. Nella tabella abbiamo numerato le sessioni del parlamento e, al loro interno, le suppliche presentate dai baroni, nella forma, come sappiamo, di testi scritti o cedole (supra, cap. 2). Ciascuna supplica era articolata in uno o più articoli (capitoli), che abbiamo numerato fino a 15 (cfr. infra, Tab. 10), anche se negli atti sono numerati soltanto i primi 12.

TABELLA 8: Eventi pubblici a Napoli, 23 febbraio-1° aprile 1443.

23 febbraio, sabato Arrivo di Alfonso alle porte di Napoli. Pernottamento nel convento di Sant’Antonio Abate, al di fuori di Porta Capuana.

24 febbraio, domenica Festeggiamenti nei seggi e in città («grans dances e alegria»)16.

25 febbraio, lunedì Idem.

26 febbraio, martedì Entrata in città e trionfo di Alfonso, nel pomeriggio. Investitura di baroni. Il re alloggia in Castel Capuano, dove si tengono «dances e alegries». Lu- minarie notturne a Castel Sant’Elmo, Castelnuovo e Castel dell’Ovo17.

In serata i baroni supplicano il re di assegnare il regno al figlio Ferrante e si offrono di giurargli omaggio. Alfonso accetta la proposta. Con un’altra supplica, i baroni ottengono licenza di poter scrivere al pontefice per cal- deggiare l’accordo con il sovrano (2.6).

28 febbraio, giovedì Prima sessione del parlamento (San Lorenzo). Discorso del re e risposta di Onora- to Caetani. Riunione separata dei baroni. Presentazione della prima supplica dei baroni al sovrano: 13 capitoli, in volgare, preceduti da un preambolo. 2 marzo, sabato Seconda sessione del parlamento (San Lorenzo). Pubblicazione della riforma

della giustizia, in latino (3 capitoli). Accoglimento, mediante la decretatio

14 Delle Donne, Alfonso il Magnanimo, pp. 103-144.

15 Pinelli, Fatti, parole, immagini. Cfr. anche Delle Donne, Alfonso il Magnanimo, pp. 103-144 e

Barreto, La majesté, pp. 65-88.

16 Madurell Marimón, Mensajeros, p. 218. 17 Ibidem.

in pede (secondo la formulazione «Placet regie maiestati») di 11 dei 13 capitoli presentati dai baroni, in latino. I capitoli sono pubblicati alla presenza del Consiglio regio. Seconda supplica di baroni (offerta di rico- noscere la successione di Ferrante [14] e reiterazione del capitolo 12, non accolto), in volgare. Accoglimento della seconda supplica.

Giuramento di fedeltà alla presenza del Consiglio regio e dell’ambasciato- re di Giovanni d’Aragona, re di Navarra.

3 marzo, domenica Cerimonia di investitura di Ferrante a duca di Calabria (chiesa del mona- stero femminile di San Gregorio Armeno).

5 marzo, martedì Cavalcata per la città di Raimondo Orsini, principe di Salerno18

9 marzo, lunedì Terza sessione del parlamento (San Lorenzo). Accoglimento della richiesta di modifica dei capitoli 2 e 9 (terza supplica), in latino. Quarta supplica dei baroni: richiesta di modifica del capitolo [13], in volgare. Accoglimento della richiesta con decretatio in pede, in latino. Abolizione immediata del capitolo approvato, su richiesta dei baroni (quinta supplica) e approvazio- ne di un nuovo capitolo da parte del sovrano. Sesta supplica dei baroni: richiesta di inviare una ambasceria al pontefice, in volgare [15]. Accogli- mento della richiesta. Chiusura del parlamento.

data sconosciuta Convito in onore dei baroni, in San Lorenzo (2.8). data sconosciuta Investitura di alcuni baroni (2.17).

ante 15 marzo Giostra fuori del borgo di Sant’Antonio, indetta dal re, con intervento di Francí dez Valls e Joan Llull19.

25 marzo, lunedì Inaugurazione all’arsenale dei lavori per la costruzione di 26 galere. Prima Alfonso, poi Ferrante, infine i «princeps, duchs, comtes e barons» fissano con le loro mani le basi, dipinte con 5 insegne del re e 26 santi, su cui saranno fabbricate le imbarcazioni20.

1° aprile, lunedì Giostra organizzata dal conte di Montoro, dal conte di Fondi, dal duca di Melfi, con 90 partecipanti, dal mattino al vespro. Durante l’evento Alfon- so nomina Joan Llull governatore di Sorrento, Massa, Vico e Capri21.

In serata colazione per festeggiare la stipula dei patti matrimoniali tra Maria, figlia naturale del re, e Lionello d’Este, marchese di Ferrara, in Castel Capuano22.

18 Ryder, The Kingdom, p. 147 nota (da BSNSP, ms X B 2, f. 15v). 19 Madurell Marimón, Mensajeros, p. 223.

20 Ivi, 227, con elenco a p. 222. 21 Ivi, p. 227.

L’ambasciatore barcellonese, Antoni Vinyes, fu molto impressionato dalla se- quela di eventi: la sera del trionfo Alfonso gli sembrò commosso, non voleva par- lare che di feste e altre piacevolezze23. Un mese dopo il clima era lo stesso, tanto che – scrive – feste e giostre dei baroni avrebbero impedito al sovrano di recarsi a Gaeta per ispezionare i lavori al castello24. Molte ricerche sulla comunicazione politica e simbolica nell’antico regime ci hanno insegnato a non sottovalutare il si- gnificato di questi eventi, che non sono riducibili alla mera esibizione della regalità e della “religione civica”. In questo caso, nello spazio fisico della città e in quello simbolico della corte, potremmo dire nello “spazio pubblico” di Napoli e con essa dell’intero regno25, si dispiegò un dispositivo cerimoniale e politico complesso, che comprendeva il trionfo, il parlamento, il giuramento di fedeltà e l’investitura di Ferrante, oltre a una serie di giostre, feste, conviti, fino all’inaugurazione dei la- vori all’arsenale, dove 26 galere esibivano le insegne del Magnanimo (giara, sedia ardente, libro, miglio, nodo) e tutto il santuario della devozione aragonese, con significative integrazioni napoletane (Maria, Michele, Giorgio, Antonio, Alfonso, Nicola, Bartolomeo, Andrea, Matteo, Mercurio, Benedetto, Bernardo, Gennaro, Erasmo, Luigi, Quello, Aspreno, Giovanni Evengelista, Pietro, Paolo, Severo, Gia- como, Martino, Lorenzo, Vincenzo)26.

Lo sforzo organizzativo e finanziario fu notevole. I preparativi durarono quasi quattro settimane, dal 31 gennaio al 26 febbraio. I baroni convenuti al parlamento, poco più di un centinaio27, furono coinvolti in tutti questi eventi, sia come promotori (del giuramento di fedeltà a Ferrante, del trasferimento del parlamento a Napoli, della lettera e dell’ambasceria al papa, di alcune feste e giostre), sia come interlocutori (del parlamento, dell’investitura, dell’inaugurazione del cantiere navale, delle giostre or- ganizzate dal re). Il re, insieme con gli ufficiali della corte e i consiglieri, fu il regista del parlamento e dell’investitura di Ferrante. Non possiamo soffermarci, in questa sede, sugli altri soggetti che parteciparono al dialogo simbolico con il monarca, ma essi non vanno dimenticati: la città di Napoli, che si autocelebrò come capitale del

23 «Lo dit senyor stave axi torbat per la entrada que de present aha feta en la ciutat de Nàpols,

que no entenie ne volie entendre sinó en coses de pler e de festes», 28 febbraio, ivi, p. 219.

24 «Aquests baron per sobre de festes e juntes no lo y jaqueren exir», lettera del 23 marzo, p.

225; «Les juntes e gran festes sich continuen», 4 aprile, ivi, p. 227.

25 Il riferimento ovviamente è alla prospettiva della Öffentlichkeit, adottata anche nella medie-

vistica, tra gli altri da Hébert, Parlementer, pp. 75-77.

26 Madurell Marimón, Mensajeros, p. 222. Per i santi: Vitale, Ritualità, pp. 159-224. 27 Cfr. supra, § 2.3.1.

regno28, fu senz’altro la protagonista dell’entrata trionfale, la quale impegnò tutte le sue componenti (i seggi, cui afferivano alcuni dei baroni convocati al parlamento e degli ufficiali del re, e il popolo, che si tassò per comprare il pallio del sovrano29). Un ruolo significativo ebbero le comunità dei catalani e dei fiorentini, estranee al corpo dei cittadini, le quali organizzarono, rispettivamente, quadri viventi e carri allegori- ci30. Non va dimenticato che, nella cultura politica europea, l’entrata era la cerimonia della città, che si “apriva” al suo signore manifestando devozione e obbedienza, ma in un quadro di affermazione della propria importanza e ricchezza31.

La condivisione di un linguaggio politico da parte di tutti questi soggetti (il re, il parlamento, i singoli baroni, la città, i seggi, il popolo, i Catalani e i Fiorenti- ni) non deve ingannare: le loro posizioni e aspettative erano differenti, e con esse, in certa misura, anche il significato attribuito agli eventi cerimoniali. Inoltre, per tornare al parlamento, il fatto che fosse preparato con tanto anticipo, che con tanto anticipo si sapesse che Ferrante sarebbe stato investito del regno di Napoli (coro- na, insegna e bandiere erano stati commissionati per tempo32) e che già un mese prima i baroni avessero offerto al sovrano un ducato per fuoco (ne parla la lettera a Maria di Castiglia, 2.4) non deve farci pensare che quella riunione fosse soltanto una formalità, come se tutto fosse stato già deciso. Le quattro settimane intercorse tra i primi incontri a Benevento e l’apertura del parlamento a Napoli furono cer- tamente animate dalle trattative tra i baroni e il sovrano (vedi § 2.4). È ovvio che in questo periodo, nel pieno dei preparativi per i fasti napoletani, furono concepite le 13 suppliche al sovrano, e che furono offerti al re il riconoscimento di Ferrante e l’ambasceria al papa (richieste che abbiamo considerato come le suppliche n. 14 e

28 Un’eco di quest’orgoglio cittadino è nella cronaca di Tummolillo, che così giustifica il trasfe-

rimento a Napoli «in civitate Neapolis magnificentiore et principaliore omnibus aliis, que etiam propter residentiam regis est caput totius rengni», 2.15.

29 Passero, Storie, pp. 14-24. In BSNSP, ms Cuomo 1.5.39, pp. 393-429 sono presenti anche gli

importi per singoli esponenti del popolo.

30 Pinelli, Fatti parole, immagini.

31 Non sembra perciò pienamente condivisibile l’affermazione che il trionfo «ebbe, tra le sue

molte valenze, anche quella liturgica di “sostituzione” dell’incoronazione», Delle Donne, Alfonso il Magnanimo, p. 116, non tanto perché il riconoscimento papale fu ottenuto dopo il trionfo, quanto perché nel Rinascimento l’entrata in città era organizzata dalla città, seppur d’intesa con il sovrano. Essa rappresentava in primo luogo l’incontro simbolico tra la cittadinanza e il suo signore.

32 Il 1° marzo la tesoreria regia pagò la corona di Ferrante («un cerchio d’oro largo due dita,

del peso di 24 carati con due cordoni dello stesso oro»), il 7 le bandiere con le armi del solo regno senza quelle aragonesi e castigliane, chiaramente preparate in anticipio, Minieri Riccio, Alcuni fatti, pp. 232-233.

15). Tuttavia, durante il parlamento non mancarono contrasti forti, di cui gli atti recano qualche traccia, nonostante la reticenza del loro tessuto formale. In altre pa- role, quando il re aprì il parlamento né lui né i baroni erano assolutamente certi di ottenere quanto speravano.

Nello studio della comunicazione rituale è essenziale distinguere gli scarti nell’impiego dei segni disponibili: le formule, i riti, cioè le parole dette e scritte, i gesti, le posizioni, le presenze e le assenze. Talvolta, lo scarto consiste in un’origi- nale composizione di quegli elementi, nel nostro caso di cerimonie in sé autonome. Come emerge dalla cronologia sopra riportata, gli atti del parlamento del 1443 contengono quattro diversi eventi cerimoniali: il parlamento vero e proprio, con lo scambio tra il sussidio offerto al monarca (la riforma fiscale) e le grazie che egli accorda; il giuramento di fedeltà, durante il quale l’assemblea accoglie i membri del consiglio regio, a rigore ad essa estranei; l’investitura di Ferrante, discussa (il 26 febbraio) e celebrata all’esterno delle sessioni parlamentari (il 3 marzo, in un’altra sede) ma ad esse inframmezzata, inclusa nella verbalizzazione perché collegata alle trattative; e infine la pubblicazione della riforma della giustizia, che avviene nella seconda sessione, ma che non è risultato di alcuna contrattazione33. Alle diverse cerimonie parteciparono soggetti diversi. Il 2 marzo l’intero consiglio regio, i cui membri – in particolare i giuristi – non erano stati convocati al parlamento, as- sistette alla pubblicazione della riforma della giustizia e al giuramento di fedeltà prestato dai baroni a Ferrante. A quest’ultimo fu presente anche l’ambasciatore di Giovanni, re di Navarra, fratello di Alfonso. Ciò era indispensabile perché Alfonso si era impegnato a lasciare i suoi regni a Giovanni: l’eccezione, per un dominio recentemente acquisito, andava “validata” anche da quest’ultimo. Il giorno dopo, l’investitura di Ferrante a duca di Calabria fu celebrata davanti a un pubblico cer- tamente più ampio, dentro e fuori dalla chiesa di S. Gregorio Armeno. Con questa investitura Ferrante divenne formalmente il successore del padre nel regno napole- tano, il primogenito cui la tradizione aragonese riconosceva un ruolo attivo di gover- no, essendo egli il vero e proprio alter nos del sovrano, non, semplicemente, il suo vicario in una parte del regno o in sua assenza. Già da alcuni mesi, non sappiamo quanti, Ferrante era luogotenente generale nel regno di Napoli34, una carica che

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