Signori ed onorevoli Rappresentanti del popolo inglese!
Io non avrei osato, Signori e Gentiluomini, di porre in fronte a quest’opera il rispettabilissimo nome del Parlamento della Gran Bretagna, se ciò non fosse richiesto dalla convenienza, anzi in certo modo comandato dalla necessità.
La costituzione di Sicilia e quella d’Inghilterra furono fondate sugli stessi princìpi feudali, nella stessa età, da due prìncipi dello stesso genio, della stessa nazione, e forse dello stesso sangue; ma dopo lungo volger d’anni, ambe vennero cambiando d’aspetto, in modo che appena conservavano qualche lineamento dell’antica fisionomia e della primitiva somiglianza loro, quando il vostro governo, Signori e Gentiluomini, impiegò tutta la sua valevole influenza, per far sì che la costituzione siciliana venisse corretta dagli abusi e resa una seconda volta uniforme alla vostra.
Appena ciò ebbe luogo, il vostro stesso governo distrusse l'opera sua, e con quanta attività avea cooperalo alla
SAGGIO STORICO E POLITICO SULLA COSTITUZIONE DI SICILIA *2
riforma, con tanta efficacia si prestò poi non solo a far cancellare tutto ciò che si era fallo in Sicilia sotto i suoi auspici, ma a spegnere quanto esistea sin dalla fondazione della monarchia, anzi la monarchia stessa.
Un’opera diretta a mostrare tali fatti può offrire larga materia alle considerazioni delle Signorie vostre, e di Voi, Gentiluomini, nelle cui mani è affidato il sacro deposito dell’onore e della libertà della Gran Bretagna, e su i fatti stessi voi potete scorgere quanto sia falso ciò che uno de’
vostri ministri sull’assicurazione d’un vostro diplomatico, asserì la sera de’ 21 giugno 1821, in quella Camera, in cui non dovrebbe suonare che la voce della verità, della giustizia, della lealtà e dell’onore, cioè, che il Parlamento siciliano si diresse volontariamente al re Ferdinando III, pregandolo ad alterare la forma del governo.
Ciò mi mette nella necessità di smentire una tale menzogna, che altamente offende l’onore della nazione siciliana; né potrei pienamente smentirla che col mostrare la verità a quel governo ed a quel Parlamento, cui quella falsa voce fu diretta.
Ma non crediate già, Signori e Gentiluomini, che, nel dirigere a voi quest’opera, sia mio intendimento di presentarvi una querela a nome del popolo siciliano per li torli gravissimi che esso ha sofferto a causa del vostro governo; concittadino di Stesicoro, ben me ne rammento l’apologo, e so che un popolo, quando non può acquistare la libertà colle proprie forze, chiedendola per mercé d’altri, ottiene solo nuove catene. E sono affatto convinto che la misera condizione, cui sono i Siciliani ridotti per opera del vostro governo, può solo riscuotere la sterile
SAGGIO STORICO E POLITICO SULLA COSTITUZIONE DI SICILIA *3
commiserazione di pochi fra voi.
Io scrivo per far conoscere al mondo di quali luminosissimi dritti i Siciliani sono stati spogliati. Scrivo per avvertirli degli errori loro; e forse l’ora non è lontana, in cui un tale avvertimento può esser loro giovevole. Scrivo per palesare i modi, con cui si venne a capo di rapire alla Sicilia non che i dritti suoi, ma il nome stesso e l’esistenza politica. Scrivo per palesare i malvagi, che prestaron l’opera loro a tale rea impresa. Scrivo infine, acciò, fra tante moleste idee, che mi apprestano la' perfidia del vostro ministero e l'oppressione della mia patria, abbia il conforto di dire:
Parsque mihi ss vi vullum nudasse tvranni.
Sono col più profondo rispetto, Delle Signorie Vostre, e di Voi Gentiluomini,
Umil. dev. obb. servitore UN SICILIANO.
(Niccolò Palmieri.) PALERMO, 14 SETTEMBRE 1821
AVVERTIMENTO
Le lettere italiche fra parentesi (a) indicano le note dell’Autore, i numeri (1) quelle dell’Editore.
SAGGIO STORICO E POLITICO SULLA COSTITUZIONE *5
PREFAZIONE
Non vi ha forse paese che più della Sicilia abbondi di scrittori di cose patrie; ma fra essi pochi si son dati allo studio delle leggi politiche di questo regno, e costoro, tratti o dal pregiudizio dell'età in cui scrissero, o dalla necessità, o dal privato interesse, hanno per lo più denigralo, anziché messo in luce i dritti politici del popolo siciliano.
I giureconsulti più antichi che si conoscano si diedero principalmente ad esaminare le leggi delle successioni feudali: tutti gli scrittori di tal genere basterebbero a formare una copiosa biblioteca, dalla quale però nulla potrebbe ricavarsi di utile per conoscere la costituzione antica di Sicilia. Oltreché, avendo eglino scritto in barbare età, in cui era un domma ricevuto in tutte le scuole d’Europa quod principi placuit legis habet vigorem, non potea cader loro in mente, che l’autorità sovrana potesse in conto alcuno esser limitata da una legge.
Pure fra tanta caligine emerse Mario Cutelli, uomo di gran lunga superiore al suo secolo. Nato egli in un’età, in cui il baronaggio e l’inquisizione erano al suo meriggio, ebbe coraggio di attaccar l’uno e l’altro; ma in questi
SAGGIO STORICO E POLITICO SULLA COSTITUZIONE *6
attacchi si studiò di favorire piuttosto l’autorità del principe, cui eran d’impaccio, che il popolo cui eran di peso.
In tempi a noi più vicini, l’avvocato Carlo di Napoli, in una scrittura destinala a privala difesa, che egli intitolò
«Concordia de’ dritti baronali e demaniali». imprese a dimostrare, che l’autorità sovrana in Sicilia fin dalla fondazione della monarchia era sempre stata limitata, e che le leggi siciliane erano tutte state dettale dal Parlamento.
Queste proposizioni furono allora trovale arditissime, e forse il di Napoli ne avrebbe pagalo il fio, se non fosse stato interessalo in ciò tutto il baronaggio siciliano, di cui fu l’idolo, e che volle mostrare la sua gratitudine erigendogli una statua nel palazzo senatorio di Palermo. Ed egli divenne sì gonfio del favor baronale, che scrisse nel prospetto di una sua casa di campagna presso Palermo: De patria, deque tota Sicilia, Carolus de Neapoli, patrilius benemeritissimus.
Pure, se noi ci facciamo a considerar questo scritto, troveremo che il di Napoli non avea alcuna ragione di arrogarsi il titolo di cittadino benemerito di tutta la Sicilia.
Quell’opera è tutta diretta a dimostrar come legittimi non che i dritti, ma i più violenti abusi baronali; e da quanto egli dice altri potrebbe immaginare, che la costituzione di Sicilia fosse stata poco dissimile dall’antico governo di Polonia: lo fu realmente per lungo tempo, ma non v’è che un nemico della Sicilia che possa dire che lo sia stata legittimamente.
Finalmente ai dì nostri il canonico Rosario Gregorio, regio storiografo e professore di dritto pubblico siculo
SAGGIO STORICO E POLITICO SULLA COSTITUZIONE *7
nell’università degli stadi di Palermo, si diè a scrivere espressamente su questa facoltà. E veramente fu egli uomo da tanto: sanissimo intendimento, instancabile laboriosità, ricchissimo corredo di cognizioni sulle antiche cose siciliane, lo misero in istato di produrre un lavoro, cui egli giunse per grado.
È ben da dolersi, che le sue considerazioni sulla storia di Sicilia non siano state recate a compimento; ma è anche più da dolersi, che l’autore, stretto dalla necessità, e non iscevro forse di ambizione, si sia studiato d’incensare il potere,'di favorire la prerogativa sovrana, e dipingere il governo siciliano come una monarchia assoluta. Pure è egli così severo nell’esposizione de’ fatti, che l’opera sua non lascia di mostrare in parte il vero spirito della costituzione di Sicilia.
Dopo il Gregorio è venuto Vincenzo Gagliani a scrivere sul dritto pubblico siciliano. Costui, dopo d’essere stato uno degli eroi del Parlamento del 1813 che predicavano democrazia, volle mettere il colmo alla turpitudine, scrivendo quattro Discorsi sopra lo studio del dritto pubblico siciliano, diretti al cavaliere de Medici.
Quest’opera fu pubblicata in Napoli nel 1817, dalla stamperia della segreteria di Stato — ab uno crimine disce omnes. — Dal contenuto dell’opera però si scorge, che essa fu scritta qualche tempo prima, e forse servì a favorire le mire di quel ministro, poiché essa tende manifestamente a giustificare e far l’elogio di tutte le violenze fatte dal governo di Napoli alla Sicilia. L’opera tutta è diretta a provare che il governo siciliano non ebbe mai altro limite che la volontà del principe, che è stato un errore il riguardare la forma del governo siciliano come unica dalla
SAGGIO STORICO E POLITICO SULLA COSTITUZIONE *8
fondazione della monarchia sino al 1816, alla quale di tempo in tempo si Sono fatte delle riforme; ma che ogni principe ad arbitrio suo ha dato alla Sicilia quelle leggi che più gli è piaciuto.
L'autore pone ogni studio a mostrare che il Parlamento era sorgente d'innumerevoli calamità alla Sicilia, essendo esso una congrega di baroni, che non mirava ad altro che ad opprimere la nazione; dice, che la deputazione del regno era un magistrato addetto ad assicurare le incolumità de baroni, e che concorse coi suoi misteriosi artifizi a sostenere, a nome del regno, tutte le pretensioni che lo desolavano (pag. 204), fa un' atroce pittura del Parlamento, che chiama sempre Parlamento baronale, e fra tanti delitti lo accagiona di quello, che i baroni fecero stabilire l’inquisizione in Sicilia, e che essi unitamente agli inquisitori fecero sparire molti degli atti originali dei Parlamenti (pag. 221). Ma se il Parlamento era stato sempre inteso a l'affermare l'autorità de' baroni, qual interesse aveano eglino a far sparire quegli atti? E se quegli atti eran contrari agli interessi baronali, non è ciò una prova che il Parlamento di Sicilia non era qual egli si studia a dipingerlo? Ma tutto l’edificio di quell’opera sarebbe buttato a terra dalla costituzione del 1812, in cui i baroni aveano volontariamente rinunziato a quel piccolo avanzo di prerogative feudali, che loro restava, e fu abolito fino il nome di baroni e di feudi. I Comuni furono dichiarati tutti uguali in dritto, e tutti riacquistarono la rappresentanza in Parlamento, che certamente non polea più dirsi Parlamento baronale: ma l’autore con ammirevole scaltrezza schiva l’incontro:
SAGGIO STORICO E POLITICO SULLA COSTITUZIONE *9
………..………..……….et quae Desperat tractata nitescere posse, relinquit.
Non fa pur cenno degli avvenimenti del 1812, e lascia il lettore nella supposizione che la Sicilia continuava nel 1817 ad essere una terra senza virtù e senza onore, oppressa dal giogo insopportabile del Parlamento baronale e conchiude l’opera così:
S'è desiderato, che amministrazione fosse sostenuta da leggi fondamentali, e che le leggi d'ogni maniera fossero ricomposte e temperate secondo la necessità e l'arte de' tempi. Siffatti desideri sono ormai cangiati in sicurezza.
Molti gravissimi accidenti e molte subitanee vicende han preparato un nuovo ordine di secoli, che già nasce. Già la confidenza dei sudditi verso il principe, che ha cura di loro, è accompagnata dal primo sentimento di gratitudine, perciocché voi, signore eccellentissimo, siete chiamato ad esser gran parte delle cose promesse ed aspettate con allegrezza.
Io non ardisco annoverarmi tra gli scrittori del dritto pubblico siciliano. Ciò sarebbe stato affatto straniero all’oggetto di quest’opera, diretta ad esporre gli avvenimenti politici di Sicilia dal 1810 al 1816. Ma nel metter mano a tal lavoro, sentii che facea mestieri il dare al lettore un’idea dello stato in cui era la Sicilia al 1810, della natura del governo siciliano, e delle basi, sii cui i Siciliani appoggiavano allora le loro preterizioni e le querele contro il governo. Nel farmi a svolger gli storici siciliani, le antiche leggi di questo regno, e gli statuti del suo Parlamento, vidi
SAGGIO STORICO E POLITICO SULLA COSTITUZIONE *10
che la Sicilia era stata sempre sacrificata dalla ignoranza, dalla malizia o dal forzato linguaggio de’ suoi scrittori, e che questo popolo ha sempre avuto de’ dritti luminosissimi.
Laonde la materia, come da per sé stessa, si è offerta agli occhi miei sotto un punto di veduta ben diverso da quello sotto al quale è stata finora presentata. Quindi nella nuda narrazione de’ fatti son venuto, direi quasi senza avvedermene, a tracciare una nuova fisonomia al dritto pubblico siciliano.
Quale che sia il mio lavoro, ho ragione di credere ch'esso possa offrir materia alle più serie considerazioni di tutti coloro che ebbero parte nella scena che io imprendo a descrivere, e più, che ogn’altro ai Siciliani, al re Ferdinando III ed agl’Inglesi. I Siciliani potranno conoscere come crudelmente siano stati traditi da coloro, che facendo loro sperare forme più libere e democratiche, li sedussero a segno di fare ad alcuni di essi riguardare come pubblici nemici coloro, cui doveano la libertà, e quei tali, che, più avveduti degli altri, conosceano che cosa dovessero aspettarsi da quelle vane promesse.
Io non ardisco certamente di presentare la costituzione del 1812 come un modello di perfezione, o di negare che essa fu accompagnala da qualche disturbo. Ma è da riflettere, che ciò deve ascriversi non al difetto della costituzione, ma al cambiamento stesso.
Tale è la forza delle abitudini sull’uomo, che qualunque cambiamento politico deve sulle prime essere accompagnato da inconvenienti maggiori di quelli, che si vogliono riparare. Oltreché la nazione siciliana non potè sentire tutti i vantaggi di una costituzione che mancava di
SAGGIO STORICO E POLITICO SULLA COSTITUZIONE *11
qualche parte essenziale, e precisamente dell’organizzazione del sistema giudiziario. Oltreché que’
disordini furono in gran parte provocati, a ragion veduta, da coloro che quindi vollero profittarne, ed hanno ora un interesse a giustificare la cancellazione della costituzione.
Ma in qual paese i primi vagiti della libertà non sono stati accompagnati da disordini? Se potesse ammettersi questo fatai principio, che non son falli per la libertà quei paesi, ne’
quali essa ha prodotto degli inconvenienti, non ci sarebbero paesi meno meritevoli della libertà della Francia e dell’Inghilterra. Se si vogliono esaminare questi supposti disturbi, essi, lungi d’essere vergognosi, recano onore alla nazione siciliana. In un’epoca in cui si tentarono tutti i mezzi di spingere il popolo alla sedizione, non vi si potè mai riuscire. I disturbi nacquero tutti da disparità di opinioni, e ciò non è stato mai un delitto; ma io sfido tutti i nemici della Sicilia a dare un solo esempio di delitto, al quale abbia potuto avere la più lontana influenza la costituzione. Ed è assolutamente falso la sua costituzione non abbia prodotto alcun bene alla Sicilia. Fu la costituzione, che collo stabilimento de’ capitani d’armi fece sparire i ladri, che sino a quel momento aveano infestato le pubbliche strade di Sicilia. Fu essa che levò agli agricoltori pesi e vessazioni indicibili; essa fu che rese più libero il commercio, più animata l’agricoltura, più sicura la proprietà; fu essa infine che restituì alla dignità di cittadini la maggior parte de’
Siciliani che aveano fin allora gemuto sotto la sferza baronale. Ma il vero bene che produsse la costituzione fu la sua influenza sulla pubblica opinione. Se nel 1810 pochi capivano che volesse dir costituzione, da quell’epoca in poi non vi ha ciabattino che non conosca i dritti suoi e non
SAGGIO STORICO E POLITICO SULLA COSTITUZIONE *12
senta la violenza d’esserne stato spogliato, e questo è il vero delitto della costituzione.
Io lo replico: la costituzione del 1812 merita compimento, e qualche riforma; ma i Siciliani saranno sempre mal avveduti, se colla speranza di un meglio immaginario rinunzieranno ai luminosissimi dritti loro, che son tutti annessi a quella: la quale può sempre che si voglia esser corretta e migliorala. Un buon Siciliano no, non dovrebbe mai stancarsi di dire ai suoi concittadini, come Cicerone ai Romani: Hanc retinete, quaeso, Quirites, quam vobis, tamquam haereditatem, majores vestri reliquerunt. Per aver perduto di vista ciò, la Sicilia lasciandosi al 1820 per la maggior parie sedurre dai rivoluzionari di Napoli, perdè la più fortunata occasione di riacquistare i dritti suoi, e diede campo alla plebe di discreditare la più nobile di tutte le cause.
Pure se gli errori loro sono stati fatali ai Siciliani, assai più fatali sono stati al re Ferdinando III i consigli di quei ministri, non so se più perversi o stolti, i quali lo indussero a mancare a quanto vi ba di più sacro fra gli uomini, ed a cancellare tutte le antiche istituzioni politiche del regno di Sicilia, per sostituirvi un giacobinico dispotismo. Forse gl’interessi di qualche gran potenza voleano che si fosse cancellata la costituzione di Sicilia; ma appunto perché ciò favoriva agli interessi altrui, mal conveniva al re Ferdinando III. Egli, dando ai suoi regni una forma libera, non solo avrebbe assicuralo la sua gloria, ma si avrebbe spianala la strada ad imprese della più alla importanza. In vece di ciò ha sagrificat----o non che la tranquillità ed il ben essere de’ suoi sudditi, ma il suo trono stesso agl’interessi altrui, ed alle mire ambiziose e vendicative de’ ministri
SAGGIO STORICO E POLITICO SULLA COSTITUZIONE *13
suoi. Si è preteso di erigere una nuova monarchia, senza considerare lo sfregio che si faceva al monarca. Ferdinando III era uno de’ più antichi re d’Europa. Ferdinando I è l’ultimo de’ monarchi della terra, perché nessuno è più recente di lui. Si è voluto unire a forza due paesi che la natura ha diviso e per la posizione fisica, e per carattere degli abitanti, e per gl’interessi economici e politici dei due paesi. I due regni divisi avrebbero continualo ad essere reciprocamene di freno, ed il re avrebbe potuto tranquillamente governare entrambi. l’unione, senza migliorare gl’interessi del principe o dei sudditi, non ha servilo che a ridurre alla disperazione i Siciliani, trasportando con rapidità da Napoli in Sicilia il contagio della carboneria. Ma quella fu tale istituzione, che facea tremare tutti gli uomini onesti, perché offriva tutti i mezzi di sovvertire la società col naturale effetto della reazione.
L’unione pubblica de’ governi per soffocare i dritti de’
popoli, ha dato origine alle unioni segrete de’ popoli per rovesciare i governi.
L’esempio del 1820 avrebbe dovuto avvertire il governo di Napoli a cambiar di direzione. In vece di ciò, dal momento del ritorno del re da Laybach, i mali dell’infelice Sicilia si sono moltiplicati. Il gabinetto di Napoli non mira ad altro che a vendicarsi della Sicilia, e preparare i materiali per una nuova e più terribile catastrofe.
L’amministrazione di Sicilia è affidala ad imbecilli, che non conoscono l’immenso baratro verso il quale il governo cammina, e si prestano ciecamente a tutte le disposizioni volute dai ministri napolitani.
Ogni giorno l’esistenza di questo governo è un miracolo politico. Non vi ha uomo onesto ed avveduto che non
SAGGIO STORICO E POLITICO SULLA COSTITUZIONE *14
conosca il pericolo, e non cerchi di schivarlo; talché necessariamente la cosa pubblica è affìdata, o ad uomini incapaci, che colla loro cattiva condotta affrettano la rovina, o a rivoluzionari che la cercano. La miseria cresce di giorno in giorno, e colla stessa proporzione cresce il debito pubblico, e la pubblica esazione divenuta più scarsa, più penosa, più difficile. In questa pericolosa situazione non si risparmiano oppressioni ed ingiustizie. Migliaia di cittadini gemono nelle più orribili segrete coi ferri a’ piedi per istrappar loro il segreto di qualche supposta congiura, senza avere la speranza di uscire da quell'orribile stato anche con una ingiusta sentenza. La rendita pubblica è interamente assorbita dalle spese di polizia, del mantenimento dei detenuti e della truppa. Gli arresti arbitrari si accrescono di giorno in giorno. I più infami delatori son favoriti e protetti dal governo. Talché il solo terrore della forza straniera impedisce una generale conflagrazione, pronta a scoppiare da un momento all'altro.
Ma la forza straniera occorrerà sempre o no? Nell’uno e nell’altro caso la condizione della famiglia regnante è ben lagrimevole.
Mentre i Siciliani gemono in tale stato d’oppressione, e il trono minaccia rovina, i ministri inglesi si applaudiscono della loro condotta, e si mostrano indifferenti al destino di un paese di cui han provocato le calamità. Ma la condotta del gabinetto di S. James, oltre di dare un’impronta ignominiosissima al nome inglese, mostra la critica situazione in cui trovasi il popolo britannico. Montesquieu,
Mentre i Siciliani gemono in tale stato d’oppressione, e il trono minaccia rovina, i ministri inglesi si applaudiscono della loro condotta, e si mostrano indifferenti al destino di un paese di cui han provocato le calamità. Ma la condotta del gabinetto di S. James, oltre di dare un’impronta ignominiosissima al nome inglese, mostra la critica situazione in cui trovasi il popolo britannico. Montesquieu,