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Parmenide e Zenone: imagines illustrium nella Velia romana

Da quando, nel novembre del 1966, Mario Napoli recuperò a Velia la testa ritratto di un filosofo e la pose in rapporto con una stele rinve- nuta, qualche anno prima nello stesso edificio e che riportava il nome di Parmenide, seguito dal patronimico (‘di Pirete’) e dagli appellativi Ouliades Physikòs, il dibattito fra gli studiosi è stato vivace e la biblio- grafia si è andata arricchendo di contributi quanto mai intriganti e con- trapposti fra loro che non hanno del tutto chiarito una problematica, nel suo insieme, piuttosto complessa2.

– I dati del rinvenimento sono noti e ricostruiti da notizie di ar- chivio, foto, annotazioni e successivi controlli stratigrafici. La ricerca archeologica, avviata da P. C. Sestieri nell’area pianeggiante, ai piedi della collina di Velia, aveva messo in luce, tra la fine degli anni ’50 e gli inizi degli anni ’60 del XX secolo, un edificio complesso, a carattere pubblico, che occupava l’intero spazio di un isolato di case nel Quar- tiere meridionale, l’Insula II; nel corso di questi scavi venne recuperata una notevole quantità di materiale tra cui alcune erme con iscrizioni e numerose sculture tra cui spiccavano i ritratti della famiglia imperiale giulio-claudia. La presenza delle iscrizioni, che facevano chiaramente riferimento a medici eleati, portò lo studioso ad ipotizzare una funzio-

1 Università degli Studi di Napoli “Federico II”: Dipartimento di Discipline Stori-

che – giogreco@unina.it.

2 Da ultimo, con bibliografia e discussione precedente, L. VECCHIO, Medici e me-

dicina ad Elea-Velia, in Elea-Velia. Le nuove ricerche (Atti del convegno, Napoli, 14

dicembre 2001), a cura di G. GRECO, Pozzuoli 2003, 237-269; ID., Le iscrizioni greche

di Velia (Velia-Studien III), Wien 2003, pp. 76-86; ID., La documentazione epigrafica,

in Velia (Atti XLV CSMG, Taranto 2005), Taranto 2006, pp. 365-427; J.-P. MOREL,

De Marseille à Velia: problèmes phocéens, in Comptes Rendus Académie Inscriptions

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ne dell’edificio quale sede di un’associazione di medici edificata nel corso del I sec. a.C., mentre rimaneva in secondo piano tutto il ricco repertorio di statue, ritratti, erme, recuperati nell’edificio che entra in bibliografia come complesso dell’Insula II3.

Mario Napoli, nel vasto programma di esplorazione della città, ri- tornò, con più di una campagna di scavo, all’analisi del monumento portando così alla luce l’intera planimetria dell’edificio, nella sua defi- nizione strutturale, distinta in tre elementi architettonici, ben coordi- nati fra loro4.

L’edificio, al termine delle sue ricerche, si presenta con un ingresso prospiciente la strada che collega il quartiere meridionale alla collina dell’acropoli; attraverso una larga scala monumentale di cinque gradi- ni, si accede ad un grande cortile scoperto, organizzato come un tripor- tico che conserva, al centro, un altare in marmo; il collegamento con l’altro grande cortile è assicurato, sul lato orientale, da un corridoio di raccordo che, attraverso un’edicola fiancheggiata da due scale, condu- ce nell’area scoperta circondata da canalette, nicchie ed esedre, cor- rispondente ai bracci del criptoportico inferiore; ai lati del triportico superiore si aprono inoltre le scale di accesso alla struttura sottostante, caratterizzata da un lungo corridoio disposto ad U, con copertura a botte, nicchie e piccole finestre. Dunque una struttura molto comples- sa che trova numerosi punti di riferimento nell’architettura della prima età imperiale; piuttosto incerte rimangono le cronologie, la distinzione delle diverse fasi cronologiche e le trasformazioni che l’edificio ha su- bito nel corso degli anni (fig. 1).

È durante la campagna di scavo del 1962 che venne recuperata un’erma acefala in marmo, rinvenuta in una situazione di riutilizzo, a protezione di una canaletta attribuibile ad una fase più tarda, quando già l’edificio aveva perso la sua vera funzionalità; la stele, frammentaria e mancante della testa, riporta la ben nota iscrizione di Parmeinides Py- retos Ouliades Physikòs che suscitò immediatamente un interesse enor- me nella comunità scientifica, dando lo spunto ad un dibattito quanto mai vivace, incentrato prevalentemente, in quegli anni, sul significato da attribuire al termine physikòs5.

3 P.C. SESTIERI, Velia, FA XI, 1956, 140; FA XV, 1960, pp. 308-309.

4 M. NAPOLI, La ricerca archeologica di Velia, in Velia e i Focei in Occidente, in PdP,

XXI, 1966, pp. 191-226.

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La campagna di scavo del 1966, iniziata nell’estate e portata avanti fino al mese di novembre, portò alla esplorazione completa della strut- tura, con la definizione delle sue diverse componenti, alcuni controlli stratigrafici, il completamento della esplorazione di due calcare per calce impiantate, ai margini della struttura, in età medievale; quasi alla fine della campagna di scavo, nel mese di novembre, venne alla luce un ritratto di filosofo barbato, in una situazione stratigrafica secondaria, ma a breve distanza dall’erma con iscrizione di Parmenide rinvenuta qualche anno precedente.

Mario Napoli mise immediatamente in relazione i due pezzi e, at- traverso un calco, dimostrò la perfetta pertinenza della testa all’erma

tes di Tralles oinodotes physikòs, in Synergia. Festschrift für Friederich Krinzinger, Wien

2005, pp. 367-375.

Fig. 1. Velia, Insula II. Luogo di rinvenimento delle sculture nel triportico e nel giardino antistante.

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iscritta restituendo così, per la prima volta, l’iconografia del filosofo eleate, non altrimenti nota da nessuna altra replica.

Sulla pertinenza del ritratto alla stele gli studiosi furono, per la mag- gior parte, concordi e già nel 1968 comparve il primo studio stilistico e formale sul ritratto, ad opera di Hans Jucker, che giudicò il ritratto una variante di un tipo iconografico di filosofo noto come Metrodoro, per le iscrizioni conservate su copie di età romana6.

L’ipotesi prenderà sempre più corpo nei lavori successivi che si con- centreranno sull’analisi stilistica, sulla cronologia, sul possibile atelier di produzione della testa marmorea.

Nel corso degli anni ’80 del XX secolo, la missione archeologica austriaca diretta da F. Krinzinger, avviò numerose campagne di scavo nell’area del monumento con l’obiettivo di una migliore definizione delle diverse componenti architettoniche e le rispettive cronologie di impian- to, di un approfondimento stratigrafico per capire le successioni struttu- rali avvenute in questa zona ed il tentativo di recuperare dati significativi per le funzioni che ciascuna parte del complesso doveva aver svolto.

Le puntuali ricerche austriache hanno sortito risultati di grande in- teresse ed hanno dimostrato, in maniera chiara e ben documentata, come tutto il complesso si impianti su una realtà ben più articolata che ha visto una successione di strati e livelli abitativi obliterati e distrutti dall’impianto del monumento di età romana.

L’edificio copre, infatti, un’area precedentemente occupata da un abitato arcaico con case in mattoni crudi costruite già alla fine del VI secolo ed andate distrutte probabilmente da un devastante evento na- turale intorno alla metà circa del V secolo a.C., forse proprio negli anni della promulgazione delle buone leggi parmenidee7.

Dopo un lungo periodo durante il quale non sembra che questa zona fosse abitata, in età ellenistica, tra III e I secolo a.C., tutta l’area è interessata da quartieri di abitazioni con case organizzate intorno ad un cortile centrale, decorate da pavimenti musivi e pareti intonacate dipinte; questa intera insula sarà demolita per far posto alla costruzio- ne dell’edificio romano, del quale si distinguono due fasi, entrambe comprese nel corso del I secolo d.C. mentre, più tardi, all’epoca di

6 H. JUCKER, Zur Bildnisherme des Parmenides, in MusHel, XXV, 1968, pp. 181-186. 7 C. TALAMO, Elea e le "buone leggi" di Parmenide, in Momenti di storia salernita-

na nell’antichità (Atti del Convegno, Fisciano-Salerno 12-13 novembre 1988), Napoli

Parmenide e Zenone: imagines illustrium nella Velia romana 163 Adriano, si collocano alcuni interventi secondari che non modificano né la struttura né la funzione del complesso; solo in età tardo antica inizia la spoliazione del monumento che, con l’impianto delle calcare, viene definitivamente depauperato e distrutto8.

Le analisi stratigrafiche di F. Krinzinger chiariscono la sovrapposi- zione dei piani di calpestio e dimostrano come non esista una natatio nell’area soprastante scoperta, ipotizzata sulla base della grande quan- tità di cocciopesto rinvenuta che, alla realtà delle evidenze, si è rivelata come residuale dai pavimenti delle case ellenistiche andate distrutte; nel corso di queste indagini si chiariscono bene la struttura del crip- toportico, l’imposta delle volte, le aperture sul giardino scoperto. Al centro dell’area scoperta è stata individuata una massiccia fondazione relativa, con ogni probabilità, ad un altare, andato distrutto.

Inoltre lo studioso realizza, attraverso calchi e sperimentazioni di laboratorio, una serie di controlli sull’erma di Parmenide e dimostra la perfetta corrispondenza tra erma e la testa ritratto del filosofo9.

Infine, un lavoro monografico edito nel 1989, riprende in esame tutta la problematica relativa al complesso architettonico e, pur non considerando i risultati delle più recenti indagini, ha il pregio tuttavia di presentare in forma organica l’intero complesso scultoreo ed epigra- fico recuperato nel monumento10.

– Numerose sono state le proposte avanzate circa la funzione che un edificio così complesso dovesse svolgere nel contesto della Velia roma- na; dalla prima ipotesi di Sestieri che proponeva di vedervi la sede di un’associazione di medici11, a quella di Mario Napoli che riconosceva

piuttosto nell’edificio una palaestra iuventutis sulla base della tipologia architettonica della struttura, prospettando l’ipotesi che la sede della Scuola Medica fosse da ricercare più a monte, a ridosso della prima curva di livello della collina, da dove, con molta probabilità, potevano provenire alcune delle sculture recuperate12.

Nel dibattito fra gli studiosi compaiono altre proposte di lettura ba- sate ognuna su un qualche aspetto peculiare della struttura o del com-

8 Problematica e bibliografia in F. KRINZINGER, Intorno alla pianta di Velia, in Velia.

Studi e ricerche, a cura di G. GRECO e F. KRINZINGER, Modena 1994, pp. 19-53.

9 F. KRINZINGER, Velia.Grabunsgsbericht 1987, in RHM, XXIX, 1987, pp. 19-43. 10 M. FABBRI-A. TROTTA, Una scuola-collegio di età augustea. L’Insula II di Velia,

Roma 1989.

11 P.C. SESTIERI, Velia, FA, IX, 1954, n. 3047; ibidem, 1960. 12 M. NAPOLI, La ricerca archeologica di Velia, art. cit., pp. 222-225.

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plesso scultoreo; la presenza del ciclo scultoreo dedicato alla famiglia imperiale giulio-claudia è alla base della ipotesi di leggere nell’edificio un Caesareum, un collegium Augustalium13, mentre la presenza del-

le iscrizioni dei medici porta ad ipotizzare l’esistenza di una scuola- collegio in qualche modo legata, da un lato al culto dell’imperatore e dall’altro ad un’attività di carattere medico14; rimane piuttosto isolata

la proposta di identificare nel monumento un Asklepieion, sulla base di alcuni confronti con i più famosi Asklepieia greci e del rinvenimento di una statua di Asklepio15.

Più di recente, chi scrive ha avanzato l’ipotesi che l’arredo sculto- reo del monumento rispondesse ad un preciso programma figurativo, funzionale ad esaltare antenati ed origini della comunità velina mentre il modello architettonico si poteva riconoscere in numerosi edifici a carattere polivalente dove i singoli elementi architettonici – portici, criptoportici, giardini – combinati diversamente, rispondono a fun- zioni differenti e trovano, nel ben noto portico di Livia a Roma, il loro modello ideale di riferimento16.

È in questa cornice di dati ed evidenze materiali che vanno inqua- drati i ritratti di Parmenide e Zenone, i personaggi più illustri della città, alla radice fondante della sua identità, posti accanto ai medici ed alle divinità del pantheon cittadino.

I dati ricostruibili del ritrovamento consentono, almeno in parte, di proporre una ricomposizione del programma figurativo dell’appa- rato scultoreo che doveva riccamente completare l’arredo di questo edificio. La ricomposizione che si prospetta, in particolare per ciò che concerne la disposizione delle sculture nel triportico, non ha la pretesa di ricollocare al posto originario tutte le singole statue, ma propone di rileggerle in un sistema coerente di esposizione delle immagini, lì dove solo per alcune di esse è stato possibile riscontrare, dai dati di archivio, il loro corretto luogo di rinvenimento (figg. 1-2).

13 E. GRECO, Su di un problema urbanistico velino: l’area del Criptoportico, AION,

IX, 1987, pp. 189-195.

14 FABBRI-TROTTA, op. cit.

15 V. CATALANO, L’Asklepieion di Velia, in Ann. Pont. Ist. Sup. S. Chiara, XV-XVI,

1965-66, pp. 289-301.

16 G. GRECO, La velina gens, in Mathesis e Mneme. Scritti in memoria di M. Gigante,

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Sul lato sud-est del triportico è stato rinvenuto il ritratto del filo-

sofo e, a breve distanza, l’erma con l’iscrizione (fig. 3).

Ritratto di uomo barbato, in marmo bianco a grana fine. La testa dritta, in postura frontale, è caratterizzata da una calotta grande, piatta nella parte superiore; i capelli sono lavorati a grosse ciocche e parto- no da un cirro centrale; al centro della fronte si dispongono in ciocche pluriscanalate rivolte in senso opposto; una folta barba si infittisce sugli zigomi con riccioli profondamente scavati; i baffi folti e ben delineati, separati al centro, si raccordano alla barba. Minuziosa è la lavorazione delle orecchie, piuttosto grandi; la fronte è ampia, pronunciata e solca- ta da una ruga incisa profondamente, leggermente ribassata al centro in corrispondenza delle arcate sopraccigliari; gli occhi sono piuttosto incassati con palpebra superiore ispessita e sacchi congiuntivali lunghi ed incisi in profondità; il naso è prominente, lungo e dritto con le narici lievemente asimmetriche; bocca appena dischiusa con labbro inferiore carnoso e breve; una piccola fossetta segna il passaggio tra il mento pro- minente e la bocca. Il collo robusto, appena concavo ai lati con la base convessa per l’inserimento nell’erma17.

Erma in marmo bianco con venature grigiastre, leggermente rastre-

17 Da ultimi, M.G. PICOZZI, EAA, Suppl 1996, s.v. Parmenide; B. BOLMANN, Rö-

mische Vereinshauser, Main am Rhein 1998, p. 399; un riesame della problematica in

L. LOMBARDI, La statuaria a Velia in età romana, Dissertazione di laurea, a.a. 1998/99,

Università degli Studi di Napoli “Federico II”.

Fig. 2. Velia, Insula II. Ipotesi ricostruttiva del triportico con la collocazione delle statue.

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mata verso l’alto; iscrizione disposta su due linee che riporta il nome del filosofo nella forma Parmeneides, il patronimico del filosofo, già noto dalla tradizione let- teraria, Pyretos, e gli appellativi Oulia-

des e Physikòs18.

Per la testa ritratto, la perfetta so- miglianza con il tipo iconografico, attribuito con certezza a Metrodo- ro, grazie ad un’iscrizione posta su un’erma doppia conservata al Museo Capitolino, non ha lasciato dubbi sul fatto che la scultura velina riprodu- ca, più o meno fedelmente, un tipo ritrattistico conosciuto da numero- se repliche, circa 20, che restituisce l’iconografia ideale del filosofo, allie- vo prediletto di Epicuro.

In realtà non si conosce il proto- tipo originale da cui la copia prende origine; la Richter colloca, nella pri- ma metà del III sec. a.C., all’indomani della morte del filosofo, l’elabo- razione del tipo iconografico19 che riflette appieno, nell’aspetto e nella

posa, l’ideale di vita e di pensiero degli epicurei. Una recente analisi di P. Zanker20 sottolinea come le immagini dei tre più famosi epicurei

– Epicuro, Ermarco e Metrodoro – ricostruibili attraverso una serie di copie, si somiglino fra di loro, dove i capelli ondulati, le belle bar- be curate, il volto tranquillo e compassato sembrano voler trasmettere quegli ideali di ordine, di felicità ed armonia interiore in netta contrap- posizione con il tormento espresso dai ritratti degli stoici o dei cinici.

È interessante sottolineare come in ambiente campano, sia in area flegrea che nei contesti vesuviani, piuttosto numerose siano le copie di età romana che ripropongono, in toni stilistici fortemente accademici, i tipi iconografici del filosofo epicureo, dalle doppie erme da Baia ai

18 Da ultimo con bibliografia precedente, VECCHIO, lavori citati in n. 2.

19 G. RICHTER, The Portraits of the Greeks, London 1965, II, p. 201, n. 1, figg.

1230-1232.

20 P. ZANKER, La maschera di Socrate (tr. it.), Torino 1997, pp. 130-138.

Fig. 3. Velia, Insula II. Testa di Parmenide.

Parmenide e Zenone: imagines illustrium nella Velia romana 167 bronzi di Ercolano, riflesso di quell’interesse per la filosofia epicurea che permea fortemente l’ambiente campano21.

Il ritratto di Parmenide eleate si inserisce in questo filone iconogra- fico di repliche e varianti che caratterizza la produzione copistica della prima età imperiale.

La testa è concordemente datata ad età tiberiana, rielaborazione del modello ritrattistico identificato co- me Metrodoro – che, seppure con qualche lieve variante formale, non modifica l’insieme dell’immagine. La bottega copistica a cui è stata com- missionata la realizzazione di un ri- tratto di Parmenide da parte della comunità velina è, con ogni proba- bilità, da collocarsi nell’area flegrea, tra Baia e Pozzuoli, dove numero- se sono le evidenze dell’attività di scultori ed artigiani che lavorano su commissione e dispongono di un ric- co repertorio di modelli scultorei di originali greci più o meno famosi22.

Sul lato sud est del triportico è

stata rinvenuta, in posizione di crollo non originario, la statua identificata come Asklepio23 (fig. 4).

In marmo bianco a grana fine, di modulo inferiore al vero (h. cm. 110); raffigura il dio barbuto ed eretto, appoggiato al bastone

21 S. ADAMO MUSCETTOLA, Ritratti di filosofi da Baia, in Rend. Acc. Napoli, LI,

1976, pp. 31-38.

22 Ch. LANDWEHR, Die antiken Gipsabgusse aus Baiae, DAI, ArchForsch.14, Berlin

1985; C. GASPARRI, L’officina dei calchi di Baia. Sulla produzione copistica di età romana

in area flegrea, in RM, CII, 1995, pp. 173-187.

23 A. DE FRANCISCIS, Sculture connesse con la scuola medica di Elea, in PdP, XXV,

1970, pp. 267-284; FABBRI-TROTTA, op. cit., pp. 79-118.

Fig. 4. Velia, Insula II. Statua di Asklepio.

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sul fianco sinistro; indossa l’hi-

mation che scende dalla spalla e

lascia scoperto il busto sul lato destro; accanto al piede sinistro un serpente arrotolato che, sno- dandosi lungo il lembo del man- tello, presenta la testa che sbuca all’altezza del femore. Poggia su una piccola base a forma di ta- volozza ed era destinata ad una visione solo frontale.

Il tipo iconografico è ben noto da numerose repliche e varianti, il cui archetipo origi- nale è, con ogni probabilità, da individuare nell’ambien- te artistico attico del IV sec. a.C., dove si andava elabo- rando l’immagine di impron- ta scopadea del dio, divenuta tanto celebre e rinomata da assumere valore di canone, con tratti iconografici fissi, e dunque da replicare fedel- mente24.

L’esemplare rinvenuto a Ve- lia riproduce, pur se con qual- che significativa variante, il ti- po canonico ed è il risultato di una rielaborazione in una offi- cina copistica che, per partico- lari tecnici, stilistici e formali, accomuna quasi tutte le scul- ture rinvenute nel monumento velino. L’elemento unificante è restituito dal particolare tecnico della realizzazione ottenuta con l’assemblaggio di pezzi congiunti, secondo una tecnica a “tasselli” che non sembra fosse utilizzata nelle botteghe marmorarie di Roma.

24 G. GRECO, art. cit., pp. 187-190.

Parmenide e Zenone: imagines illustrium nella Velia romana 169 – Sul lato lungo meridionale

del triportico, di fronte all’ingres-

so ed al lato della edicola che col- lega il triportico al giardino sco- perto, è stata rinvenuta, una delle due statue di togato (fig. 5).

Statua acefala, in marmo bianco a grana fine; figura di togato stante sulla gamba sini- stra e la destra lievemente fles- sa e arretrata; indossa una toga drappeggiata con un sinus am- pio ed umbo sul ventre; ai piedi calza i calcei.

La statua rientra in una tipo- logia ben nota che si diffonde, in quasi tutte le botteghe di scultura sia urbane che provinciali, a par- tire dall’età augustea, avendo la propria fonte di ispirazione nel modello aulico di Augusto di Via Labicana25.

Sul lato lungo meridionale del triportico, di fronte all’ingres-

so e sull’altro lato della edicola, è stata rinvenuta, l’altra statua di togato, su base iscritta (fig. 6).

Statua acefala, in marmo bianco a grana fine; figura di togato stante sulla gamba sini- stra e la destra lievemente flessa e arretrata; indossa tunica e to-

ga drappeggiata con un sinus ampio ed umbo sul ventre; ai piedi calza i calcei. Poggia su una base che reca, sul listello anteriore, l’iscrizione

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