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Parte seconda Il teatro inedito e i cartegg

L

E DRAMMATURGIE INEDITE DI

G

HERARDO

G

HERARDI

N

OTA AI TESTI

Gli undici testi drammatici di Gherardo Gherardi, che qui si restituiscono, conservati nel Fondo Borelli di Bologna, sono inediti alla stampa.

La precisazione è resa necessaria dalla natura stessa, del tutto peculiare, del testo teatrale, una natura ambivalente poiché, mentre partecipa in pieno della compiutezza della pagina scritta caratteristica degli altri generi letterari, è memore o anticipa già, in potenza, singole o molteplici concretizzazioni sceniche del testo, a esso affini e ossequiose o, al contrario, sconvolgenti e contingenti, più o meno aderenti, insomma, alla volontà autoriale, interpretata e reinterpretabile sempre sulla scena, a distanza di qualsivoglia misura temporale.

Non è questa la sede per affrontare un argomento, abbondantemente dibattuto, come quello dell’autonomia del testo teatrale nei confronti delle sue realizzazioni

sceniche575. Irrilevanti sembrano, d’altra parte, tutte le posizioni a proposito; tutte al di

fuori di una: quella dell’autore.

Gherardi scriveva le sue commedie in vista della rappresentazione, non riconosceva la piena autonomia del testo scritto, subordinato, a parer suo, alla realizzazione scenica, la quale egli considerava anzi un ulteriore momento di scrittura, o meglio, di riscrittura, poiché dichiarava di trarre ispirazione, per eventuali limature o interventi più consistenti sul testo, dalle reazioni del pubblico.

575 Sulla questione cfr. CONCETTA D’ANGELI, Forme della drammaturgia. Definizioni ed esempi, Torino,

UTET, 2007 e MARCO ARIANI,GIORGIO TAFFON, Scritture per la scena. La letteratura drammatica del

Si è visto, tuttavia, come l’autore non desse sempre seguito a quanto egli esponeva sulle pagine, talvolta effimere, dei giornali e come spesso il suo spirito, in perenne autocritica, lo conducesse a cambiare idea, in modo tale che non c’è modo di sapere se e in quali luoghi egli abbia messo effettivamente in pratica tali teorie.

Non trascurabile è d’altronde l’inesaudita volontà di Gherardi di pubblicare un suo Teatro completo, testimonianza del fatto che, nonostante tutto, una certa autonomia ai suoi testi egli la riconoscesse, tanto da volerli collocare in uno o più volumi che, definitivamente e inequivocabilmente, li tramandassero.

Si ritiene allora rilevante specificare che cinque degli inediti del Fondo Borelli (la metà, se si considera che Sono il primo ladrone non ha completa definizione), sebbene mai pubblicati, sono stati rappresentati. Si tratta di Tragedia controluce, Pianeta della fortuna, Il silenzio, Carmen e Ciurilo dagli occhi di fuoco.

Tragedia controluce e Il silenzio portano persino i segni, sui frontespizi, della messa in scena: visti di censura, timbri e nullaosta alla rappresentazione.

Definire inediti questi cinque drammi è dunque solo in parte corretto, dal punto di vista meramente letterario, che qui si è assunto.

L’edizione è stata condotta con criteri conservativi, volti a preservare ogni peculiarità stilistica dei testi che si situano nella prima metà del Novecento, comprese quelle relative all’ortografia e alla punteggiatura, che spesso deviano dalle norme attualmente in uso.

Si è scelto di non intervenire sulle voci del futuro e del condizionale presente dei verbi che all’infinito terminano in -ciare e -giare e sui plurali delle parole che al singolare terminano in -cia e -gia. L’autore è infatti a tal proposito incostante, poiché solo in alcuni casi usa forme che oggi si considerano scorrette, mentre altrove si conforma alle regole odierne.

Il mancato intervento sulla punteggiatura (eccezion fatta per refusi palesi) trova motivazione non solo nella volontà di preservare lo stile degli inediti, ma anche nella destinazione scenica che i copioni, nelle intenzioni dell’autore, dovevano avere. Sebbene l’uso, soprattutto delle virgole, possa a volte sembrare abnorme, esso rispecchia non già l’andamento sintattico, ma quello ritmico della battuta, da Gherardi già pensata e scritta in prospettiva della sua declamazione.

Per la stessa ragione si è ritenuto opportuno conservare la sottolineatura con cui il bolognese evidenzia non solo alcune parole straniere, ma anche italiane, con l’intento di conferirgli enfasi.

Non si interviene a modernizzare la grafia della j in luogo della i nei gruppi vocalici (ingojare, noja, buja, macellajo, topaja, ecc…)

Si è invece provveduto a normalizzare, secondo l’uso attuale, l’orientamento grave o acuto degli accenti, che i dattiloscritti dell’epoca, così come le stampe giornalistiche, tendono a non distinguere per evidenti motivazioni tipografiche. Si sono inoltre normalizzate le seguenti forme:

- se stesso in luogo di sé stesso;

- sì in luogo di si, quando si tratti dell’avverbio affermativo;

- le forme contratte dell’imperativo, alle quali, laddove assente, si è aggiunto l’apostrofo.

I puntini di sospensione si restituiscono sempre in numero di tre.

Gli inediti datati sono forniti in ordine cronologico, gli altri in ordine alfabetico. Per ogni inedito si segnalano la numerazione delle carte, l’eventuale messa in scena, segni particolari (come la presenza di visti di censura e affini) e la natura dattiloscritta o manoscritta del copione, indicando la presenza di varianti.

Con l’intento di rispettare l’ultima volontà dell’autore, non si registrano le varianti autoriali, in ogni caso numericamente trascurabili e di entità minima, restituendo viceversa le parti di testo la cui espunzione non si deve all’autore ma a verosimili interventi di regia.

È il caso di Tragedia controluce e Ciurilo dagli occhi di fuoco, che presentano, in modo eccentrico rispetto agli altri testi, sistemi particolari e significativi (tanto a livello quantitativo che qualitativo) di varianti.

In entrambi i copioni si riscontrano, infatti, oltre alle minime e chiaramente autoriali varianti di cui sopra, vistose espunzioni a matita di intere battute, che intaccano talvolta esclusivamente lo stile, rendendolo più snello, talaltra la sostanza, fino a giungere, in alcuni casi, a gravi incoerenze e vuoti di significato che danneggiano un testo altrimenti compiuto e internamente coerente nella sua forma dattiloscritta.

Tenendo in considerazione che entrambi i drammi sono stati rappresentati, si ritiene che la maggior parte degli interventi sul testo sia da attribuirsi ad aggiustamenti funzionali alla messa in scena dell’opera.

Per quanto riguarda Tragedia controluce, l’ipotesi è avvalorata dalla presenza, sulla coperta del copione, insieme al titolo manoscritto della commedia, della dicitura «Teatro filodrammatico “<…>576” Trieste», anch’essa a matita colorata, la medesima

matita blu usata per la maggior parte degli interventi. Sul frontespizio, oltre al timbro del Regio Commissariato di Pubblica Sicurezza di Cesena, vi è una nota manoscritta relativa alla rappresentazione: «Cesena 15·3·927 anno 5° vi fu la rappresentazione in Cesena Il commissario <…>».

Sebbene, al contrario della cesenate, non ci siano notizie certe sulla

rappresentazione triestina, probabilmente mai avvenuta577, per entrambe la compagnia

drammatica è quella di Aldo Silvani, il cui nome, insieme a quello di tutti gli altri

componenti578, è segnato a matita, a fianco al rispettivo personaggio interpretato, nella

lista iniziale del copione. Ovviamente Silvani veste i panni del protagonista, Fufù. Tali indizi sono sufficientemente eloquenti dell’uso scenico fatto del dattiloscritto.

576 Il nome del teatro, che per suggestione sembra «Gher», è illeggibile. Tra parentesi uncinate si

restituiscono, oltre alle espressioni illeggibili, le rarissime parole desunte e inserite a colmare lacune evidenti.

577 Le quattro teatrografie di Gherardi già pubblicate discordano sulla data e sul luogo della prima

rappresentazione di Tragedia controluce (nel dattiloscritto del Fondo Borelli compare la data di stesura: «Bologna 1924»). Roberta Gandolfi, che ha redatto la teatrografia più recente, inserisce, con evidente svista, due volte la commedia con una leggera variazione del titolo: «Tragedia controluce, commedia buffonesca in 3 atti, Trieste, Teatro Rossetti, comp. Silvani, 6.9.1926; inedita» (R. GANDOLFI, G. MARTINI,

Le forbici di Gherardi, cit., p. 80), «Tragedia contro luce, commedia, Cesena, Teatro Comunale, comp.

Silvani, 11.3.1927; inedita» (ibidem). Le teatrografie di Silvio d’Amico, Bernard e il repertorio Teatro Italiano 68 scindono anch’esse il termine controluce (che nell’originale è invece unito). Tuttavia, solo il repertorio del Bardi registra Trieste come luogo della prima, indicando solo l’annata 1926.

La messa in scena del 1926 al Politeama Rossetti di Trieste non trova conferma nella scheda d’archivio conservata al Civico Museo Teatrale “Carlo Schimdl” (la consultazione della scheda cartacea manoscritta è avvenuta tramite una digitalizzazione gentilmente inviatami tramite posta elettronica), che testimonia anzi come il 6 settembre la compagnia Silvani fosse impegnata al Rossetti nella replica del Don Chisciotte di Gherardi.

La rappresentazione del 15 marzo 1927 al Comunale di Cesena è invece avvalorata dall’archivio digitale del Teatro Comunale “Alessandro Bonci” (consultabile all’indirizzo http://www.teatrobonci.it), ed è con tutta probabilità una replica della prima, avvenuta l’11 marzo 1927, così come si legge nel ritaglio di stampa s.n., “Tragedia controluce” di G. Gherardi a Cesena, in «Il corriere del pomeriggio», 12 marzo 1927, Fondo Borelli.

578 Cfr. la scheda d’archivio del Teatro Bonci di Cesena, che registra i nomi di J.E. Gastaldi, E. Podda, G.

Si noti inoltre come le espunzioni non riguardino solo le parti dialogiche maggiormente monologanti o dall’ispirazione più letteraria, ma anche e soprattutto quanto sulla scena è tradotto in mimica: le didascalie, in modo tale che del testo originale dattiloscritto si perdono rilevanti nessi psicologici e, a volte, anche logici.

Analogo a quello di Tragedia controluce è il caso di Ciurilo dagli occhi di fuoco, che pure presenta importanti parti di testo cassate attraverso le diciture manoscritte «togliere» o «non va», ma non restituite, tali a volte da generare disorganicità interna. Un’annotazione manoscritta sulla seconda carta recita «Versione modificata a nuovo», mentre nell’ultima si propone, sempre a matita, un finale alternativo, esclusivamente gestuale e d’impatto scenico: «Si può forse finire facendo sparire (per esempio nella stoffa) Ciurilo. Ciurilo è svanito. Palkan stupefatto mentre è avvenuto».

Si è ritenuto doveroso, tanto per Ciurilo quanto per Tragedia controluce, segnalare tali interventi inserendo le parti espunte, che non potevano essere trascurate, tra parentesi quadre, così da rendere conto dell’entità e delle conseguenze testuali degli stessi.

In questo modo, di entrambi i testi si restituisce una sorta di versione duplice, quella letteraria e quella di una o più messe in scena.

Si ricorre alle parentesi quadre per rendere conto anche altrove (sebbene i casi siano numericamente trascurabili) di parti di testo indispensabili alla comprensione dello stesso, espunte e non restituite.

Sono il primo ladrone, notturno di cui si tramandano solo due dei vari tempi annunciati dal sottotitolo, è l’unico testo che, a causa della sua incompiutezza, ha richiesto un intervento più capillare, sebbene sempre minimo, sui refusi dattiloscritti.

In coerenza con i medesimi criteri conservativi che hanno influito sulle scelte in merito a Tragedia controluce e Ciurilo dagli occhi di fuoco, si è stabilito di non intervenire sul finale di Canto a Bologna, in cui l’ingresso del personaggio/attore Paolo Stoppa è ripetuto due volte.

Sebbene degli inediti si intenda conservare in pieno la veste, anche quella più prettamente grafica, alcuni interventi sono stati apportati al fine di alleggerire l’edizione e conferirle organicità.

Per ogni testo si restituisce un solo frontespizio (più volte ripetuto nei testimoni), del quale si riproduce la formattazione originale, conservata anche, laddove presenti, per le liste dei personaggi.

Si rende omogenea la formattazione delle indicazioni di atti, scene e quadri, adottando come criterio quello della maggioranza con cui esse si manifestano in ogni singolo testo.

Le didascalie si restituiscono sempre in corsivo e si fanno iniziare sempre con la lettera minuscola quando seguano immediatamente il nome del personaggio. Omogeneità è stata conferita anche al sistema didascalico, collocando in posizione interna o esterna alla battuta le didascalie sulla base delle abitudini scrittorie dell’autore.

I nomi dei personaggi si riportano sempre per esteso, in maiuscoletto, seguiti da un trattino lungo a separarli dalla battuta.

***

Non mancano, nel Fondo Borelli, commedie in vernacolo, inedite come tutte le drammaturgie dialettali di Gherardi.

Pur segnalandone la presenza, si è preferito non procedere all’edizione di questi testi, che pone criticità che solo un parlante nativo, e con le dovute competenze anche nel campo della linguistica, può adeguatamente affrontare. Si tratta, per citarne una, del timbro delle vocali, fondamentale per la corretta restituzione della parola dialettale che Gherardi, come già accennato, non si preoccupa di suggerire variando l’inclinazione degli accenti (operazione che con la macchina da scrivere non doveva del resto essere troppo agevole).

L’edizione del teatro dialettale di Gherardi, occupazione che egli considerava minore, ma che un gran successo, soprattutto con Spanezz, aveva riscosso nel pubblico, rimane tuttavia una prospettiva di ricerca aperta alla quale ci si augura di contribuire.

***

Un doveroso ringraziamento va alla Fondazione “Lyda Borelli” che, ospitandomi nella sua casa e aprendomi le porte del suo archivio nella persona competente e cordiale del

T

RAGEDIA CONTROLUCE

commedia buffonesca in tre atti579

579 Ds. con interventi mss., con data ds.: «Bologna 1924».

Rappresentato.

2 cc. numerate a partire dalla seconda + 35, 33, 16 cc. numerate a partire dalla seconda di ogni atto. Sulla coperta del copione è presente il titolo ms. della commedia e una nota, anch’essa ms.: «Teatro filodrammatico <…> Trieste».

Sul frontespizio compare il timbro di censura del Regio Commissariato di Pubblica Sicurezza di Cesena e due note mss.; la prima recita: «Cesena 15·3·927 anno 5° vi fu la rappresentazione in Cesena. Il Commissario <…>», la seconda si riferisce al genere della commedia, definendola «3 atti caricaturali».

T

RAGEDIA CONTROLUCE

commedia buffonesca in tre atti di

Gherardo Gherardi

Bologna 1924

PERSONAGGI

ALFONSO PALICCHI, detto Fufù

ALBA, sua moglie

TEODORO

ELVIRA, sua moglie

IL BARONE GIAN GALEAZZO DELLA BERNA FRAZZETTI, corridore ciclista

CAV.SPERIONI ENRICO TRULLÀ

UNO CHAUFFEUR

Epoca presente. In un qualunque grosso borgo. Scena unica.

LA SCENA

Una sala d’angolo al primo piano del castello dei baroni di Moltarone della Berna. La sala deve essere di perfetto stile. Lumi fiorentini di bronzo e ottone. Mobili di legno nero: una tavola a destra dello spettatore, che però non impedisca il passaggio. Dietro la tavola un seggiolone. Altre sedie in giro a volontà. A sinistra un caminetto, con parafuoco ampio. Tra il parafuoco che potrà essere aperto, o chiuso, a seconda delle necessità, una poltrona. In fondo alla scena, in uno spazio lasciato libero dalla finestra una savonarola con cuscini. La finestra è ampia fino a terra e si apre su un balcone, di cui si vede il parapetto. Però la terrazza continua tanto a destra che a sinistra, per modo che non è necessario che le persone che stanno sulla terrazza siano viste sempre dal pubblico. Le porte sono tre: una a destra dello spettatore sul proscenio, che mette nella camera di Alba. Una in fondo a destra, tra la finestra e l’angolo, che serve di comune, una a sinistra in fondo, oltre il caminetto, che dà nella stanza di Fufù. In alto due quadri: uno di donna e uno di cavaliere. Dovrebbero rappresentare Paolo e Francesca. Ve ne possono essere

di più e rappresenteranno Tristano e Isotta, Ugo e Parisina eccetera. Ma bastano due. Abbisogna una tromba, una striscia di tela molto lunga con la iscrizione a caratteri cubitali: VIVA FRAZZETTI; due navajas, o coltelli a serramanico molto visibili e rumorosi all’apertura, due lanterne cieche. Altri mobili che siano necessari a seconda dell’ampiezza del palcoscenico per dare alla sala un carattere di agiatezza. Ci sia anche una poltrona moderna. Molti libri su uno stipo nero a destra dello spettatore, a canto alla tavola.

ATTO PRIMO

Scena 1

FUFÙ eALBA

[(quando si alza la tela Fufù è a canto alla tavola di destra intento a leggere uno dei molti libri che ha presso di sé. Alba è in fondo alla scena a canto alla vetrata e legge

sdrajata su una poltrona fuori stile.)]

FUFÙ – [(leggendo con enfasi)] Batte il sole nascente al bel verone,

ma al suo rosso richiamo non risponde ella perduta omai col suo garzone, nel cielo dell’amor che tutto asconde. Ed ei che l’ama, nei sospir oblia il terror della morte presta e ria.

ALBA – Ma leggi piano che mi secchi!

FUFÙ – (con una occhiata di compassione) E poi dicono che la donna prende il colore

dell’ambiente! (continuando a leggere) Il suol calpesto dalla furia indoma dei cavalli percossi par da lunge il palpito di un cuore…

ALBA – Ma, insomma, tu mi vuoi costringere ad andarmene!

FUFÙ – Mia cara, abbi pazienza: la poesia è anche musica e se…

ALBA – (alzandosi) E va bene…

FUFÙ – Ma che cosa hai oggi?

ALBA – Oggi? Ma è un anno che stai guastandoti il sangue con codeste sciocchissime

letture… Parola d’onore io non ho mai augurato male a nessuno, ma ti assicuro che maledico di cuore…

FUFÙ – Chi?

ALBA – Tutti e tutto. La tua fortuna negli affari, i tuoi quattrini, chi ti offrì di comperare questa bicocca paesana, tu che l’hai comperata, i libri che ci hai trovato e chi li scrisse… Tutto tutto…

FUFÙ – (alzandosi calmo e solenne) Senti cara, io da un pezzo ho rinunciato alla tua elevazione spirituale, ma ci tengo a dirti, ancora una volta che comperando questo castello, non bicocca, ho fatto una buona azione, perché il vecchio barone ne aveva bisogno. In secondo luogo ho soddisfatto a un mio desiderio, legittimo desiderio di uomo che ha diritto di riposare come vuole, dove vuole, e nello stile che vuole. In terzo luogo, invece di maledire i libri che leggo, i miei poemi, dico poemi, dovresti benedirli. [Eh, è inutile che tu ti agiti:] non ti ho mai amato come adesso!

ALBA – Questa è carina!

FUFÙ – Sicuro! Del resto io faccio onore alla mia firma! Quando diventai padrone di quella fabbrica di tomaje che tuo padre aveva rovinato per lasciare te tranquilla al clavicembalo…

ALBA – Al pianoforte…

FUFÙ – Io dico clavicembalo!... Allora io non fui più l’impiegato, fui un altro uomo. Tanto

è vero che prima non mi volevi e dopo mi sposasti! Lascia andare! Ora che sono il padrone del castello dei baroni della Berna di Moltarone, che quel povero vecchio mi consegnò intatto come è da mille anni, mille anni!, ti prego di fare onore alla firma. Io mi elevo… elevo me stesso e i miei sentimenti. Invece di maledire queste cose dovresti ringraziarmi, perché io ti vedo castellana, capisci? Potresti essere baronessa, capisci? Ti dovrei chiamare madonna, capisci?

ALBA – (caricaturando) Monsignore!

FUFÙ – Sicuro! C’è poco da ridere! Hai tutto per esserlo, tutto! Ricchezze, bellezza, castelli, vigna! Non ti manca che la linea. E mentre io cerco di fare…

ALBA – Il falso barone…

FUFÙ – No, io sono il barone vero. Perché la nobiltà è nel modo come si vede la vita [(battendo sui libri con la mano) Bisogna farsi un concetto, mia cara! Oh, ma è possibile che tu non senta che sei in un castello gotico, con ponte levatojo? Che tu non senta il bisogno istintivo di armonizzarti con l’arco acuto? Possibile? Tu, così bella, così flessuosa, così… madonna?]

TRULLÀ – (di dentro) Signora Alba!

ALBA – (affacciandosi alla finestra) Che c’è?

TRULLÀ – È arrivata la GAZZETTA DELLO SPORT!

ALBA – Va bene! Portala su!

FUFÙ – [(impazientito)] E parli dalla finestra come una lavandaja!

ALBA – [(irritata)] Ho capito. Sai che faccio? Io ti lascio solo tutto il giorno con i tuoi

amori celebri e io mi stabilisco al piano di sopra dalla signora Elvira.

FUFÙ – Come? Nessuna confidenza con quella gente!

ALBA – Questa è nuova! Che cosa ti ha fatto quel povero Teodoro. Non gli hai ceduto

l’azienda? Non lo hai invitato tu al castello? E adesso?...

FUFÙ – Adesso… adesso si è messo in testa di fare della politica e da quando gli hanno

fatto balenare la medaglietta, ha preso delle arie insopportabili. Chi sa che cosa crede di diventare!

Scena 2

TRULLÀ e detti

TRULLÀ – [(entrando con un giornale rosa in mano)] Mi aveva detto di portarlo su?

ALBA – [(prendendo impazientemente il giornale)] Sì! Dammi!

TRULLÀ – Allora, ho capito bene?! [(canterellando giojosa e stupida) Trullalà!]

ALBA – [Perché? Ti meravigli? Vai pure… Va’ via, Trullà!].

FUFÙ – [Non mi piace che tu la chiami Trullà! Si chiama Maria! E poi] mandala via quella

serva, mandala via! Non vedi che non ha nessuna qualità per fare l’ancella? [(si rimette a leggere il suo libro, mentre Alba sfoglia il giornale nervosamente)]

ALBA – Oh… Ecco, ecco… Hanno cambiato l’itinerario… Passano di qui, passano di

qui…

FUFÙ – [(alzando gli occhi al cielo come in estasi)] Morti!

ALBA – Fufù!

FUFÙ – [Tutti così. Morti anche loro.] Il marito li ha sorpresi e mentre si dicevano t’amo

[, non sono nemmeno arrivati al “t’a” che, zag,] il ferro li trafisse. Anch’essi hanno raggiunto lo scopo: l’eternità dell’amore!

ALBA – [Ma sicuro, sicuro]… Passano di qui, sotto le nostre finestre! Girardengo

naturalmente, Belloni, Brunero, Pratesi… Corlaita… chi si vede?… E i giovani, le speranze… Frazzetti per esempio…

FUFÙ – Morti!

ALBA – Frazzetti? Altro che morto! Vedrai che pedale! [Gilberto Frazzetti!] Gilberto Frazzetti è di ferro!

FUFÙ – Che cosa c’entra Gilberto? Io parlo di Guidobaldo e di Sirenella… [Con un

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