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Capitolo IV. Rosmini e la ri-scrittura del testo filosofico.

Le diverse edizioni del Nuovo saggio: un percorso dalla gnoseologia all’ontologia

«L‟essere ideale esige un‟attuazione infinita, sostanziale, per la quale egli abbia non solo l‟esistenza logica, davanti alla mente, ma altresì l‟esistenza assoluta, e come la chiamano metafisica, o in se medesima, esistenza piena ed essenziale; e un tal essere è l‟essenza divina. Per tal modo l‟essere necessario sussistente o metafisico, s‟identifica coll‟essere

necessario logico a cui si aggiunga

il natural suo termine; e quindi non esistono propriamente per sé due necessità, l‟una logica, l‟altra metafisica; ma una sola, la quale ad un tempo è nella mente e in se stessa»1.

4.1 Premessa

Fin qui, dopo esserci accostati al problema analizzando alcuni nuclei centrali della letteratura critica sul pensiero rosminiano sviluppatasi dopo la morte del suo autore ed aver rilevato essenzialmente due forzature di segno opposto, che hanno in qualche modo „viziato‟ la lettura del Nuovo saggio, ci siamo soffermati sulla genesi dell‟idea dell‟essere; ripercorrendo alcuni tratti della meditazione giovanile del Rosmini sul problema della conoscenza, ci siamo accorti che dopo l‟abbandono della filosofia della politica il pensatore di Rovereto, riprendendo in mano i suoi appunti sulla «Coscienza pura», giungeva intorno al 1827 ad elaborare la nozione di Forma della verità. Il suo sforzo di restaurazione ab imis, superando le incertezze delle riflessioni del 1817 - che, se non lo vincolavano a qualche forma edulcorata di sensismo (I. Mancini), lo facevano tuttavia rimanere incagliato in una sorta di idealismo psicologico (G. Solari) – lo aveva condotto ad una formulazione ancora imprecisa del suo presupposto gnoseologico. È proprio questa formulazione – come abbiamo

1 A.R

193 visto - ad essere ripresa e approfondita nel Nuovo saggio sull‟origine delle idee. In quest‟opera – lo si è detto - quelle intuizioni della precoce iniziazione filosofica hanno assunto una fisionomia più delineata: l‟idea dell‟essere è stata la scoperta di quell‟elemento formale necessario e sufficiente della nostra conoscenza. L‟uomo può conoscere solo perché possiede una tale idea. È questa infatti ad illuminare, rendendolo oggetto, il dato sensibile che „tocca‟ il nostro sentimento fondamentale. Essa rappresenta l‟elemento formale ed a priori della percezione intellettiva; è oggettiva, forma dell‟intelletto, esemplare supremo, indeterminata. L‟idea dell‟essere è conosciuta per intuizione perché antecede il giudizio; ed è, quindi, innata.

Nondimeno se quest‟idea sembra risolvere in maniera definitiva il problema della conoscenza, il suo concetto si mostra ancora per certi versi problematico: cosa significa che l‟idea dell‟essere è quell‟aspetto formale, a priori, della percezione intellettiva? E, più precisamente, cosa intende Rosmini per a priori? che valore gli dà? Spaventa - lo sappiamo - pur riassumendo chiaramente la fisionomia che Rosmini ha voluto dare alla sua idea dell‟essere2, rifiuta, ritenendola aporetica la teoria dell‟intuito, e fa – e con lui tutta la sua scuola - di questa forma a priori l‟equivalente delle forme a priori di Kant. Ma l‟a priori di Kant non è innato come quello rosminiano. Quest‟ultimo non è dunque forma trascendentale; non è categoria nel senso kantiano.

Ma se da una parte l‟innatismo dell‟idea dell‟essere dovrebbe segnare la più netta e recisa differenza fra l‟a priori kantiano e l‟a priori rosminiano, dall‟altra, occorre precisare ulteriormente che cosa significhi con esattezza questa innatezza. Nelle pagine precedenti ci siamo chiesti se nel considerare l‟idea dell‟essere innata Rosmini si sia mantenuto più vicino alla tradizione

2«Questo concetto - egli scrive - è l‟Ente, l‟idea dell‟Ente, dell‟Ente come semplice Ente, cioè

come puramente possibile, comunissimo, indeterminato. Esso non è il risultato del giudizio, ma anteriore ad ogni giudizio, perché ogni giudizio lo presuppone. Come anteriore ad ogni giudizio e perciò ad ogni conoscere, non è fatto, non è esperienza ma qualcosa che trascende il

fatto, l‟esperienza, il reale conoscere; cioè come dice Rosmini un‟idea innata, l‟unica idea

innata. Così esso è la forma dell‟intelletto, quel che fa intelletto l‟intelletto, la possibilità dell‟intelletto e quindi del conoscere» (B.SPAVENTA, La filosofia italiana nelle sue relazioni

con la filosofia europea, cit., p. 154). Abbiamo già visto come questa descrizione corretta del

concetto rosminiano dell‟idea dell‟essere non abbia impedito a Spaventa ed a tutta la sua scuola di fare di Rosmini il Kant italiano.

194 razionalistica da Cartesio in poi; se il Filosofo sia „tornato‟ o meno dalla soluzione critica del problema della conoscenza ad una posizione pre-critica, pur rimanendo nella linea dello gnoseologismo razionalistico ed empiristico, di cui – come abbiamo detto – proprio il criticismo di Kant è una tappa decisiva; ci siamo chiesti anche se - come ha rilevato Carabellese – Rosmini nella ricerca dell‟origine delle idee, ammettendo più del necessario, come tutta quella schiera di filosofi, da Platone a Kant che egli ha criticato nella prima parte del Nuovo saggio, abbia «peccato per eccesso»3.

D'altra parte non solo l‟elemento formale della percezione intellettiva presenta delle difficoltà: anche la parte materiale, il sentimento, il soggettivo ha bisogno di essere chiarito ulteriormente. Abbiamo visto come Rosmini ci ha dimostrato che «le sensazioni suppongono una causa diversa da noi. I fatti passivi – egli ci dice – sono azioni fatte in noi, delle quali noi non siamo la causa. Le azioni fatte in noi di cui noi non siamo la causa, suppongono una causa diversa da noi, pel principio di causa. Dunque le sensazioni suppongono una causa diversa da noi; ciò che era da dimostrarsi»4. Ciò che resta problematico in questo ragionamento non concerne soltanto l‟applicazione del principio di causa – che sarebbe certamente consentita da una epistemologia che, diversamente da quella kantiana, ha il suo fondamento nell‟essere ideale come forma della mente -, ma anche se possa essere attribuita la soggettività, o sostanzialità, alla causa, estranea a noi, delle sensazioni. La difficoltà sta nel pensare fuori di noi il rapporto tra il «sentimento intellettivo» ed il «sentimento fondamentale corporeo», e nell‟ambito di questo tra il «senso interno» ed il «senso esterno». In sostanza il problema può essere espresso in questi termini: di tutte le sensazioni che colpiscono i miei sensi, di alcune noi siamo la causa - come ci dice Rosmini –, di altre invece noi siamo soltanto il soggetto. Ma

3 Carabellese critica l‟innatismo rosminiano e conclude che il Nostro filosofo «nella ricerca

dell‟origine delle idee e, per tutte queste, di quella sola dell‟essere, di fronte alla difficoltà incontrata della inconseguibilità di alcuni caratteri delle idee dalle sensazioni, snatura le idee in quanto fattizie, quali egli le riconosce, ne ammette innata una sola, ma tale che tutte le altre tragga in parte nell‟ambito della sua natura. Inoltre egli così, a superare la difficoltà incontrata, assume più di quel che è necessario, contravvenendo ad un principio che egli stesso si era imposto ed in base al quale aveva fatto la critica dei sistemi gnoseologici precedente al suo (cfr. P.CARABELLESE, Teoria della percezione intellettiva di A. Rosmini, cit., pp. 70-76 qui p. 75).

4 A.R

195 allora di quelle di cui noi siamo solo il soggetto come è possibile dire che hanno come causa una sostanza estranea a noi? Chi ci dà il diritto di attribuire una causa esterna a noi alle sensazioni che io subisco e di cui non sono io la causa? Non cade forse – senza accorgersene – il Roveretano in un sofisma quando attribuisce alle cause del nostro senso esterno, ossia delle nostre sensazioni, quella medesima sostanzialità, anche se non in ogni caso quella medesima soggettività completa, che appartiene soltanto alla sintesi primitiva del sentimento intellettivo e del sentimento fondamentale corporeo? Lo abbiamo notato: egli intende il corpo eterno – anche inanimato – come un ente che produce un atto che noi percepiamo come immanente nella sostanza medesima. È proprio in ragione di questa estraneità che egli lo chiama - con una parola negativa – «estrasoggetto». Ciò che è implicito nell‟uso di questo termine è che appunto il primo atto dei corpi sentiti, che li costituisce enti reali, «ci rimane incognito e da noi deve essere supplito, acciocché lo possiamo intendere». Ma l‟estrasoggettivo non è percepito da noi «se non per una sua azione sentimentale in noi, e perciò sebbene ciò che percepiamo sia estrasoggettivo, tuttavia nel modo di percepirlo, vi si mescola del soggettivo, cioè del nostro stesso sentimento, e se non si separa c‟è illusione»5

. Quel sofisma era lo scoglio di tutti i tentativi di soluzione del cosiddetto problema gnoseologico del «passaggio», o del «ponte» dalla rappresentazione alla realtà, dal soggettivo all‟estrasoggettivo. Problema che Rosmini – come abbiamo visto – imputava, forse troppo frettolosamente, ad un certo modo di esprimersi metaforico che rendeva poco chiara la questione ideologica, lasciando intravvedere che si trattasse di uno pseudo problema. Sembrerebbe quasi dire il Roveretano: non esiste il problema del «passaggio» dal soggettivo all‟estrasoggettivo, perché fin da principio ci troviamo nell‟unità dell‟esperienza che li comprende entrambi. Ma l‟esperienza è sempre „fatta‟ da un soggetto; come possiamo parlare allora di oggettività della conoscenza? Di fronte a questa che potrebbe sembrare – e in parte lo è - una accettazione della generale istanza coscienzialistica del pensiero moderno, come garantire la conoscenza oggettiva? E qual è il „collante‟? Cos‟è che permette l‟incontro fra l‟elemento materiale e quello formale della conoscenza? Come spiegare

196 quell‟attitudine della realtà esterna a farsi conoscere? Si tratta di una animazione universale? E quale potrebbe essere il significato, il motivo che spingerebbe anche un ente inanimato a farsi incontro a noi? Chi lo doterebbe di questa «attitudine» a farsi conoscere?

Sono queste questioni capitali quelle che hanno prestato il fianco – come abbiamo visto - alle più diverse ed opposte interpretazioni. Questioni a cui non è facile rispondere. Del resto sia l‟insistenza con cui Rosmini sottolinea il carattere sistematico delle proprie ricerche sia la difficoltà del dettato rischiano di impedire a chi si accosta al suo pensiero una corretta comprensione del significato; la tentazione di ricorrere a sintesi più o meno affrettate è sempre dietro l‟angolo, con il risultato di trascurare l‟articolazione progressiva delle indagini. In effetti una tale articolazione, consentendoci di ricostruire il tessuto genetico del suo pensiero, risulterebbe molto utile per una più esatta comprensione della reale portata e dimensione della proposta rosminiana. Forse è proprio questa una delle cause per cui abbiamo assistito da un lato alla „riduzione‟ negli schemi del kantismo di tutta la sua speculazione ideologica, dall‟altro alla schematizzazione dell‟intera speculazione rosminiana come un percorso che si articola, in buona sostanza, dalla gnoseologia, rappresentata dal Nuovo saggio, alla ontologia e alla meditazione morale, rappresentate dalle opere della maturità. Nel primo caso l‟esito è stato di considerare - come abbiamo detto - tutti i „conati‟ metafisici contenuti nella teoresi rosminiana come qualcosa di „appiccicaticcio‟ al “vero” Rosmini ed avulso dalla vera scienza; nel secondo caso il Nuovo saggio ha finito con l‟essere considerato solo la „premessa‟ all‟ontologia, quel «preliminare ideologico», importante solo per la comprensione del Rosmini” vero”, che «va cercato altrove» nelle opere successive e soprattutto nella Teosofia. Ciò che entrambe queste posizioni tralasciano non è soltanto la vera portata del Nuovo saggio, ma soprattutto esse rischiano di precludersi la strada verso la comprensione di una delle istanze fondamentali dell'ideologia rosminiana: il suo essere accesso alla metafisica; vale a dire, il suo essere già, in quanto meditazione gnoseologica, discorso intorno all‟essere e, dunque, ontologia.

L‟ideologia rosminiana sconfina nella metafisica e il terreno di questo sconfinamento è l‟ontologia. Essa, infatti, se la si considera in un orizzonte prettamente gnoseologico risulta problematica; non riesce a dare ragioni

197 sufficienti di sé. Le difficoltà che abbiamo rilevato possono trovare una soluzione adeguata solo in un terreno che da gnoseologico si fa metafisico, dunque in un terreno ontologico.

Abbiamo già colto questo dinamismo all‟interno degli scritti che hanno preceduto la scoperta dell‟idea dell‟essere. Dinamismo che abbiamo definito – forse in maniera non del tutto chiara – „oscillazione del piano dell‟indagine‟, quando abbiamo notato che la nozione di Forma della verità, per non rimanere nell‟impasse dell‟«idealismo psicologico» della Coscienza pura doveva ancorarsi, pur non potendo coincidere con essa, alla sussistenza divina. Il discorso si è fatto così „oscillante‟; il piano ideologico ha intersecato quello metafisico. Era questo il problema che Rosmini doveva affrontare: il discorso non poteva svolgersi interamente sul terreno ideologico, ma non poteva assumere nemmeno una connotazione metafisica chiara; per sfuggire allo psicologismo Rosmini doveva ammettere un criterio oggettivo, una verità presente alla mente, ma trascendente la mente stessa. Ma la Forma della verità, in quanto «pura regola della mente», se da un lato sembrava aver risolto il problema dell‟oggettività e dunque della socialità della coscienza, dall‟altro non poteva dirsi indipendente dalla sussistenza di Dio, pur non potendosi identificare con essa. Possiamo dire „solo‟ «che Egli è, ma non come Egli è» - ci aveva detto Rosmini -. Ma se nell‟Essere infinito essenza ed esistenza coincidono, come è possibile affermare che «Egli sia, senza dire anche, in qualche modo, come Egli sia»? Era questo il significato ancora oscuro con il quale il Roveretano cercava di connotare la nozione di Forma della verità, dandogli quei caratteri divini che abbiamo visto. Ed era questo il nodo problematico che il filosofo doveva dipanare e chiarire con il Nuovo saggio. Senza chiarire il nesso fra la Forma della verità e la sussistenza divina, a cui questa restava comunque in qualche modo vincolata, l‟ideologia rosminiana rischiava di rimanere incagliata o in un idealismo psicologico o in un ereticale ontologismo. Superare questa difficoltà significava stabilire un nesso nuovo fra ideologia e metafisica. La domanda che dobbiamo porci allora è questa: è riuscito Rosmini in questo compito? È questo il problema da sciogliere. Per affrontarlo e non rischiare di giungere a soluzioni frettolose, occorrerà partire da ciò che la critica ha spesso trascurato, cioè dall‟articolazione progressiva del pensiero rosminiano ed esattamente dal precisarsi di alcuni termini che il

198 filosofo „ri-calibra‟ nella revisione delle varie edizioni del Nuovo Saggio. Una revisione continua, che ha abbracciato un arco di tempo lungo, dal 1830 fino al 1852. Periodo che, come è noto, ha visto l‟Autore affrontare ed esplorare tutti gli ambiti della filosofia. Così il susseguirsi delle sue scoperte nell‟antropologia, nella psicologia, nella metafisica, non può non avere avuto ricadute su quella che abbiamo voluto definire la „ri-scrittura‟ del testo filosofico del Nuovo saggio. Il Nuovo saggio precisa il suo contenuto interagendo con le altre regioni del pensiero rosminiano. Regioni che il filosofo a poco a poco sviluppa nella sua piena maturità filosofica. Ma questa interazione non è unidirezionale: anche le opere della maturità devono „fare i conti‟ con il precisarsi del contenuto del Nuovo saggio. In questo senso seguire il progressivo precisarsi del testo di questo importante lavoro di Rosmini diviene utile anche per la comprensione delle altre sue opere6. Vedere come Rosmini scioglie nel Nuovo saggio il nodo problematico rappresentato dal nesso fra ideologia e metafisica, potrebbe illuminare tutto l‟itinerario speculativo rosminiano.

Se le cose stanno così, diviene allora necessario rispondere all‟interrogativo che ci siamo posti – e qui tenteremo di fare solo questo -, prima di allargare il campo alle opere successive: Rosmini nel Nuovo saggio è riuscito nel suo tentativo di ripensare il nesso fra ideologia e metafisica? Con la nozione di idea dell‟essere il Roveretano supera l‟impasse in cui abbiamo visto „precipitare‟ la nozione di Forma della verità? È questo il problema che ci poniamo in queste pagine. Detto in altri termini, è possibile ridefinire il rapporto fra ideologia e metafisica attraverso quel principio (di connotazione minima) che il Roveretano elabora nel Nuovo saggio? E l‟idea dell‟essere – questo principio appunto di connotazione minima - può essere pensata come la radice del conoscere e, nello stesso tempo, come la radice fondante il soggetto conoscente. Che valore hanno l‟idea dell‟essere e il sentimento fondamentale? Se il loro significato si restringe nei termini ideologici, tutte le difficoltà che abbiamo evidenziato non si risolvono; se invece il loro valore è gnoseologico e

6 Nei limiti del presente lavoro non potremo entrare in dettaglio sulla ricaduta che la revisione

del testo del Nuovo saggio ha avuto nelle altre opere. Tale ricaduta si scorgerà tra le righe. Ci soffermeremo invece in modo particolare sul ridefinirsi del contenuto del Nuovo saggio attraverso alcune varianti che prenderemo in esame fra una edizione e l‟altra.

199 metafisico ad un tempo, rimane il problema di giustificare la presenza in una mente finita di un principio metafisico che, in quanto tale, è trascendente e infinito. Ma è pensabile una presenza che sia nello stesso tempo immanenza e trascendenza?

Come si vede sono questioni capitali, che certamente non abbiamo la pretesa di esaurire. Tenteremo di abbozzare qualche risposta attraverso alcune suggestioni che abbiamo ricevuto dal confronto delle diverse edizioni del Nuovo saggio. Ciò ci consentirà di muoversi sul terreno dell‟interpretazione con il vantaggio di restare ancorati a riferimenti puntuali. Nelle pagine che seguiranno, dopo aver ristretto il campo della nostra indagine solo a quelle riedizioni realmente rimaneggiate da Rosmini e dopo alcune osservazioni di carattere generale sulle differenze che si riscontrano fra una edizione e l‟altra, prenderemo in esame alcune varianti che, se valutate attentamente, assumono una forte connotazione teoretica. Il metodo dunque dell‟indagine sarà filologico e teoretico ad un tempo. Il tentativo sarà quello di vedere come questi mutamenti precisano il contenuto del Nuovo saggio, dando al testo una connotazione metafisica, che converte il terreno ideologico in discorso sull‟essere, quindi in ontologia. Quel che ne potrebbe risultare è che attraverso la „ri-scrittura‟ del testo sia possibile intravedere un percorso che conduce il Rosmini autore/rielaboratore del Nuovo saggio dall‟ideologia all‟ontologia.

Dopo aver circoscritto il campo della nostra indagine solo ad alcune delle edizioni del Nuovo saggio che si sono susseguite nell‟arco della vita di Rosmini (Punto A), non prenderemo in esame tutte le varianti7 – tantissime –

7 Non prenderemo in esame tutte le varianti che nel nostro lavoro di confronto delle diverse

edizioni abbiamo riscontrato. Non stiamo curando infatti l‟edizione critica del testo. Chi lo ha fatto si è attenuto ad altri criteri: si è voluta riproporre fedelmente l‟ultima edizione, correggendo in qualche modo l‟edizione nazionale, che accorpando i numeri di due paragrafi ha ridotto di una unità la numerazione complessiva dell‟opera. In realtà, il progetto di segnalare – come sarebbe stato giusto – le varianti delle diverse edizioni è stato abbandonato, sia per la complessità del lavoro e la difficoltà della pubblicazione, sia per la scarsa rilevanza che spesso in ambito critico si è voluto dare a tali variazioni. Nell‟Archivio Rosminiano di Stresa, fra i lavori preparatori all‟Edizione Critica e Nazionale dell‟opera esiste, in realtà, del materiale in cui si è abbozzato un lavoro sulle varianti. Si tratta per lo più di segnalazioni riportate su copie anastatiche delle diverse edizioni e di qualche appunto manoscritto. Purtroppo, vista la difficoltà di accedere all‟Archivio, abbiamo potuto dare solo un‟occhiata veloce a questo materiale. Chi conserva dovrebbe comprendere che è un servizio per chi vuole studiare e

200 che abbiamo riscontrato conducendo il confronto sulle edizioni esaminate, ma ci limiteremo, dopo alcune considerazioni di carattere generale (Punto B), a valutare solo alcuni dei mutamenti terminologici riscontrati, quelli cioè che rivelano uno spessore teoretico e che, ad una attenta riflessione, ci pare spostino il piano della teoresi rosminiana facendola “sconfinare” nella

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