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Parte seconda – Un traduttore nel suo contesto

Nel documento Tradurre Lucrezio: (pagine 63-120)

Premessa

Lo scopo di questa Parte seconda è da un lato quello di presentare la vita e l’opera di Alessandro Marchetti, con un riguardo particolare, come è ovvio, per il volgarizzamento del De rerum natura, e dall’altro di contestualizzare il traduttore e la traduzione in un tempo e in una società che hanno molto da aggiungere, come si vedrà, a un’analisi della versione che si vuole storicamente fondata. Si può dire quindi che l’approccio, o per meglio dire, il taglio del nostro esame sarà coerente con quello seguito nella Parte prima; alla visione forzatamente diacronica, tuttavia, che si è resa indispensabile per seguire, senza peraltro sondarla in profondità, la costruzione dell’identità lucreziana attraverso sedici secoli, ne sostituiremo una sincronica volta a precisare in che termini si ponesse il Marchetti rispetto agli ambienti culturali da lui frequentati e quali influssi poterono avere questi ultimi sul pensiero e sul lavoro del matematico toscano.

La nostra attenzione dovrà quindi necessariamente soffermarsi sulla personalità del volgarizzatore, di cui forniremo anche un sintetico profilo biografico inteso a chiarire, più che il dato anagrafico, di per sé sterile, le contingenze con le quali il Marchetti stesso dovette confrontarsi e quali ricadute alcune di queste circostanze poterono avere sulla traduzione di Lucrezio. Del Marchetti richiameremo anche l’attività di poeta in proprio che, come era facilmente prevedibile, si pose fin da subito in un rapporto osmotico con quella del traduttore in versi. Dovrà essere dedicato spazio, inoltre, alla produzione scientifica del matematico e filosofo Marchetti, non tanto per un interesse intrinseco delle sue opere di geometria, fisica e astronomia, quanto perché anche attraverso di esse fu filtrato un pensiero che certo non concepiva l’impegno culturale e artistico come ripartito in compartimenti stagni, ma che fu, invece, uno degli ultimi e più chiari esempi dell’unitarietà del sapere che andava incontro, proprio in quegli anni, a un’irrimediabile frammentazione delle conoscenze e delle competenze.

Si dovrà poi riflettere sul contributo specifico che la professione del nostro traduttore, docente universitario, poté apportare a una versione la cui realizzazione dovette porsi, come ogni prima resa di un’opera antica in una lingua moderna, inevitabilmente e programmaticamente – almeno dal punto di vista linguistico – come la risposta a un’esigenza di divulgazione. Da questo punto di vista non sarà irrilevante precisare la posizione del Marchetti nel quadro della ripresa e dello sviluppo che gli studi sull’atomo e la materia conobbero in tutta Europa proprio in quegli anni. Diatribe e querelles contraddistinsero il dibattito scientifico, in Toscana come altrove, forse più di quanto noi contemporanei saremmo disposti a concedere, e rappresentarono una componente costante e forte della vita degli eruditi tanto da arrivare a impattarne la quotidianità. Un ambiente caratterizzato da repliche polemiche, difese accorate, accuse feroci e, in alcuni casi, veri e propri processi non poté non lasciare un segno sul carattere del nostro autore che, nei modi e nelle forme che vedremo, giunse probabilmente a concepire la propria realizzazione artistica come una modalità di espressione e quindi di comunicazione e, allo stesso tempo, come una preziosa opportunità di evasione.

Forti anche dei risultati ottenuti nella Parte prima e consapevoli della difficoltà supplementare che la complessa e debole identità di Lucrezio poteva rappresentare per chiunque si

avviasse a tradurlo per la prima volta, cercheremo di approfondire e studiare il rapporto tra il Marchetti e il poeta latino, mettendo in evidenza, ogni volta che si darà il caso, quelle consonanze concettuali e spirituali che il nostro volgarizzatore si preoccupò così risolutamente di negare in varie occasioni, non ultima la Protesta del traduttore a’ lettori. Si vedranno quindi quali fossero gli ostacoli più concreti sul cammino del matematico e in che modo questi si dimostrarono a un certo punto insormontabili tanto da compromettere la pubblicazione di un’opera per lui così cara e che poté vedere la luce, nonostante i molti suoi sforzi, soltanto tre anni dopo la sua morte e, per giunta, in terra straniera.

Ci muoveremo quindi attorno ai fondamentali nuclei tematici dei rapporti del Marchetti rispettivamente con la cultura scientifico-filosofica, gli ambienti letterari, i circoli poetici e la Chiesa del suo tempo. Pur nel rispetto dell’unicità del primato temporale detenuto de facto dalla versione marchettiana, si cercherà di individuarne i punti di contatto con altri aspetti degli studi lucreziani coevi o immediatamente precedenti e di collocarla in un più vasto contesto di produzione e dibattito culturale. Successive riflessioni riguarderanno l’inserimento, senza rigidità, del Marchetti poeta e traduttore nelle correnti letterarie del XVII e XVIII secolo. La fortuna e il successo riscossi dal Della natura delle cose saranno rapportati anche alla sua messa all’Index dei libri proibiti da parte della Congregazione dell’Inquisizione e alle successive traduzioni del poema lucreziano per le quali quella marchettiana rappresentò un modello con il quale era impossibile non confrontarsi. Troverà quindi spazio in questa Parte seconda un breve esame delle edizioni della versione del Marchetti, tra le quali spicca quella curata da Giosuè Carducci nella seconda metà dell’Ottocento. Dei primi accenni alla ricezione critica, che saranno sviluppati ulteriormente nella Parte terza, potranno contribuire da un lato a chiarire l’impatto del lavoro del traduttore sulla tradizione letteraria nazionale e dall’altro a sottolineare il valore di un prodotto dalle innegabili qualità artistiche.

La vita di Alessandro Marchetti

Si rende a questo punto necessario fornire una sintetica biografia del Marchetti: al dato anagrafico, presentato preliminarmente proprio all’inizio di questa Parte seconda, si cercherà nei paragrafi successivi di affiancare degli approfondimenti tematici che potranno illuminare alcuni aspetti della vita del traduttore, qui presentati solo sinteticamente, con speciale attenzione in primo luogo per le opere, il contesto scientifico-culturale in cui si mosse, la tradizione letteraria nella quale si inserì e i suoi rapporti con la Chiesa cattolica. Allo stesso tempo, dell’esistenza del Marchetti ci limiteremo a segnalare soltanto le circostanze e gli avvenimenti più significativi che possono contribuire a illustrare i molteplici interessi e la personalità di un uomo complesso che si impegnò su più fronti diversi.

Alessandro Marchetti, «di capel biondo, d’occhi assai cilestri, ma vivaci, e sì perfetti, che mai non ricorse agli occhiali»278, nasceva a Pontormo279, l’odierna Pontorme, nell’empolese, il 17

278 Cfr. MARCHETTI F. 1755, p. 55.

279 Queste le coordinate della frazione così come riportate in ZENO 1715, p. 214: «Pontormo, antichissimo castello, posto sulla strada maestra, che conduce da Firenze a Pisa, lontano dalla prima delle dette città circa quindici miglia, e dalla seconda intorno a venticinque».

marzo del 1633280. La famiglia Marchetti, quando Alessandro venne alla luce, era discretamente abbiente e apparteneva a quella che oggi si chiamerebbe la classe media. Il nostro traduttore era dunque un «uomo della piccola borghesia toscana impinguata con qualche commercio e pronta a legar parentele col patriziato fiorentino»281. È dunque da considerare come non storicamente fondata la ricostruzione araldica che si legge nell’Elogio del signor Alessandro Marchetti pubblicato nel 1715 sul «Giornale de’ letterati d’Italia»282 . Il padre Angelo, borghese, aveva preso in moglie Luisa di Filippo Bonaventuri una donna, lei sì, di alto rango283. Sembra che Angelo Marchetti consumasse gran parte delle sostanze familiari; ad ogni modo egli morì quando Alessandro non aveva ancora compiuto un anno.

Rimasta vedova, Luisa Bonaventuri «era rientrata nel suo naturale ambiente fiorentino»284 e vi aveva condotto anche i figli: il nostro dovette quindi raggiungere il capoluogo toscano molto presto, probabilmente intorno all’età della scolarizzazione o poco prima. Il piccolo Alessandro si dimostrò fin da subito ben disposto verso gli studi umanistici, distinguendosi per passione e speditezza nella lettura tanto della prosa quanto della poesia285. L’infanzia del Marchetti era però destinata a essere segnata da un secondo grave lutto, quello della madre Luisa, che colpì il futuro traduttore appena alle soglie dell’adolescenza.

Sembra che gli anni successivi siano stati più difficili per il giovane letterato. Venuta meno la figura materna, la famiglia ebbe come nuovo punto di riferimento Antonio Marchetti, fratello di Alessandro, «forse più per il privilegio della maggiore età che per il vigore dell’ingegno»286. Il primogenito Antonio, infatti, che aveva studiato Legge ed era poi entrato a far parte dello studio legale dello zio materno avvocato Zanobi Bonaventuri287, aveva una forma mentis del tutto diversa da quella che Alessandro stava sviluppando e orientò il fratello minore verso attività più concerete e redditizie anche in vista di un sempre più necessario e impellente risanamento delle casse famigliari

280 Si accoglie dunque come data di nascita quella riportata in ZENO 1715, p. 218: «in quello stesso castello nacque adunque il nostro Alessandro il dì 17. di Marzo l’anno 1633» e confermata anche dalle ricerche di Cesare Ghetti di cui dà conto SACCENTI 1966, p. 25, n. 1. Curiosamente riporta la data dell’anno prima il figlio Francesco, cfr. MARCHETTI

F. 1755, p. 18: «dirò, che il mio carissimo Genitore nacque nella sua Villa di Pontormo il dì 17. Marzo 1632 d’Angelo Marchetti e di Luisa Bonaventuri (checché altri abbiano scritto, ch’egli nascesse nel 1633)».

281 Così SACCENTI, 1966, p. 25.

282 Così infatti in ZENO 1715, p. 216: «ora ebbe anticamente il detto castello di Pontormo i suoi naturali signori chiamati i Conti di Pontormo, come può vedersi in Ricordano Malespini; e da questi per diretta linea mascolina discende il nostro Signore Alessandro, i cui antichi progenitori…»; similmente MARCHETTI F. 1975, p. 18: «la Famiglia Marchetti […] gode la Nobiltà di Pisa, e di Pistoja, e la Bonaventuri quella della Città di Firenze».

283 ZENO 1715, p. 218: «sua madre Luisa Bonaventuri, famiglia Fiorentina, anch’essa non solo nobile, ma con molte delle più illustri e di Firenze, e d’Italia in legame di parentela strettamente congiunta, fra le quali, per tacere di molte altre, sono quelle degli Albizzi, de’ Martelli, de’ Bentivogli, de’ Balugoli, degli Sforzi Visconti, ec.».

284 Cfr. SACCENTI 1966, p. 26; allo stesso modo MARCHETTI F. 1755, p. 18: «Ella [scilicet la Bonaventuri] desiderosissima di rimpatriare, condotta la picciola Famigliuola a Firenze, […] non mancò di dare alla ſua Figliuolanza quella maggior educazione, e indirizzo, che a nobile, e saggia Donna si conveniva».

285 Al riguardo si veda ZENO 1715, p. 218: «condotto poi Alessandro a Firenze, e quivi pervenuto all’età di potere apprender le prime lettere, attese ad impararle di tanto gusto, che di sette anni leggeva così franco, e così appuntato, non solo i libri di prosa, ma quegli altresì di poesia, che rendeva ciò maraviglia a chi l’ascoltava».

286 Tale è il giudizio di SACCENTI 1966, p. 26.

287 A proposito dello zio, MARCHETTI F. 1755, p. 19 scriverà: «Antonio appena fatti i suoi sudj in Pisa, nell’una e nell’altra Legge dottorato si pose nello Studio del predetto Zanobi Bonaventuri, e quivi ben presto addivenne sì valente, ed esperto, che l’amorevole Congiunto stimò suo avvantaggio il prenderselo per Compagno nell’Avvocatura».

ormai da anni semivuote288. Il Marchetti fu dunque impiegato per un certo periodo in un negozio in qualità di apprendista. La mercatura, però, non era chiaramente destinata a essere la sua strada e, dopo un divertente incidente che fu provocato dall’indole lirica del ragazzo e sul quale torneremo tra qualche pagina, anche il pragmatico Antonio dovette farsene obtorto collo una ragione289.

Dopo la débâcle nel mondo degli affari, quest’ultimo decise di avviare il cadetto agli studi giuridici così che potesse nel tempo seguire le sue orme e divenire un comodo aiuto nello studio di famiglia. Alessandro fu dunque «messo a studiare le Leggi sotto la direzione di Agostino Libri, allora pubblico Professore di esse nello Studio Fiorentino; ed a queste egli attese per qualche tempo con non mediocre applicazione»290. Sebbene li trovasse meno odiosi dell’attività commerciale, il Marchetti non fu entusiasta neppure dei precetti impartitigli dal Libri. Certo, egli dimostrò di riuscire ad applicarvisi meglio291, ma con il passare del tempo «l’entusiasmo dei primi studi cedette alla svogliatezza, e la frequenza alle lezioni andò diradandosi»292. La verità è che il vero interesse di Alessandro, in tutti quegli anni, era rimasto lo stesso: egli, da quando aveva appreso a leggere, si era appassionato alla letteratura con costanza di intenti e passione sempre crescente.

Come ricorda giustamente Cesare Preti, «le fonti sono concordi nell’affermare che il suo destino fu segnato dall’incontro con il principe Leopoldo de’ Medici»293. Leopoldo, uomo di notevole cultura, sarebbe divenuto anni dopo cardinale e avrebbe avuto un ruolo chiave, come si vedrà, nelle infelici sorti del Della natura delle cose. Ciò si spiegherà con un brusco cambio di atteggiamento del principe mediceo che pure si era distinto come fondatore dell’Accademia del Cimento, importante istituzione scientifica toscana di ispirazione galileiana294. Ad ogni modo, quando il Marchetti aveva circa vent’anni, Leopoldo, in quanto fratello del granduca Ferdinando II, era un personaggio assai influente ai vertici dell’aristocrazia toscana e nazionale, «generoso verso poeti e letterati»295. Non appena negli ambienti culturali toscani iniziarono a giungere, insieme ai

288 Questa la spiegazione che si legge in MARCHETTI F. 1755, p. 19: «pure dal prenominato Antonio suo Fratello, che bramava di ristorare i danni grandissimi cagionati alla casa dal Padre, per la soverchia brama di spendere, e per le mallevadorie prestate in grosse somme, destinato lo avea alla Mercatura».

289 Sulle tensioni fra i due fratelli, SACCENTI 1966, p. 26: «Antonio, dopo un tempestoso periodo di sdegni e minacce, finì per piegare alle reiterate e vivacissime pressioni del fratello minore».

290 Spiega così il passaggio dal commercio agli studi legali ZENO 1715, p. 220. Il nome di Agostino Libri, a dire il vero, si legge soltanto in ZENO 1715, mentre MARCHETTI F. 1755 e SACCENTI 1966 sono concordi nello scrivere «Lorenzo Libri».

291 Ricorda i progressi MARCHETTI F. 1755, p. 19: «con la direzione de’ Libri fece Alessandro nell’Instituta progressi molto considerabili».

292 Cfr. SACCENTI 1966, p. 27. Così invece MARCHETTI F. 1755, p. 20: «cominciò, con destrezza, per la suggezion del Fratello, a diminuire a poco a poco l’applicazione della Legge, ed in quella vece si diede alla Lettura dei Poeti, tanto Latini, che Toscani del miglior secolo».

293 Cfr. Cesare Preti, Marchetti, Alessandro, in DBI, vol. 69, 2007, ad vocem.

294 L’Accademia del Cimento fu istituita nel 1657 per volere di Leopoldo de’ Medici. Essa riunì in un consesso alquanto informale alcuni discepoli e successori di Galilei. Ne fece parte, fra gli altri, anche Giovanni Borelli, maestro del Marchetti; quest’ultimo non sembra esserne stato un membro attivo, ma risentì senza dubbio delle opinioni e delle discussioni in seno all’Accademia. L’istituzione cessò di riunirsi esattamente dieci anni dopo la sua fondazione, nel marzo del 1667, anno in cui Leopoldo fu creato cardinale.

295 Così Alfonso Mirto, Leopoldo, Medici de’, in DBI, vol. 73, 2009, ad vocem, al quale si rimanda per un esauriente profilo biografico. Mirto prosegue scrivendo che: «molte sono le opere pubblicate per suo interessamento», verrebbe da aggiungere che il De rerum natura tradotto dal Marchetti sarebbe certamente tra queste se non fosse stato proprio per uno straordinario voltafaccia dell’ormai cardinale Leopoldo.

primi componimenti, anche le prime voci sul talento di Alessandro, questi poté «ottenere per mezzo del Serenissimo Cardinal Leopoldo de i Principi di Toscana, e Protettore dello Studio Pisano, di sempre gloriosa ricordanza, un luogo di Scolare nella Sapienza di Pisa»296.

Con l’aiuto, probabilmente anche economico, di Leopoldo de’ Medici, il Marchetti proseguì dunque gli studi universitari a Pisa, sede all’epoca di uno dei più interessanti e vivaci dibattiti scientifici della modernità di cui daremo conto più avanti. Qui il giovane letterato poté essere introdotto alla filosofia aristotelica da Alessandro Marsili da Siena e Canonico Maffei da Pisa: le fonti sulla vita del Marchetti, consce delle posizioni polemiche che questi avrebbe assunto successivamente nelle diatribe cui si è accennato, si curano di specificare che, all’epoca, quella peripatetica era l’unica filosofia a essere insegnata297. Nonostante le costrizioni, l’ambiente pisano rappresentò senza dubbio una ventata d’aria fresca per il giovane Alessandro; gli stimoli che qui ricevette contribuirono in maniera decisiva alla costituzione di un bagaglio di esperienze ricco ed estremamente variegato. Più di ogni altra cosa, forse, gli anni universitari furono segnati da alcuni significativi incontri che avrebbero influenzato in modo determinante le opinioni e la personalità del Marchetti, primo fra tutti l’incontro con Giovanni Alfonso Borelli298.

Il napoletano Borelli occupava la cattedra di matematica dello studio pisano dal 1656, anno in cui aveva sostituito Famiano Michelini, a sua volta epigono di Galilei. L’incontro con il professore, che lo prese sotto la sua protezione299, fu decisivo per il Marchetti e comportò una rivalutazione della filosofia da parte del discepolo e un rilevante ampliamento di orizzonti di cui si dirà a proposito dei rapporti che questi ebbe con la comunità scientifica del suo tempo. Anche grazie all’interessamento del maestro, oltre che all’intercessione del principe Leopoldo, Alessandro ottenne, ancora prima di concludere gli studi, una lettura straordinaria in Filosofia300. Laureatosi in Filosofia e Medicina nel 1659, appena ventiseienne il Marchetti fu poi investito della lettura straordinaria di Logica. L’anno seguente la sua carriera accademica conosceva un’ulteriore accelerazione e gli veniva offerta la cattedra straordinaria di Filosofia301 che egli avrebbe occupato fino al 1667, quando sarebbe stato nominato lettore ordinario.

296 Cfr. MARCHETTI F. 1755, p. 20. Al tempo dell’ingresso di Alessandro Marchetti nell’Università pisana Leopoldo de’ Medici non era ancora stato creato cardinale.

297 Così ZENO 1715, p. 120: «diedesi in quella celebre Università [scilicet di Pisa], per lo spazio di quattro anni, […] alla filosofia d’Aristotile, che allora nella detta Università da i pubblici Lettori di essa solamente s’insegnava, e si professava»; allo stesso modo il figlio MARCHETTI F. 1755, p. 20: «siccome in quella Università, non altro allora, che la Dottrina Peripatetica s’insegnava…».

298 Per il Borelli si rimanda a Ugo Baldini, Borelli, Giovanni Alfonsi, in DBI, vol. 12, 1971, ad vocem.

299 Ricordano con queste parole il sodalizio con il Borelli ZENO 1715, p. 221: «chiamato a Pisa Giovannalfonso Borelli, uno de’ più grandi, e famosi filosofi dell’età nostra, come ben mostravano allora, e più anche mostrano adesso tante immortali sue Opere fatte pubbliche con le stampe, il nostro Marchetti si elesse questo per suo nuovo direttore, e maestro» e MARCHETTI F. 1755, p. 22: «sicché [scilicet Borelli] avendo scorta in Alessandro destrezza d’ingegno, vivacità di spirito, e, chiarezza straordinaria nello spiegare i propri sentimenti, lo cominciò a corteggiare, e ad offerirgli l’opera sua, e nelle Matematiche, e nelle Filosofiche speculazioni». Si ha anche notizia che il Borelli indirizzasse dal Marchetti alcuni suoi allievi per quelle che oggi chiameremmo ripetizioni private.

300 Ancora MARCHETTI F. 1755, p. 22: «condecorato con la Lettura straordinaria di Filosofia, si fece conoscere nel leggere».

301 Cfr. ZENO 1715, p. 22: «letto che ebbe poi un anno Loica, fu quivi promosso ad una cattedra straordinaria di Filosofia, la quale fu da lui professata con intera libertà» e MARCHETTI F. 1755, p. 23: «appena ebbe letto il Marchetti un anno la Logica, […] ottenne dal Clementissimo suo Signore [scilicet Ferdinando II], con la solita mediazione del Serenissimo Leopoldo, la Cattedra di Filosofia straordinaria, che ritenne per anni otto».

Docente ordinario di Filosofia per un decennio esatto, dalla fine degli anni Sessanta il Marchetti iniziò a rivolgere i suoi interessi alla fisica e alla matematica, interessi che sfociarono in un discreto numero di pubblicazioni spesso accompagnate da una gran quantità di polemiche e discussioni, specialmente con Vincenzo Viviani destinato a divenire uno dei suoi più acerrimi contestatori e rivali. Delle opere scientifiche del Marchetti e dei dissidi in seno alla comunità scientifica si dirà successivamente. Per adesso basti ricordare che nel 1677 il nostro riuscì a conseguire la cattedra di Matematica302 che egli desiderava già dieci anni prima quando questa era rimasta vacante a seguito della partenza del Borelli303. Marchetti raggiunse così il ruolo che era stato del suo maestro e mantenne la posizione, senza che per questo si debba pensare a una docenza ininterrotta per un’ulteriore cinquantennio, fino alla fine dei suoi giorni304. Non che con la Matematica si esaurisse la curiosità dell’ormai quarantenne Marchetti: negli anni che seguirono egli ebbe modo di interessarsi anche alle scienze affini della fisica e dell’astronomia, con un particolare interesse per i moti delle comete.

Quanto alla vita privata, morti negli anni precedenti i fratelli Antonio e Filippo, Alessandro era rimasto l’unico della sua famiglia in condizione di potersi sposare305. Così, «all’Anno 39.

Nel documento Tradurre Lucrezio: (pagine 63-120)

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