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Pedagogia della resistenza e del dissenso

CAPITOLO 2 - Il senso privato e politico della narrazione autobiografica

2.8 Pedagogia della resistenza e del dissenso

La pedagogia della resistenza affonda le proprie radici nel rifiuto e nell’indignazione rispetto ad un determinato ordine socioeconomico e politico fatto di sopraffazione e di ingiustizie. Le tecniche dell’assoggettamento passano attraverso la strutturazione di un soggetto già complice, al limite di un soggetto per il quale la questione della complicità non si pone nemmeno.

Il dominio che ieri come oggi si configura come una vera e propria dittatura è riuscito negli ultimi 50 anni a scavalcare il soggetto privandolo del suo spirito critico della sua progettualità e della sua intenzionalità.

Il telos della pedagogia della resistenza è evidentemente politico - viene per così dire dall’esterno - e per questo genere di riflessione pone come centrale una questione che già ci siamo posti su chi sia il soggetto della pedagogia della resistenza: i soggetti della scelta politica di resistere, dallo studente al lavoratore, dall’insegnante al disoccupato… tutti coloro che si pongono il problema del superamento dello status quo165.

Io resisto non solo se mi oppongo ma se resto fermo sulle mi posizioni, se resto in asse rispetto a ciò in cui credo, rispetto alla paura di essere diverso o al terrore che il sistema mi

163 A.ASOR ROSA, Quaderni dal carcere, op. cit., pp. 73-74.

164 S.NANNI, Il privato è politico. Narrazione autobiografica e formazione, op. cit., pp. 54-55.

165 S.NANNI, ivi, pp. 32, 80-82.

71 rifiuti; resistere vuol dire No per dire Sì, vuol dire in fondo affermare sé stessi.

Alla fine degli anni 60 grazie a Don Milani e ad Aldo Capitini, la pedagogia della resistenza si trasforma, o per meglio dire si evolve in pedagogia del dissenso.

Dissentire a detta di Capitini significa anticipare le leggi di domani, offrire nuovi elementi al legislatore, collaborare con la storia. Dissentire significa essere in disaccordo nei confronti di un’opinione o di un’azione altrui.

Recentemente, invece, la parola “dissenso” viene usata per definire quei movimenti di idee che tendono a trasformare la contestazione in un fatto culturale ufficiale oltre che positivo.

Sempre secondo Capitini ognuno dovrebbe impegnarsi responsabilmente per quello che può ma sempre a beneficio della società intera e del progetto politico. Ecco che cosa significa per il filosofo “compresenza”: un partecipare in modo diverso alla vita dell’Umanità volgendosi all’etica, alla sincerità e alla libera discussione, aprendo il presente al senso del futuro nella valorizzazione del passato e di chi non c’è più166.

«La “compresenza dei vivi e dei morti” descrive le modalità di interazione di queste due realtà nell’ambito dell’unica realtà che tutti ci unisce.

La relazione è fondamento ineludibile dell’esistere, la sua trama è situata nello spazio-tempo e quindi vede necessariamente, per le caratteristiche precipue della dimensione temporale del divenire, l’alternanza dialettica tra poli opposti che essenzialmente viene caratterizzata come alternanza tra vita e morte; laddove, però, la sfera vitale prevale sempre su quella mortale che di fatto ne è una subordinata.

Nella sfera umana questa distinzione assume gli aspetti morali di distinzione tra Bene e Male, poiché l’essere umano nel primo incrementa in modo cosciente la relazione vitale, mentre nel secondo incrementa la sfera mortale e cioè la distruzione della relazione.

Nel pensiero di Capitini, la compresenza è la prosecuzione di una vita spesa nel liberare sempre di più il mondo dalle forze del Male, azione i cui effetti si riverseranno anche nella realtà ultraterrena, la quale è comunque collegata a doppio filo alla realtà temporale; così se il raggiungimento della pace interiore è direttamente proporzionale all’impegno che ognuno di noi ha profuso nella vita verso gli altri, allora è ipotizzabile che persino dall’Al di là se ne possano vivere e far vivere le conseguenze167».

Oltre alla compresenza, la “filosofia” del dissenso capitiniana si enuclea anche nel concetto della non violenza.

166 S.NANNI, ivi, pp. 67-79.

167 G.SALIO, commento a La compresenza dei morti e dei viventi di A. Capitini, Milano, Il Saggiatore, 1966.

Fonte: http://www.libriperlapace.it/marino/capitini/compresenza.html.

72 Non violenza significa, per dirla in maniera gandhiana, reagire con l’”Amore”.

La non violenza è un ideale nobile, sinonimo di coerenza di mezzi e fini, un qualcosa che ha più a che fare con i principi che con i valori, è «la forza di pace, di elevazione spirituale e profetica, in grado di sconfiggere il fascismo, il quale non si configura solo come un regime, bensì come un modo di essere e vivere con l’altro, violento e autoritario»168.

La non violenza è resistere e dissentire con gesti e pensieri nuovi che nulla abbiano a che vedere con la “spada”; la nonviolenza è il “porgere l’altra guancia” cristiano, è la fine dell’”occhio per occhio dente per dente” di Hammurabi è il ribaltamento dell’homo homini lupus, è il trionfo del Noi.

Fu a questo proposito e in questo contesto, che Don Milani ad adottò il motto «I care», letteralmente «Mi importa, ho a cuore» (in contrapposizione al «Me ne frego» di derivazione fascista). Questa frase scritta su un cartello all’ingresso della Scuola di Barbiana, riassumeva le finalità di cura educativa di un istituto orientato a promuovere una forma di sollecitudine per l’altro attenta e rispettosa, stimolando una presa di coscienza civile e sociale169.

È in quelle circostanze che cominciò, lui stesso, a sperimentare il metodo della scrittura collettiva come strumento di formazione individuale e di sviluppo collettivo.

Il “prendersi cura” (in inglese caring) del prossimo, di Don Milani, presuppone la relazionalità: l’avere attenzione e interesse al mondo degli altri richiede l’abilità di non essere centrati su se stessi, insieme a quella di autoregolare e organizzare i propri comportamenti, significa rendersi conto di che cosa fa, sente e vuole l’altro, e riguarda i sentimenti, la partecipazione alle emozioni altrui (di nuovo empatia), riguarda la compassione di cui ci parla la stessa Nussbaum.

Gli ideali della Scuola di Barbiana erano volti a costituire un'istituzione inclusiva, democratica, con il fine non di selezionare ma piuttosto di far arrivare, tramite un insegnamento personalizzato, tutti gli alunni a un livello minimo d'istruzione garantendo l'eguaglianza con la rimozione di quelle differenze che derivano da censo e condizione sociale.

In Italia il dissenso riguardò il rifiuto del male che si era andato configurando come privilegio di pochi a discapito dei più, come non collaborazione con l’autorità quando questa si mostrava sorda ad ogni forma di cooperazione volta al progresso attraverso le forme della non

168 A.CAPITINI, Educazione, religione nonviolenza, Brescia, La Scuola, 2016, p.100.

169 «I CARE» di Don Milani; fonte: https://it.wikipedia.org/wiki/Lorenzo_Milani.

73 violenza.

È in definitiva tra resistenza, dissenso, compresenza e non violenza che la «narrazione autobiografica, oggi, trova il suo posto, divenendo uno strumento di coscientizzazione, un’opportunità per l’uomo di riscoprirsi attraverso la riflessione sul processo della sua esistenza ma non nel chiuso della propria stanza, anzi nell’apertura agli altri, come momento di riflessione collettiva all’interno di un progetto “umanizzante”170».