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4. LABORATORIO/MUSICA

4.4. O LTRE I GENERI E LE SCHEMATIZZAZIONI ACCADEMICHE : UNA VIA PRATICABILE

4.4.1. Per una collocazione della musica popular

S’intende, a questo punto, approfondire il concetto di musica popolare, basandosi sulla collocazione teorica che ne fornisce Richard Middleton, in un articolo apparso su “Musica Realtà”.197

L’autore rifiuta l’idea che la musica popolare sia riducibile all’autentica espressione di sé del proletariato, tanto quanto la nozione adorniana secondo cui essa rientrerebbe nella congerie indistinta di beni superflui e di consumo, imposti alle masse dall’industria culturale.

E’ invece meglio, secondo Middleton – che qui cita Fabbri – collocare le categorie popolari topograficamente. L’espressione popular evoca un terreno di contraddizioni tra coppie di opposti quali “imposto e autentico”, “elitario e comune”, “dominante e subordinato”, che si declinano diversamente nelle specifiche società, senza che si possa prescindere, pertanto, dall’analizzarle nel singolo contesto.

E’ necessario, oltre a questa prospettiva sincronica, tenerne in considerazione una diacronica, dal momento che si tratta di rapporti attivi, agenti in un campo mai inerte.

Middleton introduce la “relativa autonomia delle prassi culturali”, a partire dal concetto gramsciano secondo cui il rapporto tra cultura reale, coscienza, idee, esperienza, da un lato, e fattori economicamente determinati, sulla base della condizione di classe, dall’altro – relazione derivata dalla primaria connessione tra struttura economica ed elementi culturali sovrastrutturali – è sempre problematico e instabile. Le sovrastrutture sono dotate di loro propri modi di esistenza, al punto che si giunge a postulare una “necessaria reciprocità” fra i due livelli.

In sostanza, i rapporti culturali non sarebbero, semplicisticamente, predeterminati: essi si configurano, piuttosto, come l’output di conflitti, trasformazioni, resistenze.

Ne deriva l’impossibilità di attribuire, in maniera meccanica e predeterminata, talune forme culturali, o particolari usi e interpretazioni d’esse, a singole classi sociali.

L’autore cita Stuart Hall, il quale afferma l’inesistenza di culture del tutto separate (“nessuna canzone di successo borghese, nessun canto proletario di protesta, nessuna

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R. MIDDLETON, “Articolare il significato musicale. Ricostruire una storia della musica. Collocare il popolare (I)”, “Musica Realtà”, 15, dicembre 1984

commedia musicale piccolo-borghese, nessun rock and roll della classe lavoratrice”), abbinate, una volta per tutte e in modo biunivoco, ai comparti sociali di competenza.

Il dominio di forme e attività culturali è un ambito soggetto a mutamenti plurimi e continui, codefinito da fattori alternativamente dominanti e subalterni, dove è importante il processo tramite cui queste relazioni dialettiche ne delineano i caratteri.

Serve ora rifarsi, seguendo ancora Middleton, al “principio di articolazione”, introdotto da Chantal Mouffe nel 1979, per spiegare come i tipi musicali, che si è detto non essere proprietà esclusiva di una determinata esigenza espressiva di classe, si distribuiscano infine a livello sociale, venendo adottati da particolari gruppi di classi.

Gli elementi culturali, pur non essendo legati a fattori economici in modo univoco, sono tuttavia determinati da questi ultimi, attraverso l’azione dei principi articolanti, set di valori implicati da questi fattori, che combinano in maniera inedita i modelli esistenti. Il processo di articolazione conduce al “popolare-nazionale” gramsciano, repertorio di elementi culturali- ideologici messi in campo nel tentativo di costruzione d’una egemonia di classe.

La teoria dell’articolazione consente di non ridurre l’innegabile complessità dei campi culturali a un modello deterministico e rigidamente fissato, riservando una relativa autonomia agli elementi sovrastrutturali (nel nostro caso, musicali), ma al contempo considerando come queste formazioni combinatorie originantesi nella realtà risultino da un vero e proprio conflitto dialettico con fattori socio - economicamente determinati, nel modo di produzione dominante.

Middleton propone questa teoria che giustifica il rapporto tra pratiche musicali, interessi di classe e configurazioni della struttura sociale, preferendola alle teorie dell’omologia sostenute da alcuni etnomusicologi, nonché alla teoria britannica delle sottoculture, che parla di “risonanze” strutturali, o omologie, appunto, fra i diversi elementi concorrenti nella formazione della cultura e della coscienza sociale di un certo gruppo.

Sebbene significati e convenzioni musicali siano più arbitrari che connaturati a determinati tipi umani o esigenze culturali di classe, le configurazioni musicali, una volta articolatesi come esplicitato, possono essere difficilmente modificate. Dunque, il campo musicale è fatto salvo dal caos di un eterno pluralismo. La storia della musica degli ultimi due secoli, a sentir Middleton, sarebbe profondamente condizionata dal preteso impulso universalizzante della classe borghese, che, gramscianamente, tende ad assimilare al proprio livello culturale ed economico l’intera società. Il continuo formarsi di alleanze di classe, che hanno un’incidenza sull’articolazione del campo culturale, fa sì che questo risulti organizzato attorno ai due poli dicotomici di “egemonico” e “subalterno”.

I soggetti partecipi di questa lotta per l’egemonia non sono definiti solo dalla posizione di classe, ma anche da altri fattori sociali, come l’età, il sesso, l’origine etnica e la nazionalità.

Lo spazio per spesso precarie “sottoculture” locali, formatesi dalla mediazione dei vari fattori, è notevolmente cresciuto. Questa varietà di continuità e fratture si determina in particolari “congiunture” dei rapporti dinamici tra formazioni sociali/culturali. Laddove la “situazione”, sempre nella terminologia gramsciana, si riferisce alle strutture organiche e profonde, che si ridefiniscono in seguito a un movimento di crisi, la “congiuntura” si riferisce a mutamenti più rapidi ed effimeri, dovuti alle forze confliggenti nella contraddizione sociale – a questo livello, una maggiore autonomia è assicurata agli elementi sovrastrutturali.

Middleton individua nella storia musicale degli ultimi due secoli tre momenti di radicale mutamento di situazione, che si sono verificati in tutte le società sviluppate dell’Occidente, per quanto in tempi diversi. Essi sono utili al fine di mettere in luce, in concreto, i processi di formazione del campo ideologico - musicale, secondo le dinamiche dallo stesso Middleton tracciate.

Il primo momento è quello della rivoluzione borghese, connotata da un evidente conflitto di classe entro i diversi campi culturali, dall’estensione delle logiche di mercato alla quasi totalità delle attività musicali, e dallo sviluppo, divenuto poi predominio, di nuovi generi musicali, associati alla nuova classe dominante.

La tradizionale opposizione di “classico” e “romantico” cela una complessa trama di interazioni esistenti, ad esempio, fra la musica da concerto, i generi domestici della borghesia, la musica per il teatro, la danza, il movimento corale di massa, le canzoni politiche e di protesta, la canzone di strada della classe lavoratrice. In Gran Bretagna, questo momento si è esteso lungo un turbolento periodo, dalla metà del secolo XVIII al decennio 1840/1850. Nella maggioranza degli altri Paesi dell’Europa occidentale, sembra iniziare un po’ più tardi, ma si stabilizza intorno alla stessa data, dopo le rivoluzioni del 1848.

Il secondo momento è quello della “cultura di massa”, dalla fine del XIX secolo al 1930.

Si assiste allo sviluppo di rapporti capitalistico - monopolistici, del social- imperialismo e a una semplificazione della lotta di classe attorno a due poli aggregati (classe di potere VS classe popolare). E’ questo il momento d’una crescente internazionalizzazione della cultura, realizzata in primis dall’emergente egemonia americana. Ciò ha ripercussioni sia sul contenuto musicale – l’impatto del ragtime, del jazz, delle nuove forme di danza e così via –, sia suoi nuovi modi di produzione e distribuzione di massa: mercati tendenti a

omogeneizzarsi, pubblicizzati da una comunicazione massificata. L’emergere della “massa” nel processo musicale amplifica le possibilità di significazione politica della musica; in parallelo, gli elementi musicali attinti dalle fonti afroamericane costituiscono un bacino di potenziale sovversione delle norme dominanti nella musica.

Tra la fine degli anni Venti e Trenta, questo processo sfumerà in un’assimilazione dell’afroamericanismo “in una sintesi governata da tradizioni musicali borghesi di vecchia data e dalla articolazione dei loro significati in una ideologia di evasione consumistica”, come esemplificato dalle grosse orchestre da ballo.

Middleton instaura qui un parallelo dialettico con la musica dei concerti elitaria nel periodo dal 1890 al 1930, anche nella sfera della tecnica compositiva, la quale, come rilevato da Adorno, tendeva a declinarsi come ”isolamento critico” schönberghiano, “gioco” stravinskiano, o “celebrazione sociale”. Anche questo conflitto risentì di un appiattimento causato dall’egemonia conservatrice del neoclassicismo, negli anni ’30 e ’40.

L’inizio del terzo momento coincide con la II guerra mondiale, sensazionalmente inaugurato dall’avvento del rock and roll. Arriviamo, dunque, al momento della famigerata “cultura pop”.

Il modello dicotomico che si è riferito alla cultura di massa è qui messo in discussione dallo sviluppo cangiante e velocissimo di stili e costellazioni di sottoculture, spesso pseudoeversive, rapidamente succedenti l’una all’altra. Frattanto, in campo tecnologico si assiste alla comparsa dei sistemi elettronici, che si sostituiscono a quelli elettromeccanici preesistenti, esattamente come questi ultimi erano succeduti ai metodi di produzione e distribuzione puramente meccanici del primo periodo borghese (musica stampata). Nuovi metodi di produzione emergono, di conseguenza: il nastro magnetico rimpiazza gli spartiti, la chitarra elettrica “da tre accordi” rivoluziona la professionalità degli strumentisti. Ciò determina una significativa appropriazione dei mezzi di produzione musicali ad opera di “giovani amatori della classe lavoratrice”, oltre alla creazione di un nuovo mercato, quello giovanile, meno sensibile a ruoli sociali predefiniti.

Questo gruppo generazionale, anche socialmente connotato, si ispira al rhythm and

blues afroamericano, che ne interpreta la spinta di ribellione all’oppressione e il desiderio di

emancipazione corporea (in opposizione all’annichilimento e all’alienazione imposti dalle discipline del lavoro industriale - capitalistico).

Anche stavolta è possibile guardare simmetricamente agli stravolgimenti nella musica considerata d’élite, dove il jazz d’avanguardia si contrappone alla corrente principale dello

adorniana si è sostituita l’opposizione tra serialismo integrale, da un lato, e “disimpegno critico caratterizzato dall’indeterminatezza”, dall’altro.

A partire dalla fine degli anni Sessanta, avrà luogo una serie sempre più fitta di intersezioni tra questi ambiti, inclusi quelli dei generi popolari, a riprova dell’unità del campo musicale, quantomeno da una prospettiva sociologica.

I movimenti rock degli anni Sessanta si collocavano entro il contesto socio - economico della società del benessere e della diffusione di una certa permissività liberale. La potenziale ribellione, già propria del rock and roll, fu sostanzialmente depotenziata e riaccorpata dal sistema egemone. Il peggioramento del conflitto socio-economico riaprirà le possibilità eversive implicite al genere, laddove esso darà vita, alla fine degli anni Settanta, all’aggressione del punk alle norme culturali e musicali codificate, oltre che rivolta ai modi di produzione e all’assetto sociale.

La ricerca musicale all’interno di questi tre momenti dovrebbe, a parere di Middleton, concentrarsi sulle categorie musicali che, tramite il succitato processo di articolazione, si muovono tra i generi e assumono significati diversi entro le nuove collocazioni.

A partire da questa constatazione, anziché focalizzarsi su una coerenza solo apparente interna agli stili, che abbiamo imparato a interpretare nelle loro multiple determinanti sovrapposte, bisogna, invece, far leva sulle inevitabili contraddizioni interne di questi assemblaggi. A volte esse sono manifeste, come quando si usa la parodia, nel suo senso più ampio. Altre volte queste contraddizioni sono relativamente mascherate dalle tecniche di “legittimazione”, come le chiama Bourdieu,198

che si rivelano soltanto quando gli elementi costituenti l’insieme vengono isolati e ricollocati entro un ulteriore scenario.

198 Cfr. P. BOURDIEU, La distinzione. Critica sociale del gusto, Il Mulino, Edizione 2001. Si veda, in particolare:

parte terza, “Gusti di classe e stili di vita”, capitolo VI, “La buona volontà culturale”, “1. Conoscenza e riconoscimento”, pp. 330-336

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