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PER UNA STORIA ISTITUZIONALE DELL’ASILO INFANTILE COMUNALE

DI MONDOLFO

I. L’inizio della storia

I.1 Il Consiglio comunale delibera l’istituzione di un asilo infantile a Mondolfo

Il 3 giugno 1868 il Consiglio comunale deliberava l’istituzio-ne dell’asilo infantile a Mondolfo. Alle “undici e minuti quindici antimeridiane”1 nella solita Sala Grande del Pubblico Palazzo sede-vano il Sindaco Giovanni Battista Cagnis e, con lui, l’Assessore Sa-vino De Smoglian insieme a Francesco Biscottini, Eligio Mazzanti, Gaetano Gallinelli e, giungendo a riunione iniziata ma in tempo per la discussione e votazione, l’Assessore Alessandro Barcelli. In-tervenivano il Regio Ispettore scolastico Manfredi, assistito dal De-legato mandamentale Dott. Daniele Cangini. “L’oggetto intorno al quale il Consiglio è invitato ad adunarsi, come reca l’ordine del giorno, è la proposta della Giunta sulla istituzione di un asilo infan-tile in questo Comune, proposta discussa e concordata dallo stes-so R[egio] Ispettore in una adunanza del 7 aprile passato prossimo […]. Datasi lettura del progetto anzidetto, il risultato della discus-sione fu il seguente che forma le singole proposte che si sottopon-gono al voto del Consiglio:

1. Deliberare l’asilo infantile dotandolo di lire milleduecento annue con obbligo di aprirsi nel prossimo novembre, dispo-nendo che il fondo per due mesi di novembre e dicembre sia prelevato dal fondo di riserva, quando non vi fossero a

dispo-1 ACM, C, 3 giugno dispo-1868

sizione altri mezzi straordinari. Passato questo articolo al vo-to per alzata e seduta fu approvavo-to.

2. Nominare una Commissione di quattro individui […] [con il compito di dare attuazione al dettato della Giunta] oltre quello della nomina della Direttrice. Sottoposto al voto que-sto articolo, fu adottato all’unanimità.

3. In ordine alla terza proposta che riguarda la trasformazione dei locali si propongono due separate distinte proposte:

a) interessare la Prefettura a voler far cessare la lentezza con cui il Regio Demanio si conduce, differendo di giorno in giorno la consegna dell’ex convento agostiniano.

b) Stabilire il fondo con cui far fronte alle spese di trasformazio-ne in locali e del loro adattamento all’uso di asilo e di scuole.

Intorno alla prima proposta [sub a)] il Consiglio vota favorevol-mente all’unanimità, dichiarando di essere disposto al pagamen-to del canone a termine di legge [disponendo all’uopo uno spagamen-torno di fondi]. Il Sindaco è poi di parere che la trasformazione dei lo-cali, onde riesca secondo le idee ed il concetto che si è formato il R.Ispettore, sia eseguita sotto la sua direzione, e non potendo essere sempre presente sui lavori, sia seguita secondo le norme che furono da lui tracciate. Il Consiglio adotta il parere del Sindaco”2.

Dalla deliberazione emerge inequivocabilmente che la realizza-zione di un asilo a Mondolfo era questione già da tempo sul tappe-to, elaborata in un progetto concordato almeno dall’aprile prece-dente con le Istituzioni scolastiche e, ben da prima, adombrata con l’intenzione di destinare a questo uso l’antico Convento di S. Ago-stino, appena fuori dalla porta principale del Castello.

Ma che cosa portava Mondolfo a chiedere nel suo Comune3 l’i-stituzione di un asilo?

2 ACM, C, 3 giugno 1868

3 Intendiamo essenzialmente il Comune nel territorio “storico”, come risultava prima del disposto di cui alla L.R. 15/2014.

I.2 Le ragioni di un asilo a Mondolfo

La volontà di istituire un servizio innovativo come quello dell’asilo infantile a Mondolfo è legata ad una pluralità di ragioni, non solo motivate da fattori contingenti. È lo stesso ambiente, l’humus cul-turale, l’articolazione sociale, gli eventi vissuti dal Comune riviera-sco ad essere tutti fattori che portarono a questa storica deliberazio-ne: ci limiteremo pertanto ad evidenziarne alcuni.

I.2.1 L’asilo infantile è segno dei tempi

Mondolfo aveva ampiamente partecipato al movimento storico-culturale che, dal finire del Settecento e per il primo sessantennio dell’Ottocento pontificio4, aveva visto sorgere e formarsi l’idea di una Italia unita sotto l’egida piemontese. Le vicende risorgimenta-li avevano coinvolto numerosi giovani del territorio datisi alla cau-sa italiana5, segno indubbio di circolazione di quelle “idee nuove”

fautrici dell’epocale cambiamento e, lo stesso Sindaco Cagnis, po-teva essere espressione di tale novità. Classe 1841, era stato eletto Primo cittadino a Mondolfo appena nel marzo di quel 18686, un ventisettenne esponente di una antica famiglia radicata nella città a balcone sul mare, desideroso che nel proprio Comune potesse tro-vare attuazione una iniziativa che sin dal 1848 i protagonisti della politica liberale, costituzionale e nazionale avevano fatto propria,

4 Per le vicende di Mondolfo nel Risorgimento italiano, cfr.: Berluti A., Mondolfo e Marotta nel Risorgimento. Il tramonto dello Stato Pontificio, Mondolfo, 2011.

5 Cfr.: Berluti A., Mondolfo e Marotta nel Risorgimento… , op. cit., pp. 528-529.

6 Cfr.: ACM, C, 31 marzo 1868: “Cagnis Giovanni Battista, Sindaco, nominato da Sua Maestà con Decreto del 15 marzo [1868] ed entrato nell’esercizio delle sue funzioni mercé la prestazione del giuramento emesso nelle mani di questo Pretore [di Mondolfo] a ciò espressamente delegato dal Sig. Prefetto di Provincia, come all’atto in copia del dì 30 perduto marzo”.

come quelle dell’apertura di un asilo7, asili “espressione della cultu-ra e delle idealità risorgimentali”8. L’asilo, dunque, concretizza quel

“progresso” che col nuovo Regno sabaudo dovrebbe avanzare, e do-ve “l’atmosfera è quella di un ottimismo generale, poiché tutti gli sforzi, le invenzioni, le ricerche e i sogni mirano al miglioramento ininterrotto della condizione dell’uomo”9 almeno così ritiene l’Ita-lia e l’Europa borghese, borghesia che – proprio nella cura dei bam-bini, dei propri figli – trova ora un nuovo tratto di distinzione10.

E, Mondolfo, per la sua ubicazione geografica lungo le vie di co-municazione della costa, per l’incontro di individui nelle sue rino-mate ed antiche fiere11, avverte prima di altri l’importanza di una istituzione quale l’asilo infantile. Se si pensa che, nella realizzazione di questo servizio, la città a balcone sul mare agisce nello stesso an-no di Faan-no12 mentre precede Senigallia, dove l’asilo sarà aperto nel 187313, e Corinaldo che lo vedrà sorgere solo nel 188314, ciò è se-gno della speciale attenzione ai bisogni cittadini mostrata dagli am-ministratori mondolfesi del tempo.

7 Cfr.: Sante Di Pol R., L’istruzione infantile in Italia, Torino, 2005, p. 26.

8 Sante Di Pol R., op. cit., p. 84.

9 Campoletti G., Breve storia della borghesia, Milano, 2008, p. 206.

10 Cfr.: Montroni G., “Le strutture sociali e le condizioni di vita” in Sabbatucci G., Vidotto V. (a cura di), Storia d’Italia, Roma-Bari, 1995, vol. 2, p. 384.

11 Cfr.: Ricci A., Mondolfo dai tempi antichi ad oggi. Cenni di storia e di cronaca, Ancona, 1955, p. 110.

12 Cfr.: Scelsi G., Statistica della provincia di Pesaro e Urbino, Pesaro, 1881, p. CDXXXIV.

13 Cfr.: Natali S., Topografia e statistica medica di Senigallia, Milano, 1889, p. 66.

14 Cfr.: Severini M. (a cura di), Corinaldo. Storia di una terra marchigiana. Età contemporanea, Ancona, 2010, p. 147.

I.2.2 Mondolfo attenta alle istituzioni di assistenza

La realizzazione di una nuova istituzione di assistenza quale quella di un asilo15 – considerato il fatto che in Italia detti servizi rimar-ranno annoverati nel settore assistenziale delle opere pie pratica-mente fino ai primi decenni del XX secolo16 – rientra nel novero di una antica e sentita presenza. Già dal 1802 Giuseppe Bartolini ave-va stabilito un lascito testamentario per la erezione di un ospedale a Mondolfo17 e, proprio in quegli anni, si era nella dirittura di arri-vo, dato che dal 1871 il nosocomio avrebbe iniziato a funzionare18. Ben più antichi, invece, erano i dotalizi che – annualmente – ve-nivano distribuiti nella città a balcone sul mare. Gestiti dalla Con-gregazione di Carità che, sin dal 1860, per disposizione del Decre-to Valerio era subentrata all’amministrazione delle opere pie dei vari comuni19, gli stessi consistevano nell’assegnazione di una dote a favore delle povere zitelle di Mondolfo, in presenza di determi-nate condizioni. La dote costituiva un importante fattore per con-sentire ad una donna di trovare marito e, nel Comune rivierasco, si annoveravano il Dotalizio Panezi, Massimi e Bartolini, così ap-pellati dai nomi dei loro fondatori20. Se il Monte Frumentario21 ed il Monte di Pietà22 erano ormai istituzioni lontane – anche se ave-vano vivacemente contribuito in passato all’assistenza a Mondolfo

15 Cfr.: Agostini R., L’Asilo Menghini. Cento anni di storia, Mantova, 2002, p. 8.

16 Cfr.: Sante di Pol R., op, cit., p. 39.

17 Cfr.: Berluti A., Storia della sanità a Mondolfo e Marotta, Mondolfo, 2004, p. 80.

18 Cfr.: Berluti A., Storia della sanità… , op. cit., p. 108.

19 Cfr.: Berluti A., Storia della sanità… , op. cit., p. 113.

20 Cfr.: Berluti A., Storia della sanità… , op. cit., pp. 116-118.

21 Cfr.: Torri G., Memorie antiche e notizie moderne di Mondolfo e Castelvecchio, Fano, 1783, p. 11.

22 Cfr.: Berluti A., Mondolfo e Marotta nel Risorgimento... , op. cit., pp. 208-209.

– prossime erano le istituzioni di ospizi per anziani: della presenza di questo servizio si ha notizia già dal 1894-189523, quando a dar-ne particolare vitalità contribuiranno il testamento della Contessa Virginia Gherardi vedova De Smoglian che fonderà un ricovero per povere vecchie24, e le ultime volontà del Cav. Ivo Ciavarini Doni25 per quella casa di riposo sostanzialmente tutt’oggi presente. Anche la cura per l’istruzione non era secondaria, con l’impegno profuso dal Comune per garantirne la migliore realizzazione26. L’assistenza dunque alle persone in situazione svantaggiata era qualcosa di par-ticolarmente sentito a Mondolfo e, senz’altro, la volontà di fondare un asilo rientrava in tale generale sensibilità della classe dirigente locale. Prova ne sia che, addirittura dal 1866, il Consiglio comuna-le aveva preso in esame - dietro proposta della Prefettura - l’istitu-zione di un asilo rurale a Mondolfo, ma “i signori adunati, sebbene ne ravvisino il concetto oltremodo vantaggioso perché l’insegna-mento si diffonda con metodi più pronti sugli abitanti della cam-pagna dove maggiore è il numero degli analfabeti, non ne ravvisano necessaria l’attuazione nel nostro Comune [di Mondolfo], il quale ha già aperto un largo campo a tutte le classi non solo colla istruzio-ne elementare, ma ben anche colle scuole serali27 e domenicali, di cui fanno profitto i campagnoli per la comoda posizione topografi-ca del nostro territorio; cosicché il Comune istituendo asili rurali si sopraccaricherebbe di spese, senza migliori vantaggi”28.

23 Cfr.: Berluti A., Storia della sanità… , op. cit., p. 203.

24 Cfr.: Berluti A., Storia della sanità… , op. cit., pp. 203-207.

25 Cfr.: Berluti A., Storia della sanità… , op. cit., p. 201.

26 Cfr.: Berluti A., La scuola a Mondolfo e Marotta. Dal tramonto dell’Antico Regime alla vigilia della Grande Guerra, Mondolfo, 2013, p. 79.

27 Cfr.: Berluti A., La scuola… , op. cit., pp. 211-213.

28 ACM, C, 22 novembre 1866

I.2.3 Una necessità stante l’aumento della popolazione infantile L’aumento della popolazione – e segnatamente della popolazione infantile – conosciuto nel corso dell’800 anche dalla Regione Mar-che, portò alla necessità di provvedere a dei servizi di assistenza per i figli di coloro che vivevano di artigianato o di terziario e che ri-siedevano all’interno o nei pressi del centro abitato. Diversi furono i fattori che, soprattutto dagli anni ’80 del secolo, determinarono questa nuova situazione29: 1) la quota della popolazione femminile in stato di nubilato, già prima assai limitata, diminuì ulteriormen-te; 2) Venne ad abbassarsi, contemporaneamente, l’età media delle spose all’atto del matrimonio così da determinarsi condizioni più propizie per una maggiore elevata frequenza delle nascite; 3) Il pro-lungamento della durata media delle nozze, dovuta anche – oltre a quella conseguente ad un abbassamento dell’età delle spose all’atto del matrimonio – ad una certa diminuzione della mortalità tra la popolazione adulta in stato matrimoniale; 4) L’aumento del nume-ro delle gravidanze che giungono felicemente a termine. Pnume-roprio dagli anni ’80 dell’Ottocento, infatti, inizia a stabilizzarsi e quindi, nel volgere di pochi anni, a diminuire la mortalità feto infantile30,

“ed anche se la decimazione di vite umane alla nascita e nel primo anno di vita diminuì solo di un 30% circa, la mortalità tra le clas-si di età succesclas-sive al primo anno di vita clas-sino ai 15 anni diminuì in misura assai maggiore, superiore al 50%. Tali progressi debbo-no farsi risalire alle nuove condizioni che permisero di combattere con risultati non trascurabili le malattie infettive che facevano gravi danni tra la popolazione infantile, come, ad esempio, la difterite, la pertosse, la scarlattina, le febbri intestinali e tifoidee, il morbillo”31.

29 Cfr.: Bonelli F., Evoluzione demografica ed ambiente economico nelle Marche e nell’Umbria dell’Ottocento, Torino, 1967, p. 101.

30 Cfr.: Bonelli F., op. cit., pp. 130-131.

31 Bonelli F., op. cit., p. 141.

I.2.4 Un prezioso aiuto materiale per la classe urbana

L’aumento del numero dei bambini portò all’elaborazione di rispo-ste diverse circa la loro cura fra il mondo agricolo e quello cittadi-no32. L’istituzione di un asilo a Mondolfo tornava a chiaro vantag-gio di coloro che risiedevano all’interno del Castello, nei Borghi o – in ogni caso – nella prima cerchia di poderi attorno all’incasato.

Se, infatti, il mondo contadino alla crescita del numero dei bam-bini all’interno della casa patriarcale rispose nel modo tradizionale, sforzandosi a mantenere ferma la classica misura di sopravvivenza legata ad un lavoratore per ettaro, adulti per piccoli, uomini per donne, ragazzi per vecchi e invalidi33, cercando anche di mettere a cultura le terre marginali ed intensificando l’allevamento e la pro-duzione come quella della vigna34 e dell’olivo, ben più problemati-ca fu la situazione di coloro che vivevano nel centro abitato. Incer-tezza a trovare soggetti a cui affidare il crescente numero di figli du-rante le ore di lavoro; difficoltà ad aumentare il reddito famigliare con il quale sfamare l’accresciuta prole, con conseguente potenziale indigenza, sono solo alcuni degli affanni che colpiscono chi vive del proprio lavoro, vuoi artigiano in bottega, vuoi intellettuale, vuoi da bracciante: l’asilo diviene dunque una risposta diversificata, sia con funzione di custodia che di assistenza alimentare all’indigente.

Nelle classi meno abbienti, infatti, non solo gli uomini, ma spes-so anche le donne devono lavorare fuori casa così da apportare un contributo al bilancio famigliare35, rendendo pertanto

fondamen-32 Intendiamo coloro che vivono nel centro urbano di Mondolfo e nelle zone limitrofe.

33 Cfr.: Anselmi S., “La famiglia del mezzadro marchigiano nell’Ottocento: dimensione dei poderi e forza lavoro” in Anselmi S., Chi ha letame non avrà mai fame - Quaderni di Proposte e Ricerche, n. 26, Senigallia, 2000, p. p. 413.

34 Cfr.: Anselmi S., “Lavoro contadino e lavoro domestico” in Anselmi S., Chi ha letame non avrà mai fame - Quaderni di Proposte e Ricerche, n. 26, Senigallia, 2000, p. 378.

35 Le donne hanno sempre lavorato, ed anche molto; ora devono intensificare l’impegno fuori casa, andando a servizio presso qualche famiglia dei maggiorenti del posto,

tale trovare un luogo di custodia dove lasciare il proprio bambino:

oltretutto i fanciulli avranno all’asilo una minestra giornaliera, per cui l’istituzione contribuisce alla tutela fisica dei piccoli ospiti che, per la loro misera condizione sociale, soffrono spesso di gravi caren-ze nutritive che ne minano la salute36.

I.3 Un asilo per gli abitanti del Castello e dei Borghi

Nel 1871 su 3610 residenti nel Comune di Mondolfo la gran par-te, più della metà, vive in campagna; tuttavia 1792 persone abita dentro la cinta murata del Castello e nei borghi circostanti37: sono questi i potenziali e principali fruitori dell’asilo che in quegli anni è costituito. Ma chi abita nel centro urbano38? Sono artigiani, com-mercianti al minuto, pescatori e braccianti, personale impiegatizio della nascente macchina amministrativa italiana, esercenti le pro-fessioni liberali, piccoli proprietari terrieri ed esponenti dell’antica nobiltà di reggimento39.

Fra commercianti, bottegai, artigiani prevale una forte conti-nuità professionale da una generazione all’altra; “questo non vuol dire che la bottega artigianale con gli attrezzi di lavoro, il negozio con tutte le merci passassero necessariamente dal padre al figlio.

svolgendo mansioni quale quello di lavandaia, etc.; oppure andare a far legna per le necessità domestiche (il fuoco è essenziale per la quotidiana cottura dei cibi, e chi non ha danaro deve procurarsela con difficoltà una risorsa - come quella della legna allora - da tutti considerata di valore commerciale e preziosa). Sono, insomma, tutte situazioni in cui a volte non è possibile, per evidenti ragioni, portare con se i proprio figli in tenera o tenerissima età, ancorché le mamme escogitino ogni espediente per farlo, anche a costo di grandi sacrifici.

36 Cfr.: Alatri G., Gli asili di infanzia a Roma tra Otto e Novecento, Milano, 2013, p. 14.

37 Cfr.: Scelsi G., op. cit., vol. II, p. XXII.

38 Si conferma, in sostanza, la situazione già presente nel Settecento; cfr.: Longarini S., Mondolfo nel secolo XVIII, Tesi di Laurea discussa alla Facoltà di Magistero dell’Università degli Studi di Urbino, A.A. 1975-1976, p. 78.

39 Cfr.: Berluti A., Mondolfo e Marotta nel Risorgimento… , op. cit., 19.

Vuol dire piuttosto che l’attività paterna, che costituiva lo sbocco quasi naturale, per le risorse lavorative della famiglia […] costitu-iva una sorta di training commerciale”40. Si aveva pertanto che le relazioni di tali segmenti sociali presentavano un carattere tutto in-terno al gruppo, con scarsi scambi matrimoniali esterni. “Si tratta insomma di un’area sociale che si rigenerava sistematicamente con la particolarità di un passaggio quasi sistematico dall’artigianato al commercio”41: i figli dei commercianti erano dunque frequente-mente essi stessi commercianti, anche se spesso in settori merceo-logici diversi da quelli paterni. Nel primo trentennio unitario, bot-tegai, commercianti e artigiani rispettavano la tradizione ottocen-tesca che li voleva sposati in età più giovane rispetto a tutte le altre middle classes urbane. La struttura della famiglia, per l’essere com-pletamente subordinata alle esigenze del commercio, presentava li-velli di instabilità difficilmente riscontrabili in altri gruppi sociali italiani. “I caratteri specifici del settore costringevano la famiglia a riunirsi o separarsi con periodica ricorrenza. Nel caso, infatti, di ar-tigiani, bottegai e commercianti, in cui il limite tra la produzione artigianale e la vendita dei prodotti non appariva ancora, nel perio-do in esame, sempre chiaro, la possibilità, ma più spesso la neces-sità, di ricorrere alla manodopera di tutta la famiglia costituiva la regola piuttosto che l’eccezione”42. Inoltre tragicamente il piccolo commercio era sempre esposto, per la mancanza di capitali adegua-ti, agli scherzi della sorte e alle congiunture sfavorevoli, per cui – un lutto, un incidente, una malattia prolungata e costosa (ma anche un furto o un incendio) – potevano profondamente minare le basi su cui si fondava la propria intrapresa43.

40 Montroni G., op. cit., p. 387.

41 Montroni G., op. cit., p. 387.

42 Montroni G., op. cit., p. 388.

43 Cfr.: Montroni G., op. cit., p. 388.

Anche per i gruppi impiegatizi si riscontrava una forte eredita-rietà professionale: erano coloro – ad esempio – che lavoravano a Mondolfo nell’amministrazione comunale, nella scuola, nella Pre-tura44; di conseguenza gli impiegati definivano uno spazio sociale che si alimentava, nel periodo successivo all’unificazione naziona-le, in gran parte “dall’interno” e l’appartenenza a questa categoria, anche ai suoi livelli più bassi, conferiva rispettabilità e status socia-le e, nel caso degli “impiegati regi” (si pensi alla realtà della Pretu-ra) qualcosa che era vicino al prestigio45. Nel mondo impiegatizio prevaleva una famiglia nucleare, che di rado riusciva a produrre un rapporto intimo e confidenziale tanto tra i coniugi quanto tra que-sti e i figli; “un senso eccessivo del decoro e della discrezione, un equivoco pedagogico che spingeva a sovrastimare il registro educa-tivo nel ruolo paterno/materno irrigidivano le espressioni affettive in un codice tanto rigoroso quanto arido”46.

Aspirazioni generali, profili culturali e politici, standard di vita, scelte matrimoniali, modelli successori e strategie famigliari non avevano sensibili differenze tra impiegati e professionisti: due ca-tegorie sociali strettamente legate47. L’attività professionale, specie nei piccoli centri come Mondolfo, si presentava molto spesso non disgiunta dalla proprietà della terra; tra i professionisti, la gerar-chia si definiva dai livelli di reddito e dalla partecipazione alla vita politica e amministrativa del territorio. Nelle case di questo grup-po sociale quasi mai mancavano le “serve”: perlopiù giovani prove-nienti dalla campagna per aiutare la famiglia. “L’uso unanime del termine “serve”, che sostituiva, in questo periodo, ormai ovunque la vecchia espressione “famigli”, rinvia ad una completa femmini-lizzazione del personale domestico e, nella valenza fin troppo

espli-44 Cfr.: Ricci A., op. cit., p. 108.

45 Cfr.: Montroni G., op. cit., p. 391.

46 Montroni G., op. cit., p. 393.

47 Montroni G., op. cit., p. 394.

citamente dispregiativa del termine, a una loro utilizzazione preva-lentemente nei lavori più faticosi ed ingrati”48. Così, nelle faccende domestiche le padrone di casa curavano personalmente le compere,

citamente dispregiativa del termine, a una loro utilizzazione preva-lentemente nei lavori più faticosi ed ingrati”48. Così, nelle faccende domestiche le padrone di casa curavano personalmente le compere,

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