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La “percezione di sé”: nascita del sentimento di autocoscienza nazionale in

Ucraina

La “questione ucraina” dalla fine del XVIII secolo agli anni Quaranta dell’Ottocento

Nel corso della seconda parte del presente lavoro, l’attenzione si focalizzerà sulle manifestazioni culturali aventi come pro- prio oggetto la Piccola–Russia, come pure, più in particolare, sulla cultura piccolo–russa. Il primo capitolo cercherà di met- tere in luce le modalità attraverso le quali venne a prendere forma un’attenzione specifica nei riguardi di questa regione, primariamente da parte di letterati russi della fine del Settecen- to e dei primi decenni dell’Ottocento: questo ucrainofilismo “esogeno”, che prese le mosse dall’esterno, diede mostra di ad ammirare con grande enfasi lo stretto legame ravvisabile in Ucraina con la cultura popolare. La chiave di lettura per capire l’interesse dell’intelligencija russa nei confronti delle suggestioni ucraine riposa nella moda intellettuale romantica di inizio Ot- tocento: a quel tempo, infatti, l’etnologia si andava già facendo studio del folklore.

In questo più generale contesto si inserisce anche la produ- zione giovanile dello scrittore Nikolaj Gogol´ che, in ragione delle proprie irripetibili peculiarità, verrà trattata con particolare attenzione nel corso del presente lavoro.

Dato di fatto ai nostri fini ancor più rilevante, grosso modo nel corso degli stessi anni, alcuni scrittori diedero vita ad una

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prima produzione letteraria redatta nell’idioma piccolo–russo, esile ma non per questo meno significativa; di lì a poco, molti letterati dell’area si sarebbero affermati quali autori bilingui, in grado di scrivere tanto nell’idioma grande–russo — com’era stato sino a quella fase cosa del tutto normale —, quanto in quello piccolo–russo, nonostante i problemi derivati dall’ancora inesistente standardizzazione della lingua, tema di cui si tratterà nella Terza Parte dell’opera.

Quest’ultima forma di ucrainofilismo autoctono sarà de- finito “endogeno”, in quanto animato da intellettuali emersi dal grembo della nazione piccolo–russa; l’apporto di questi intellettuali diede un forte impulso alla diffusione della lingua letteraria e, indirettamente, dette la stura ai primi dibattiti rela- tivi all’autocoscienza nazionale della comunità ucraina. Notaria- mente, ciò è dovuto al fatto che, secondo la cultura romantica allora in via di piena affermazione, la lingua era ritenuta un elemento determinante ai fini dell’identificazione nazionale.

Il secondo capitolo, dal canto suo,i prefigge lo scopo di spie- gare come, alla metà degli anni Quaranta, presso l’Università di Kiev, di recente fondazione, si venne a formare un primo gruppo di “filologi sognatori” (i membri della “Confraternita Cirillo–Metodiana”), i quali giunsero a considerare l’Ucraina quale una nazionalità a sé stante e pienamente compiuta, auten- tica “chiave di volta” di una vagheggiata federazione panslava, democratica, repubblicana e pacifista, oltre che fondata sulla base di criteri evangelici. Gli animatori di questo manipolo di intellettuali ucrainofili furono primariamente lo storico Nikolaj (Mykola) Kostomarov, giovane docente di “Storia della Russia”, il poeta Taras Ševˇcenko, servo della gleba affrancato, i cui versi scritti in ucraino sarebbero presto stati giudicati sovversivi dalla censura di Stato, e l’insegnante di liceo Pantelejmon Kuliš, dai natali non nobili, il quale, come si vedrà più dettagliatamen- te nella Terza Parte, sarebbe presto divenuto l’autore di una codificazione linguistica rimasta in vigore piuttosto a lungo.

L’attività della Confraternita verrà esaminata da vicino: sa- ranno analizzati i “manifesti” da questa prodotti, la sua ideolo-

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gia, i suoi punti di riferimento culturali, i modi della socialità dei Bratˇcyky. In particolare, saranno parafrasati con particolare acribia i “Libri della genesi del popolo ucraino”, espressione dell’idem sentire degli affiliati e, allo stesso tempo, summa della visione storiosofica del Kostomarov giovane.

Concludo con un avvertimento, indirizzato innanzitutto ai cultori della materia. Specialmente nel corso del capitolo in- centrato sull’analisi del pensiero elaborato dalla “Confraternita Cirillo–Metiodiana”, potrà apparire che il ricorso ai termini “slavofilismo” e “panslavismo” non si armonizzi pienamente al-

l’uso ritenuto in genere corretto, fatto proprio dalla letteratura scientifica. E cioè: normalmente si intende per “slavofilismo” l’ideale culturale — politicamente inoffensivo — sviluppato nella prima parte dell’Ottocento, volto a sottolineare, anche solo in chiave utopistica, l’apparentamento esistente fra le varie culture slave, tanto da un punto di vista linguistico quanto, al limite, etnico; il “panslavismo”, invece, è generalmente consi- derato la degenerazione del precedente afflato, talora persino virulenta, tesa a favorire l’unificazione della Slavia, intendendo spesso, esplicitamente o meno, che ciò sarebbe dovuto avvenire sotto l’egida russa, ossia dell’unico Stato nell’Europa di quel tempo incentrato su di una nazionalità slava. La Russia zarista, inoltre, era l’unica nazionalità titolare di un potente Stato, e conseguentemente di un altrettanto potente esercito. Nell’e- conomia del presente lavoro, il problema scaturisce dal fatto che il pensiero dei “Confratelli” risultava in un qualche modo spurio: culturalmente rientrava appieno nella prima categoria ma, poiché costoro avanzavano delle pretese politiche (prive di contatto con la realtà finché si vuole, ma comunque di tipo ormai politico, tanto che queste dovettero essere ritrattate in sede di processo), questo risultava partecipe, sia pur marginal- mente, anche della seconda categoria. Inoltre, nel tentativo di lumeggiare la visione di Kostomarov, si farà riferimento alla sua idealizzata “federazione panslava” (e non “slavofila”, il che non avrebbe molto senso) sulla base di una evidenza etimologica: lo storico, infatti, teorizzò uno Stato federale che raccogliesse

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tutte le nazionalità slave. Tenuto conto di tutto ciò (e pur fatto salvo il precedente distinguo), come altro riferirsi a questo di- segno kostomaroviano se non definendo tale federazione, per l’appunto, “pan–slava”?

.. I prodromi della “questione ucraina”: dalla fine del Set- tecento agli anni Trenta dell’Ottocento

... Inquadramento generale del periodo

Analizzati sino a qui in modo generale i rapporti intercorsi fra la compagine imperiale e le comunità non–russe stanziate nella sezione europea dell’Impero zarista, e in particolare il gruppo etnico ucraino, è necessario passare a spiegare quali furono le tappe attraverso le quali prese forma la cosiddetta “questione (nazionale) ucraina”

.

Sulla base della più consolidata tradizione storiografica ucrai- na, buona parte delle manifestazioni culturali palesatesi nel cor-

. Nel suo saggio Les deux panslavismes, lo slavista Cyprien Robert, cui si farà riferimento più sotto, avrà modo di affermare: « Le panslavisme, si l’on veut définir dans sa acception rigoreuse, est la réconciliation, le rapprochement fraternel, et fina- lement la réunion de tous les Slaves en un seul corps moral », citato in M. V,

La diffusione del pensiero mazziniano in Ucraina nell’Ottocento, in Il mazzinianesimo nel mondo, a cura di G. Limiti, Pisa, Istituto Domus Mazziniana, , p. . Queste parole mettono in luce un modo diverso, e sostanzialmente pacifico e democratico di intendere il panslavismo, diversamente rispetto a come generalmente tale concetto viene recepito.

. Ricorro all’espressione “questione”, benché generica e, secondo alcuni so- vrasfruttata, per designare la nascita del movimento nazionale, e le problematiche che esso generò quando entrò in attrito — anche semplicemente potenziale — con la volontà accentratrice dell’Impero. Tale espressione (ukrainskij vopros) è utilizzata da Aleksej Miller, considerato il massimo esperto del tema, come pure da Giulia Lami, nel libro più accurato presente nel panorama italiano su tale argomento, già in precedenza citato: dunque, intendo esplicitamente riconnettermi a questo solido topos, e non fare pigramente ricorso ad una dicitura di comodo, cui troppo spesso si ricorre in ambito storiografico e non. Ringrazio il Prof. Attila Pók per aver suscitato, con le sue critiche, una riflessione su di un tema che avevo dato sulle prime passivamente per scontato.

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so dei primi due terzi del XIX secolo viene ricompresa sotto la definizione di “Romanticismo ucraino”. Si tratta, dunque, di « un’originale sintesi tra il contributo della cultura elitaria e quello della cultura popolare »

, sintesi nella quale il tema nazionale, molto timido in origine, iniziò a manifestarsi in ma- niera sempre più netta nel corso dell’Ottocento, per giungere poi ad approdi significativi negli anni Quaranta dello stesso secolo, e per poi assurgere, infine, ad un ruolo di primo pia- no nel corso dei primi anni Sessanta. Nonostante il montante interesse suscitato da tale problematica, occorre una volta di più puntualizzare che essa fu oggetto di riflessione da parte di elementi appartenenti ad una ristretta intelligencija, e non fu ancora appannaggio dell’interesse delle masse.

Viene a questo punto utile periodizzare più precisamente l’epoca che costituisce l’oggetto dell’analisi, sulla base della critica storiografica sedimentatasi intorno a queste tematiche: come prima cosa, verrà delineata la cornice più generale en- tro la quale si venne progressivamente a dipanare la vicenda dell’ucrainofilismo. Il fine è quello di poter comprendere le dinamiche culturali che plasmarono gli ambienti intellettuali ucraini nella loro complessità, nonché la loro interazione con gli ambienti esterni (il potere zarista, come pure altri circoli cul- turali). Ciò sarà d’aiuto al fine di ricavarne una limpida visione d’insieme.

Per quanto riguarda l’intero Impero zarista, ma in particola- re la sua sezione europea, gli anni di fine Settecento e il primo ventennio dell’Ottocento furono profondamente segnati prima dall’egida del pensiero e dell’azione concreta di Caterina II, e poi dall’esperienza della Guerra Patriottica combattuta contro Napoleone, come pure dalle conseguenti pulsioni politiche, coagulatesi intorno alle sette massoniche che avrebbero di lì a pochi anni determinato la magmatica rivolta decabrista. Que- sto è generalmente considerato il periodo dell’“incubazione” dell’idea nazionale in Russia.

 Le due nazionalità della Rus’

Il periodo successivo, quando dunque la pur sparuta intellet- tualità ucrainofila si impegnò per diffondere fattivamente l’idea nazionale (la “fase A” di Hroch), fu caratterizzato dallo sviluppo del Romanticismo ucraino, il quale — come generalmente la critica afferma

— avrebbe esplicato effetto sino agli anni Ses- santa del XIX secolo. Questo periodo romantico è ricompreso interamente entro l’analisi svolta dal presente saggio. Secondo il noto critico letterario e poeta ucraino Mykola Zerov (– ), il cui schema interpretativo verrà adottato nel corso del presente lavoro, il Romanticismo ucraino si articolerebbe al proprio interno in tre fasi distinte:

La prima è il « charkivs´kyj period » (periodo charkiviano), e va dagli anni Venti–Trenta fino alla metà degli anni Quaranta; parte cioè dai primi studi storici ed etnografici [. . . ] per arrivare alla partenza di Kostomarov dalla città. Negli anni Trenta il movimento romantico muove i primi passi anche nella Halyˇcina

[Galizia; n.d.a.]. La se- conda fase è il « kyjivs´kyj period » (periodo kieviano), che va dagli anni Quaranta alla primavera del  (con l’arresto dei membri della « Fratellanza Cirillo–Metodiana »). Il « Romanticismo kyjivia- no » rappresenta l’apice del movimento. Negli anni Cinquanta l’i- nasprimento della reazione politica soffoca questi fermenti, che si riproporranno però con forza verso la fine degli anni Cinquanta. E questa è la terza fase del Romanticismo ucraino, il « peterburz´kyj period» periodo pietroburghese, che va dal  (con la morte di Ni- cola I e i cambiamenti della politica governativa) al  (con inizio della disgregazione del gruppo degli intellettuali ucraini transfughi nella capitale). Quest’ultima fase viene anche chiamata da Zerov « epoca dell’“Osnova” » (Fondamento, dal nome di un’importante rivista letteraria che esce a Pietroburgo negli anni –). Anche

ˇ

Cyževs´kyj suggerisce uno schema simile. Dalla metà degli anni Quaranta la letteratura ucraina (prima in poesia, poi in prosa) vede la nascita del realismo, che diventa corrente letteraria dominante, praticamente fino all’avvento del Modernismo.

.

. Una periodizzazione che differisce in modo non irrilevante rispetto a quella sopra indicata è quella proposta in: G, Ukrainian–Russian Relations. . . , cit., pp. –.

. Cfr.: L, La questione ucraina. . . , cit., .

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Si terrà a conto di questa periodizzazione — a quanto mi consta sostanzialmente condivisa dalla maggior parte della cri- tica — per l’intero sviluppo del presente lavoro, anche perché la scansione relativa al periodo romantico calza perfettamente con i principali cicli dell’esperienza di studio — e, lato sensu, politica — sviluppati dallo storico Kostomarov.

Limitando lo sguardo alla “questione ucraina” che prese forma all’interno dell’Impero zarista, il periodo romantico ana- lizzato in questo paragrafo

si caratterizza per aver dato alla luce le prime manifestazioni di orientamento ucrainofilo, tut- te limitate — in questa fase — entro una sfera squisitamente culturale. Si ritiene che questa fase abbia avuto inizio con la pubblicazione dell’Eneijda da parte di Ivan Kotljarevs´kyj, opera scritta a partire dal , e pubblicata a Pietroburgo nel 

; il termine di questo periodo si fa coincidere, convenzionalmente, con gli anni Trenta, gli anni in cui Ševˇcenko, e anche Gogol´ (benché l’opera di quest’ultimo si fosse rivelata meno incisiva ai fini dello sviluppo della questione nazionale ucraina intesa secondo un’accezione pre–politica) conquistarono una solida fama grazie ai loro scritti giovanili.

Dunque, l’analisi del tema in oggetto prenderà avvio metten- do a fuoco le dinamiche culturali che presero forma nell’arco di poco più di trent’anni, fra gli ultimi mesi di regno di Caterina II e la prima fase della “restaurazione” post–decabrista posta in essere da Nicola I.

Più in generale, esaminando ad un livello complessivo la politica imperiale, il periodo qui considerato si dimostra con- tradditorio, greve di avvenimenti di tenore eterogeneo, entro i cui limiti si formò il primo embrione ucrainofilo. Il primo sovrano russo al potere nell’Ottocento fu Paolo I, “l’Impera- tore pazzo”

, che fu car´ per pochi anni in seguito alla morte

. Cfr.: ivi, p. . . Cfr.: ivi, p. .

. Walicki ci ricorda come fosse stato per primo lo storico e scrittore Karamzin a bollare in questi termini Paolo I, « sovrano tirannico quanto Ivan il Terribile », A.

 Le due nazionalità della Rus’

di Caterina II, durante i quali questi si spese per rinnegare le riforme intraprese dall’odiata madre, irrigidendo ancor di più il sistema della servitù della gleba.

Dopo che una congiura di palazzo ebbe messo fine alla tor- mentata esistenza di Paolo I, fu il turno di suo figlio Alessandro I reggere le sorti dell’Impero bi–continentale: questi regnò per un periodo di tempo indubbiamente significativo (sino al ), e i suoi esordi fecero esultare i sostenitori di una svolta liberale. Infatti, educato alle migliori idee illuministiche per volere di sua nonna, Caterina la Grande, questi esordì quale modernissimo “giacobino sul trono”, affidando il rinnovamento dell’Impero in particolare alle riforme di Michail Speranskij , intellettuale di umili origini e di belle idee, formatosi alla scuola giuridica francese. L’epilogo vittorioso della Guerra Patriottica condotta contro Napoleone fece propendere Alessandro I per un impre- visto revirement indirizzato alla volta di una politica — interna quanto esterna — più chiusa e reazionaria, durante la quale — resosi attivo sostenitore e propulsore della Santa Alleanza () — incarnò il ruolo di massimo paladino della Restaurazione.

Significativamente, il principale esecutore della sua politica di- venne il Ministro degli Esteri Karl Nessel´rode, di piglio molto conservatore ed elitarista, mentre Speranskij finì emarginato nell’ombra, almeno provvisoriamente.

L’ultima parte del periodo qui preso in considerazione coin- cide con i primi anni di potere di Nicola I (–), il quale salì al trono dopo la breve ma intensa fiammata rivoluzionaria decabrista, il cui significato profondo sarebbe in seguito po- tentemente riemerso — lo si vedrà anche in relazione al caso ucraino — alla stregua di un fiume carsico. Per la storiografia, Nicola I fu da considerarsi prima di tutto il “gendarme d’Euro- pa”

, in ragione del fattivo aiuto portato ai barcollanti equilibri

W, Una utopia conservatrice. . . , cit., p. , nota .

. « Lo zar, autentico “gendarme” trasforma l’intero paese in una caserma, in una “piramide del crimine con alla base seicentomila macchine organiche con tanto di baionette” (A. Herzen) », in P, Civiltà letteraria ucraina. . . , cit., p. . Coerentemente con il proprio punto di vista, la Pachl´ovs´ka cita per l’appunto

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di Ancien Régime ai danni delle insurrezioni scaturite al tempo della “Primavera dei Popoli” del biennio –’; a giudicare più da vicino, però, lo stesso Nicola I seppe allo stesso tempo dare avvio ad una serie di ben ponderate riforme burocratiche interne, probabilmente poco visibili, ma che furono in grado di svelare il loro benefico effetto solo qualche tempo più avan- ti, agevolando così l’intensa attività riformistica voluta dal suo successore Alessandro II (–). Infatti, quest’ultimo, agli esordi del suo regno, si dimostrò fattivamente incline ad una azione innovatrice di stampo liberale, molto vigorosa e non priva di coraggio, benché fortemente attesa e diremmo qua- si invocata da molti degli ambienti che formavano l’opinione pubblica colta.

L’epoca in cui la questione nazionale ucraina prese le mosse appare dunque un periodo di trapasso da un sistema autocra- tico molto accentrato, ispirato ad un Illuminismo di matrice settecentesca, che certo non scalfiva affatto la pienezza del po- tere autocratico, a un periodo di tenuta ancora sostanzialmente forte del modello di antico regime, percorso però da fermenti sia riformistici che addirittura rivoluzionari, seppure condivisi solo da poche frange dell’aristocrazia più sensibile all’eredità del pensiero francese. Alcuni tentativi di reimpostare gli assetti dell’Impero zarista su basi più moderne erano stati avviati a più riprese, persino da parte degli imperatori considerati — in un’ot- tica complessiva — più restii al cambiamento politico: tutto ciò, però, non aveva favorito alcun risvolto positivo nei confronti dell’elemento nazionale ucraino, cui non solo non era ricono- sciuta alcuna specifica “alterità” nazionale — in continuità con il passato — ma le cui prerogative di autogestione amministrativa, di antica discendenza, erano state definitivamente conculcate già alla fine del Settecento. Per effetto di ciò, l’oramai nascente ucrainofilismo si sarebbe sin da subito indirizzato verso un ro- manticismo allineato con le mode culturali coeve, orientandosi

il pensiero di Aleksendr Ivanoviˇc Gercen / Herzen, il quale fu un intransigente avversario del regime autocratico.

 Le due nazionalità della Rus’

verso un misticismo teso a rinnegare le forme più radicali del portato del pensiero illuministico, percepito come estraneo, quando non del tutto ostile: quest’ultimo, infatti, veniva consi- derato quale orientamento caratterizzante l’opera di Pietro I e, soprattutto, di Caterina II, interpretati dagli intellettuali ucraino- fili quali i due massimi avversari delle libertà cosacche, e perciò delle prerogative (pre–) nazionali ucraine.

Oltretutto, l’ucrainofilismo si dimostrava consonante rispet- to al più generale clima culturale romantico e patriottico che stava influenzando l’intera Europa del tempo. Per tale motivo il centro dell’Impero valutò questo movimento come foriero di disgregazione, e gli intellettuali che vi aderirono come dei potenziali rivoluzionari.

.. I primi fermenti ucrainofili

L’individuazione del momento genetico di un insieme di pul- sioni culturali concordemente tese a sottolineare l’originalità della nazione ucraina pone alcuni problemi di definizione, e non è di per sé da considerarsi come pacificamente acquisita. Come sopra anticipato, si intende proporre qui una distinzio- ne fra due tipi di ucrainofilismo, tra loro diversi: da un lato, la diffusione e l’immediato, solido radicamento di una sen- sibilità di matrice romantica, che spronava molti intellettuali russi alla volta della “riscoperta” delle tradizioni popolari e del- l’etnografia piccolo–russa, giudicate perfettamente integre e genuine a dispetto di quanto avveniva anche semplicemente nella contigua Grande–Russia, la quale veniva criticata per es- sere meno conservatrice in fatto di costumi popolari e meno capace di difendere la propria tradizione culturale (di qui in avanti, questo sarà detto “ucrainofilismo esogeno”). O, per esprimere ciò in termini slavofili, gli etnografi grandi–russi giudicavano la Russia propriamente detta (ed in particolare la capitale imperiale, incarnazione dell’idea che della Russia

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