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La memoria dell’eroe

3.3 Percival e la poesia

Nel «play-poem»393 che Virginia Woolf scrive tra il 1929 e il 1931, e che solo alla

fine della prima stesura prenderà il titolo di The Waves, la poesia riveste – come risulta chiaro dalla definizione che la scrittrice stessa gli attribuisce nel diario – un ruolo di assoluto rilievo.

In quest’opera, la qualità sperimentale della scrittura woolfiana trova la sua piena applicazione nella scelta compositiva di attenuare i confini tra prosa e poesia e, di conseguenza, di rinunciare alla trama in favore del ritmo.

Nella lettera a Vita Sackville West del 16 marzo del 1926, del resto, Virginia Woolf già scriveva:

Style is a very simple matter: it is all rhythm. Once you get that, you can't use the

wrong words. […] Now this is very profound, what rhythm is, and goes far deeper than words. A sight, an emotion, creates this wave in the mind, long before it makes words to fit it; and in writing (such is my present belief) one has to recapture this, and set this working (which has nothing apparently to do with words) and then, as it breaks and tumbles in the mind, it makes words to fit it.394

Se per la scrittrice lo stile è sempre stato una questione di ritmo, e per quanto ciò emerga chiaramente da tutte le sue opere, è in The Waves che Woolf metterà particolarmente a frutto tale convinzione, realizzandola compiutamente. Qui più che altrove, infatti, l’autrice perseguirà il proposito di ricreare e di rendere, attraverso la scrittura, quella «wave in the mind»395 di cui parla nella lettera indirizzata all’amica.

393 The Diary of Virginia Woolf, op. cit., vol. III, p. 247, così nel diario Woolf definisce Le onde.

394 The Letters of Virginia Woolf, op. cit., vol. III, p. ; Scrivi sempre a mezzanotte, op. cit., p. 81 «Lo stile

è una cosa molto semplice: è ritmo. Una volta preso il ritmo, non puoi usare parole sbagliate. […] L’essenza del ritmo è arcana, è più profonda delle parole. Uno spettacolo, un’emozione sollevano un’onda nella mente prima ancora che si presentino le parole adatte a esprimerli; quando scriviamo (questo è ciò che penso ora) dobbiamo richiamare l’emozione alla memoria e lasciare che operi (una cosa che non ha evidentemente niente a che fare con le parole) e, intanto che si agita nel fondo della mente, trovi le parole adatte.».

Nel maggio del 1929, mentre sta ragionando su come procedere per la scrittura delle Onde, Woolf annota nel diario: «I am not trying to tell a story. Yet perhaps it might be done in that way. A mind thinking. […] Life itself going on.». 396

L’intenzione con cui la scrittrice si accinge ad affrontare la sua nuova opera non è, per l’appunto, quella di raccontare una storia, non è la trama che le interessa, ma la possibilità di restituire, attraverso una scrittura “a ritmo”, i movimenti di «una mente che pensa» e della «vita in sé che procede».

Si tratta di una sfida difficilissima, cui Woolf farà fronte dando alla sua opera una struttura bipartita: il libro si comporrà infatti di dieci interludi, che introdurranno nove sezioni di soliloqui, condotti dalle voci di sei personaggi.

Agli interludi, brani di prosa lirica in terza persona, sarà affidato il compito di portare sulla scena la forza impersonale della Natura, nel suo procedere impassibile e distante: il sole con le sue diverse posizioni nell’arco della giornata; le onde che battono e ribattono sulla riva; il canto degli uccelli; lo stormire delle foglie; tutto ciò, insomma, che concorre a rappresentare l’andamento ciclico, e incurante, della «vita in sé».

Ai soliloqui, invece, spetterà la resa delle oscillazioni della «mente che pensa», ottenuta attraverso i flussi di coscienza dei sei personaggi – Bernard, Susan, Rhoda, Neville, Jinny, e Louis.

Per tutta la durata del romanzo, ad alternarsi e confrontarsi sulla scena, saranno quindi due cadenze distinte, il tempo della Natura e il tempo della creatura:

A tema è lo scontro tra due ritmi, quello ciclico dell’eterno ritorno di un’energia apparentemente senza entropia, senza dispendio; e il misurato e miserabile consumo di forza – lo sforzo dell’individuo, la spesa, lo spreco di energia senza ritorno, la perdita.397

Al fluire eterno, disumano, insensibile della Natura, l’individuo sembra opporre di volta in volta la sua fragile, inquieta, esperienza del tempo. È nella resa di questa dialettica antagonistica che Woolf individua il fine ultimo della sua opera, ovvero quello

396 V. Woolf, The Diary of Virginia Woolf (1925-1930), op. cit., vol. III, p. ; «Ma io non voglio raccontare

una storia. Forse si potrebbe fare così. Una mente che pensa […] La vita in sé che procede» (trad. it. N. Fusini in ).

di mostrare la creatura nell’atto di compiere lo sforzo smisurato, eroico, di confrontarsi col ritmo vasto e indifferente del ciclo della vita (e della morte).

Da questo punto di vista, il «caleidoscopio di coscienze» costituito dai sei personaggi mira a rendere conto della «varietà delle esperienze umane»398 su più livelli: The Waves si configura come «un’autobiografia che è anche la biografia di uomini e donne [….] e nella sua onda più vasta, una cosmogonia»399.

Ai fini della nostra analisi, ci sembra importante riflettere sul dato che al centro dell’esperienza di questi uomini e donne – ovvero al vertice della cosmogonia che essi mettono in scena – ci sia sempre la rappresentazione, mitica e rarefatta, di un altro essere umano: la figura che domina le visioni e i racconti dei sei protagonisti è quella di Percival, il settimo personaggio del romanzo, che non parla mai con la propria voce, ma di cui tutti gli altri raccontano.

Creatura lontana, irraggiungibile, proveniente da un altro tempo, Percival si staglia sulla scena del romanzo come l’idolo attorno a cui si riuniscono e coagulano le singole esperienze dei personaggi. È Percival, l’eroe, che con la sua sola esistenza – per quanto remota e inafferrabile – dà unità alle voci dei protagonisti.

Ecco come, in una delle sue prime apparizioni, egli viene descritto:

There he sits, upright among the smaller fry. He breathes through his straight nose rather heavily. His blue and oddly inexpressive eyes are fixed with pagan

indifference upon the pillar opposite. […] He is allied with the Latin phrases on

the memorial brasses. He sees nothing; he hears nothing. He is remote from us all in a pagan universe.400

La parentela di Percival con le frasi latine incise nel bronzo segnala fin da subito la sua appartenenza a un altro mondo e un’altra epoca; è da un universo pagano, antico, che egli attinge e diffonde la sua luce. In questo senso, ci sembra che lo statuto del personaggio di Percival corrisponda a ciò che Maurice Blanchot ha scritto a proposito

398 N. Fusini, “Le onde: commento e note al testo”, in V. Woolf, Romanzi, op. cit., p. 1384. 399 ibid.

400 V. Woolf, The Waves [d’ora in poi Waves], p. 25; Le onde, [d’ora in poi Onde], p. 24: «Eccolo lì

seduto ben eretto, tra i piccoli. Respira profondamente dal naso dritto. Gli occhi azzurri stranamente inespressivi fissano con pagana indifferenza la colonna di fronte. […] È parente di quelle frasi latine incise nel bronzo. Non vede nulla: non sente nulla. È lontanissimo da noi, in un universo pagano.».

dell’identità dell’eroe: «è necessario che […] l’eroe, il primo uomo per eccellenza, sia un uomo venuto da lontano, una meraviglia ereditaria ricevuta e trasmessa».401

Look now, how everybody follows Percival. He is heavy. He walks clumsily down the field, through the long grass, to where the great elm trees stand. His

magnificence is that of some mediaeval commander. A wake of light seems to

lie on the grass behind him. Look at us trooping after him, his faithful servants, to be shot like sheep, for he will certainly attempt some forlorn enterprise and die in

battle.402

Come mostra il passo appena riportato, all’interno della scuola privata di Elvedon, dove si svolge la prima parte del romanzo, tutti ammirano e seguono – come pecorelle, come servi fedeli – Percival, che nell’essere associato a un «condottiero medievale», chiarisce definitivamente il modello cui la scrittrice sta guardando per la caratterizzazione del personaggio.

La memoria dell’eroe graaliano si fa esplicita: Percival nasce da alcuni frammenti di Perceval/Parsifal che Virginia Woolf rielabora e dissemina all’interno della sua opera.

Anche se cammina sgraziatamente, goffamente – si noti l’avverbio «clumsily», lo stesso utilizzato per descrivere il portamento di Orlando – Percival è magnifico, porta con sé una luce sublime, solenne, che pare preannunciare un destino tragico, per quanto coerente con il suo eroismo: la morte in battaglia.

Ma le caratteristiche che fanno di Percival un «condottiero», un leader, non sono certo tutte positive, anzi. Percival è violento, materiale, c’è qualcosa di distruttivo in lui:

This I see for a second, and shall try tonight to fix in words, to forge in a ring of

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