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e percorsi di autonomia di un monastero femminile (Venezia, secolo XII)

Nel documento Vedi V. 20 N. 2 (2019) (pagine 127-155)

di Anna Rapetti

Il monastero femminile di San Zaccaria di Venezia, fondato nel IX secolo, adotta intorno alla metà del XII secolo le consuetudini di Cluny. Questo contributo vuole dimostrare che la deci- sione, riconfermata più volte nel corso del tempo, contribuisce al rilancio del cenobio dopo un periodo di difficoltà, e anche se non comporta il formale collegamento del cenobio alla congrega- zione borgognona, lo proietta per la prima volta in una dimensione sovralocale. Tale proiezione è ben visibile circa cinquant’anni più tardi, quando le monache si presentano a Verona e trattano con il podestà e le autorità veronesi una questione patrimoniale che ha importantissime impli- cazioni di natura politico-territoriale per entrambe le città.

The female monastery of San Zaccaria in Venice, founded during the 9th century, adopted the customs of Cluny around the mid-12th century. This paper aims to demonstrate that such a move,

confirmed over and again, contributed to the revival of the monastery after a period of serious difficulty and, even if it did not imply the creation of a formal connection with the Burgundian congregation, the adoption of such customs projected San Zaccaria, for the first time, onto a supra-local dimension. This became clear some fifty years later, when the nuns went to Verona to discuss with the podestà, and all of the major city authorities, a patrimonial issue that proved to have relevant political and territorial implications for both cities.

Medioevo; secolo XII; Venezia; Cluny; congregazioni; monache; comune. Middle Ages; 12th century; Venice; Cluny; congregations; nuns; commune.

1. Monasteri femminili tra protezione e autonomia

I monasteri femminili vanno incontro, nel corso del XII e XIII secolo, a for- me di controllo sempre più vincolanti da parte delle autorità religiose centrali

e locali, attraverso la leva dell’incorporazione alle grandi congregazioni1, e di

1 I modi, i tempi, gli strumenti e i protagonisti del costituirsi di ordini monastici tra XI e XIII

secolo, processo inteso come manifestazione caratteristica dei più generali fenomeni di istitu- zionalizzazione svoltisi nelle società medievali, sono oggetto di studi sistematici da molti decen- ni. Nell’ormai abbondantissima produzione storiografica mi limito a segnalare la messa a punto

Reti Medievali Rivista, 20, 2 (2019) <http://rivista.retimedievali.it> ISSN 1593-2214 © 2019 Firenze University Press DOI 10.6092/1593-2214/6260

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quelle laiche in ambito urbano2. Il controllo limita in modo spesso sostanziale

la capacità di azione autonoma nell’ambito economico, la mobilità delle donne, la partecipazione dei cenobi alla vita politica, analogamente a quanto avviene in molte comunità maschili, ma in misura di solito superiore. I processi che modificano il ruolo e le funzioni esercitati fino a quel momento dai monasteri, avviati dalle profonde novità politiche e istituzionali che si dispiegano in quel secolo, sono infatti particolarmente incisivi per le donne religiose e suscitano

frequenti problemi disciplinari3. San Zaccaria di Venezia, antica fondazione

ducale, si sottrae a questo destino: ricco e potente, agisce non come soggetto autonomo e privo di condizionamenti, ma pur impostando la sua strategia in stretta connessione con i protagonisti della vita politica della città, esprime orientamenti propri, che incorporano anche i rapporti instaurati con i centri di potere vicini. Tali orientamenti si concretizzano a metà del secolo XII, quando l’ente mette in atto un vero e proprio rilancio, politico ancor prima che econo- mico, della comunità, che passa attraverso l’adozione di nuove consuetudini monastiche.

Quando si svolgono i fatti qui esaminati, compresi tra la metà e la fine del XII secolo, il monastero femminile benedettino di San Zaccaria di Venezia ha alle spalle una storia plurisecolare carica di prestigio. Nato per iniziativa du- cale tra 828 e 829, negli stessi anni in cui ha inizio a Rialto la storia della città, ha saputo adattarsi alle continue trasformazioni, consolidando nel tempo il proprio ruolo simbolico di monastero del doge e perciò della città, e la pro- pria dotazione patrimoniale in terraferma, particolarmente consistente nei

relativa ai benedettini di Lucioni, Percorsi di istituzionalizzazione. Nelle ricerche relative a questo tema, le comunità femminili benedettine sono a lungo rimaste ai margini degli interessi degli studiosi, confinate in un ruolo passivo di controparte delle autorità maschili, ecclesiasti- che e laiche, priva però di potere contrattuale. In altre parole, a lungo «the historiography of female monasticism treat[ed] this “social and cultural phenomenon” as nothing more than a variant of a collective defined by its condition of being non-male» (Burton, Stöber, Introduction, p. 3). La produzione storiografica si sta però arricchendo negli ultimi anni di un numero cre- scente di indagini sui cenobi di donne: tra queste, un caso-studio cronologicamente congruente con la presente ricerca è quello elaborato da Cariboni, Frauenklöster, sulle comunità femminili della Lombardia dei secoli XI-XIII.

2 Un’ottima ricostruzione dei complessi rapporti tra monasteri, poteri cittadini e residui – ma

non inattivi – poteri signorili nel Veneto dei secoli centrali è offerta da Bortolami, Monasteri e

comuni.

3 Il tema della relazione, nei monasteri femminili, tra disciplina comunitaria e iniziative rifor-

matrici è stato di recente affrontato in una nuova prospettiva da Steven Vanderputten, Dark

Age. L’autore mette radicalmente in discussione, per tutto il periodo compreso tra l’età carolin-

gia e il secolo XI, il nesso causale tra decadenza (morale, spirituale, economica, istituzionale) delle comunità e introduzione delle riforme. A suo parere, le numerose situazioni di “disordine” dei cenobi della Lotaringia da lui studiati, denunciate dai riformatori soprattutto, e in misura crescente, a partire dal secolo XI, devono invece essere considerate altrettante espressioni di autonome e differenti identità spirituali e istituzionali, elaborate dalle singole comunità all’in- terno di specifiche condizioni ambientali e politiche (Vanderputten, Dark Age, pp. 155-158). Non si può comunque negare che le riforme dei cenobi della Lotaringia studiati dall’autore de- terminarono spesso severe «restrictions on the agency of local leaders, particularly abbesses» (ibidem, p. 157).

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territori di Ronco all’Adige, nel Veronese, e di Monselice, nel Padovano4. La

città lagunare conosce nel XII secolo numerosi e complessi cambiamenti che, dagli anni Quaranta in poi, subiscono una netta accelerazione nell’intero spa- zio politico ducale: la nascita di istituzioni di tipo comunale e il conseguente

ridimensionamento del potere del doge5 provocano una profonda alterazione

degli equilibri politici e sociali che avevano retto la città fino ad allora, mentre altri poteri forestieri, fino a quel momento lontani e inattivi, irrompono nella scena veneziana. Tutto ciò determina la necessità, per molti dei tradizionali protagonisti della vita politica, sociale e religiosa, di trovare una nuova collo- cazione nella città in fermento, nuovi alleati e nuove reti di relazioni. Gli enti religiosi in particolare, considerati ormai da parte dei gruppi dirigenti poco controllabili, proprio a causa degli inediti legami che stringono con centri di potere esterni al ducato, dopo la nascita del comune vengono di fatto estro- messi dalla gestione degli affari politici e devono crearsi un diverso spazio di azione. San Zaccaria è tra quelli che riescono ad adeguarsi con successo, as- secondandoli, ai mutati assetti di potere, costruendo per sé una nuova forma di autonomia dalle pressioni politiche ed economiche a cui era tradizional- mente sottoposto, e conservando intatti, anzi accrescendo, prestigio, potenza e patrimonio. In quei travagliati decenni centrali del XII secolo, caratterizzati dall’alterarsi dei tradizionali equilibri cittadini, l’ente è uno dei protagonisti che agiscono in uno scenario molto complesso; da quelle vicende uscirà come un vero e proprio soggetto politico attivamente presente nel panorama citta- dino, ormai libero dalla tutela tradizionalmente esercitata dai suoi benefatto- ri, capace di attuare una politica in larga misura autonoma, e addirittura, da quel momento in avanti, di proporsi come rappresentante e difensore degli interessi veneziani. Entro il successivo cinquantennio l’ente coglierà l’occasio- ne di dispiegare solennemente, davanti a tutta la cittadinanza e alle potenze vicine, questa sua nuova identità istituzionale, autonoma dal potere ducale, rappresentandosi pubblicamente come vero e proprio corpo monastico, for- mato dalla badessa e dalle sue monache, sostenuto – ma non determinato – da un gruppo di uomini di potere; un corpo monastico che non solo non si isola affatto entro le mura claustrali – contrariamente a quanto richiede

4 Gli studi più recenti sul monastero sono raccolti nel volume «In centro et oculis urbis nostre»,

a cui si rimanda anche per la non abbondante bibliografia anteriore. Il ruolo simbolico di luogo della creazione e conservazione dell’identità e della memoria cittadina è confermato dalle sepol- ture di ben sette dogi e di loro familiari, morti tra il IX e il XII secolo: sulla funzione memoriale assolta lungo tutto quel periodo si veda Carraro, Il monastero di San Zaccaria, pp. 14-15. Sulla nascita di Venezia mi limito a ricordare il recente lavoro di Gelichi, Ferri, Moine, Venezia e la

laguna. Molti temi di ricerca emersi negli ultimi anni sono discussi nella rassegna di Rosé, Les moines et leur vie communautaire, con considerazioni, alle pp. 23-24, sull’influenza della Gender History sulle ricerche di storia monastica e delle comunità. Desidero qui ringraziare

Gian Maria Varanini per i molti e preziosi suggerimenti riguardanti uomini e fatti della Verona del tempo.

5 Rapide ma puntuali osservazioni sulla situazione politica degli anni qui presi in esame si tro-

vano in Gasparri, Dagli Orseolo al comune, in particolare nel testo corrispondente alle note 135-141.

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il vincolo della clausura, che va sempre più imponendosi in quei decenni –, ma che arriva addirittura ad agire politicamente in spazi destinati per anto- nomasia all’azione pubblica, quali la concio di una potente città comunale, e si dimostra capace di offrire al ducato “servizi” di natura diplomatica che si rivelano cruciali negli assetti politici del territorio.

2. La svolta

Nella già lunga storia del monastero, il XII secolo è foriero di novità parti- colarmente importanti, che segnano una vera e propria svolta nel corso delle

sue vicende. A metà di quel secolo6 si apre infatti per San Zaccaria e le sue mo-

nache una fase del tutto nuova: l’antico e prestigioso monastero, sino a quel

momento rigorosamente autocefalo e – secondo la narrazione storiografica7

– impermeabile, o almeno poco sensibile, ai venti di rinnovamento spirituale e istituzionale che spirano da qualche decennio sulle antiche come sulle re- centi fondazioni religiose, adotta nel 1151 le consuetudini di Cluny e ottiene la

protezione apostolica8.

Per il monastero è una scelta strategica, certamente pianificata con cura, come diversi indizi che esaminerò tra poco lasciano supporre, elemento cru- ciale di un vero e proprio disegno di rilancio del cenobio, della sua immagine e della sua posizione nel panorama cittadino; una decisione di grande rilevanza per i suoi effetti concreti, che si rivela cruciale sotto molti punti di vista. Con questa svolta, la fondazione emerge a un inedito livello di autonomia rispetto ai suoi tradizionali protettori, i dogi e le famiglie eminenti, un’autonomia che si dispiega pienamente negli anni successivi. Forte, da quel momento in avan- ti, dei privilegi concessi alle case cluniacensi, grazie alle consuetudini che si è data, anche la comunità veneziana può inserirsi in quel sistema di osservanza

su cui si fonda, nel XII secolo, l’Ecclesia cluniacensis9. Si è parlato, per questo

6 Il punto di partenza di questa ricerca si colloca esattamente là dove si ferma il recentissimo

saggio di Carraro, «Dominae in claustro».

7 Cracco, I testi agiografici. Rando, Una chiesa di frontiera, p. 156, esprime un giudizio molto

prudente scrivendo che «il movimento della cosidetta “Riforma ecclesiastica” (…) non fu del tutto estraneo al ducato».

8 Archivio di stato di Venezia, Corporazioni religiose soppresse (d’ora in poi ASVe), San Zacca-

ria, busta 1, n. 4. La trascrizione del documento – conservato in copia semplice mutila – si trova

in Corner, Ecclesiae venetae, decas XIII, p. 373: «Apostolici moderaminis clementie convenit religiosas personas diligere et eorum loca pie protectionis munimine defensare. Eapropter di- lecte in Domino filie vestris iustis postulationibus clementer annuimus et prefactum monaste- rium, in quo divino estis mancipate obsequio, sub beati Petri et nostra protectione suscipimus, et presentis scripti privilegio communimus. In primis siquidem statuentes ut ordo monasticus, qui secundum Dominum et Cluniacensium fratrum observantiam ibi noscitur institutus, per- petuis temporibus inviolabiliter conservetur».

9 Va ricordato, anche se non sorprende, che non vi è traccia di rapporti intrattenuti con altri

enti cluniacensi del nord Italia e neppure con il grande centro di organizzazione della spiritua- lità cluniacense in Italia, San Benedetto Polirone. Nel XII secolo, in cui si svolgono i fatti qui esaminati, non esisteva ancora un ordine cluniacense, che infatti assunse «esistenza giuridica»

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episodio, di una declinazione veneziana dell’adesione alla spiritualità clunia- cense, che si concretizza essenzialmente «sul piano generale della disciplina,

degli usus e delle consuetudines, intellettuale e spirituale»10. Ciononostante,

la bolla del 1151 è segnale e insieme motore di un vero e proprio nuovo corso per l’ente, che esce da un decennio assai turbolento, durante il quale – effetto collaterale delle tensioni in città – non è stata eletta alcuna badessa. In quegli anni infatti San Zaccaria, incapace di sottrarsi alle dinamiche conflittuali tra poteri laici e religiosi particolarmente aspre in quel periodo, rimane lette- ralmente imprigionata nello scontro che si trascina tra il patriarca filorifor-

matore Enrico Dandolo11 da una parte, e il doge Pietro Polani e il vescovo di

Castello Giovanni, esponente della stessa famiglia, dall’altra; scontro in cui il

cenobio è probabilmente, insieme ad altre più generali12, parte non secondaria

in causa.

La frattura tra doge e patriarca intorno al nostro cenobio doveva essersi

aperta nel 1141 o poco dopo13 per la richiesta di quest’ultimo, in ottemperan-

za al dettato della Regola di Benedetto, di consacrare la nuova badessa, che doveva succedere alla defunta Nella Michiel. Il doge si oppose, rivendicando

a sé tale prerogativa sulla base degli antichi diritti ducali di giuspatronato14.

Le contrapposte motivazioni dei protagonisti si fondavano, da un lato, sulla consuetudine antica della protezione e del controllo delle comunità monasti- che cittadine, maschili e femminili, esercitati dal doge e dall’aristocrazia cit- tadina, dall’altro sul nuovo dinamismo dei vescovi, impegnati ad affermare in modo ben più concreto che in passato le proprie prerogative giurisdizionali e la propria capacità di intervento nella vita delle istituzioni religiose della diocesi. Antico contro nuovo, verrebbe da dire, se non si trattasse di un’e- spressione abusata e, nel nostro caso, inappropriata. Anche se non conoscia- mo la posizione assunta dalla comunità nella disputa, pare evidente che per un decennio essa non riuscì a sottrarsi alle conseguenze della contrapposi- zione tra le parti. Nel 1145 la convocazione del cenobio davanti ai giudici del

solo a partire dal 1200. Sulla chiara distinzione, che è dunque anche cronologica, tra ecclesia e ordine vero e proprio si veda Iogna-Prat, Ecclésiologie, p. 11; Neiske, L’espansione di Cluny, pp. 186-187.

10 Rando, Una chiesa, p. 195.

11 Cracco, Dandolo Enrico: «la rivalità tra famiglie, che si esprimeva anche nella corsa al “pos-

sesso” delle cariche ecclesiastiche, tramite l’occupazione diretta dei vescovadi e l’avvocazia sui monasteri, può spiegare molti aspetti del burrascoso patriarcato del Dandolo», insieme al «fa- scino delle idee gregoriane e bernardine in tema di libertas Ecclesiae che il Dandolo fece pro- prie».

12 Le cause più generali dello scontro sono ricostruite da Orlando, Polani Pietro: gli accordi,

stretti nel 1147-1148 da Polani con i bizantini – scismatici – contro i cattolici normanni, alleati della Chiesa, furono condannati da Dandolo e dai sostenitori della riforma, tra cui vi erano i Badoer. Polani reagì ordinando l’esilio di Dandolo e la distruzione delle case dei Badoer; a quel punto il papa Eugenio III scomunicò il doge e lanciò l’interdetto sulla città.

13 All’aprile 1141 risale l’ultima attestazione della badessa Nella Michiel (Fees, Le monache di

San Zaccaria, p. 46).

14 L’intera vicenda, i cui contorni rimangono comunque piuttosto incerti, è ricostruita da Car-

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doge, per la conclusione di una vecchia vertenza patrimoniale, dovette essere notificata, in assenza della badessa, a due monache, le quali si qualificarono come primiceriae; costoro, nonostante il titolo genericamente distintivo che portavano, dichiararono di non essere in alcun modo in grado di sostituire la

badessa nelle sue funzioni15. Questa notizia, insieme ad altre considerazioni,

lascia intravedere uno stato di vera e propria paralisi. Possiamo immaginare che, in presenza di uno scontro di questa portata tra doge e patriarca, la situa- zione interna fosse ulteriormente aggravata dalle pressioni contrastanti delle potenti famiglie dell’aristocrazia, da cui in buon numero le monache proveni-

vano16, tutte interessate, in base alle opportunità e alle alleanze strette dentro

e fuori della comunità, a far eleggere le proprie congiunte al seggio abbaziale. La decisione di introdurre nuove consuetudini per risolvere uno stato di gravissima difficoltà interna dovette essere ben ponderata, e appare as- sai ragionevole alla luce della considerazione che esse offrivano, ad abati e badesse, uno strumento di governo delle comunità, utile soprattutto quando

queste attraversavano in momenti di particolari turbolenze17. In effetti, nel

caso veneziano si coglie quanto chiaramente dovesse essere percepita l’utilità di questi sistemi normativi, che potevano essere esportati anche in contesti del tutto particolari; la crisi di autorità abbaziale del decennio 1141-1151 parve felicemente superata – anche se in seguito vi furono pochi altri casi di elezioni

contrastate18 – e i network laici in cui l’ente agiva sembrarono, come vedre-

mo, consolidarsi e riorganizzarsi: l’imponente operazione sulle terre di Ronco all’Adige, di cui si dirà, divenne praticabile all’interno del processo appena delineato. La scelta di adesione fu irrevocabile, come ricorda la documenta-

zione più tarda19.

Chiave di volta di questa manovra è la scelta della monaca Giseltruda come nuova badessa, in una data che non conosciamo di poco anteriore al settembre

15 ASVe, San Zaccaria, busta 7, n. 17, novembre 1145: convocato il conventus davanti al doge per

la risoluzione di una lite, le due donne dichiararono «quod nichil dicere nec facere poterant quia habbatissam non habebant» (Carraro, La laguna delle donne, p. 47). Una delle due primiceriae si chiamava Zenda Michiel, membro di quella stessa famiglia che già aveva dato al cenobio due badesse (cfr. testo corrispondente alla nota 21), e di cui si parlerà diffusamente più avanti.

16 Il monastero è stato sempre considerato dagli studiosi espressione di quell’aristocrazia ve-

neziana a cui appartenevano anche le massime cariche laiche ed ecclesiastiche del ducato; su questo punto si veda da ultimo Rapetti, Una comunità e le sue badesse, in particolare p. 25.

17 Vanderputten, Reform, conflict, pp. XXIII-XXVII. Le consuetudini erano strumenti organiz-

zativi duttili, perché, come nel nostro caso, potevano essere trasmesse da un cenobio all’altro anche in assenza di vincoli giuridici di dipendenza: Andenna, Regole, consuetudini e statuti, in particolare p. 160. La semplice emulazione dello stile di vita, priva di implicazioni istituzionali, fu del resto uno dei pilastri su cui si fondò l’espansionismo cluniacense: Melville, Medieval mo-

nasticism, pp. 63-67.

18 Come avvenne dopo la morte di Giseltruda, nel 1175: al momento di eleggere la nuova bades-

sa, si aprì uno scontro tra fazioni contrapposte di monache – spalleggiate dai loro parenti – che elessero alla massima carica due monache contemporaneamente, Frosia e Casota (si veda oltre la nota 61 e testo corrispondente).

19 In una bolla di Bonifacio IX del 1398 si ricorda ancora l’«ordo monasticus qui, secundum

Dei et beati Benedicti regulam, atque institutionem et observantiam Cluniacensium fratrum, in eodem monasterio institutus esse» (Corner, Ecclesiae venetae, pp. 377-378).

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115120. Pur dimostrandosi particolarmente intraprendente e persino audace

nella sua politica, rimane tuttavia una figura misteriosa, di cui non sappiamo nulla al di fuori degli atti compiuti come capo della comunità monastica; nel quarto di secolo del proprio governo impresse comunque a San Zaccaria una direzione del tutto nuova. Presumibilmente era forestiera, forse proveniente dalla terraferma, come denuncerebbe il suo nome, estraneo al patrimonio ono-

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