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Percorsi di libertà fra Settecento e Ottocento

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I philosophes e la libertà di stampa

PATRIZIADELPIANO

Per ricostruire i vari e articolati percorsi di libertà delineatisi fra tardo medioevo ed età moderna, il Settecento offre una prospettiva peculiare, per- ché si verificò allora una svolta importante. Se la libertà è stata intesa nel corso della storia come privilegio, dissenso o ribellione, nel XVIII secolo essa assunse progressivamente un nuovo significato: quello di «diritto». È quanto si cerca di dimostrare in queste pagine, in cui il concetto di libertà è studiato con attenzione al problema della stampa ed è dunque associato alla facoltà di esprimersi per iscritto e sul piano pubblico1.

L’itinerario che dal mondo del privilegio ha condotto al mondo del di- ritto può essere collegato al passaggio, verificatosi fra Seicento e Sette- cento, dalla cultura del libertinismo a quella dell’illuminismo, un passaggio che è qui affrontato focalizzando l’attenzione sugli illuministi francesi e sulla loro riflessione in tema di libertà di stampa, appunto. I philosophes, in effetti, andarono oltre la cultura libertina, nel cui ambito si rintraccia l’idea della libertas philosophandi del letterato, di una libertà, cioè, che spettava a ogni uomo di cultura, il quale poteva esercitarla entro uno spazio ristretto e tendenzialmente privato. Gli illuministi o almeno alcuni di loro, arriva- rono a proporre questa libertà philosophandi nello spazio pubblico: ai loro

Abbreviazioni

- Helvétius, Correspondance

Correspondance générale d’Helvétius, a c. di D. SMITH, To ronto - Oxford 1981-2004, 5 voll. - Rousseau, Correspondance

Correspondance complète de Jean-Jacques Rousseau, a c. di R.A. LEIGH, Genève - Oxford 1965-1998, 52 voll.

- Voltaire, Correspondence

Correspondence and Related Documents, a c. di T. BESTERMAN, Genève - Oxford 1968-1977, 51 voll.

1Riprendo qui alcuni dei temi affrontati in P. DELPIANO, Liberi di scrivere. La battaglia per la stampa nell’età dei Lumi, Roma-Bari 2015. Sul problema della libertà di stampa nell’Europa del

Settecento cfr. almeno R. BIRN, La censure royale des livres dans la France des Lumières, Pa- ris 2007; S. LANDI, Stampa, censura e opinione pubblica in età moderna, Bologna 2011; E. TOR- TAROLO, L’invenzione della libertà di stampa. Censura e scrittori nel Settecento, Roma 2011; La

censura nel secolo dei lumi. Una visione internazionale, a c. di E. TORTAROLO, Torino 2011. PERCORSI DI LIBERTÀ FRA TARDO MEDIOEVO ED ETÀ CONTEMPORANEA,

occhi, la «verità» (una parola che torna con insistenza nella loro produ- zione, sia negli epistolari sia nei libri) non doveva essere riservata a una ri- stretta élite, ma doveva essere diffusa. La libertà di espressione – dapprima orale e in seguito scritta – si trasformò così, sul piano ideale delle rivendi- cazioni, da patrimonio di un circolo di dotti, custodi della loro tradizionale libertà di pensiero, a diritto universale da riconoscere a ogni uomo, diven- tando libertà di rendere pubblico il proprio pensiero.

Se volgiamo lo sguardo ai detrattori dei Lumi, notiamo che l’accusa più frequente mossa ai philosophes era proprio quella di esercitare un’eccessiva libertà di pensiero, definita in genere esprit philosophique. Quell’esprit po- teva rinviare all’esprit de discussion, che portava a perdersi nell’esame dei dettagli2, oppure a «une parfaite indépendence» in fatto di pensiero3. Più in

generale è eloquente la trasformazione nel corso del secolo del significato della parola philosophe, che in passato aveva rimandato alla figura del sag- gio. Su tale trasformazione gli antiphilosophes discussero a lungo. Il ter- mine – rifletteva, per esempio, Gabriel Gauchat nel 1754 – aveva a lungo implicato amore della saggezza, mentre in quel momento rinviava a un in- dividuo che osava innalzarsi al di sopra di ogni autorità in materia di fede4.

Così Élie-Catherine Fréron, nel 1759, trattò dei «bavards impérieux qui se disent philosophes»5. E nel 1770 considerava terminato il processo del mu-

tamento semantico:

«Nos prétendus philosophes (…) ont renversé les significations des mots; bientôt ils ne seront plus entendus que de leurs adeptes. Le nom de philosophie, si respectable dans son origine, a changé de signification; il est aujourd’hui prostitué pour exprimer la liberté de tout penser et de tout écrire»6.

Contrariamente a ciò che pensavano gli avversari dei Lumi, pronti ad accusare i philosophes di un uso eccessivo e spregiudicato della libertà di parola, orale e scritta, gli illuministi furono però piuttosto cauti nella pub-

2 E. FERLET, De l’abus de la philosophie par rapport à la littérature, Nancy-Paris 1773, p. 5,

in nota.

3S.N.H. LINGUET, Le fanatisme des philosophes, Londres et se vend à Abbeville 1764, p. 14. 4G. GAUCHAT, Lettres critiques ou analyse et réfutation de divers écrits modernes contre la re- ligion, rist. anast. Genève 1973, 3 voll. (Paris 1754-1763); I, 1754, Préface cit., s.p.

5É. C. FRÉRON, recensione di D. Le Masson des Granges, Le philosophe moderne, in «L’année

littéraire», rist. anast. Genève 1968, 37 voll. (Amsterdam et se trouve à Paris 1754-1790); 1759, VI, pp. 68 e sgg., 68.

6É. C. FRÉRON, recensione delle Pensées antiphilosophiques, in «L’année littéraire» cit., 1770,

127 blica rivendicazione della libertà di stampa. Nel loro pensiero si possono semmai riconoscere varie fasi, che riportano a un processo graduale e pe- raltro segnato a lungo dalla pratica dell’autocensura.

Una prima fase, che copre il periodo dagli anni Trenta alla fine degli anni Cinquanta del Settecento, vide l’elaborazione di una significativa ri- flessione in tema di libertà di espressione. In questa fase il discorso non toccò affatto la libertà di stampare, bensì la possibilità di pensare in modo autonomo. Tre testi sono illuminanti in tal senso. Il primo è le Lettres phi- losophi ques di Voltaire, uscito dapprima in inglese (1733) e poi in francese (1734) e condannato al rogo dal Parlamento di Parigi7. Il tema della libertà

di espressione passava implicitamente attraverso il discorso sul ruolo so- ciale delle lettere: un ruolo che – secondo Voltaire – non era riconosciuto in Francia, mentre lo era in Gran Bretagna proprio in virtù della doppia ga- ranzia offerta dalla libertà di parola e di stampa. Trattando dei letterati, Voltaire individuava un modello francese e uno inglese: se il primo si fon- dava sul mecenatismo legato a pensioni e onorificenze accademiche, il se- condo era basato sul conferimento di cariche pubbliche8. Implicito restava

il discorso sulla libertà, un tema affrontato più direttamente attraverso i cenni alla censura religiosa francese contro gli spettacoli, definita una «bar- barie gothique»9. Anche nella seconda opera importante per ricostruire que-

sto itinerario, la riflessione appare implicita: era condotta meditando sul ruolo di un nuovo attore sociale, il philosophe, caratterizzato non più dalla saggezza, come in passato, bensì dall’esprit critique. Le philosophe – que- sto il libro cui si fa riferimento – uscì anonimo nel 1743 (a Parigi, ma con l’indicazione di Amsterdam), dopo avere circolato manoscritto per circa un decennio. Attribuito a César Chesneau Dumarsais, il testo è stato letto soprattutto nei suoi rapporti con l’Encyclopédie, visto che, in effetti, la voce Philosophe ne avrebbe costituito una ripresa. Esso va però collocato anche all’interno di una tradizione precedente: fu infatti dapprima pubblicato in un volume intitolato Nouvelles libertés de penser, con altri due lavori di Bernard Le Bouyer de Fontenelle e di Jean-Baptiste de Mirabaud, dedicati rispettivamente all’aldilà e all’immortalità dell’anima. Con il sostantivo al plurale, l’opera rinviava a una pluralità di libertà di pensare, definite nuove,

7VOLTAIRE, Lettres philosophiques, Amsterdam [ma Rouen] 1734.

8VOLTAIRE, Lettre XXIII Sur la considération qu’on doit aux gens de lettres, in Lettres philoso- phiques cit., pp. 265-274. Sui due modelli cfr. A. VIALA, Naissance de l’écrivain. Sociologie de

la littérature à l’âge classique, Paris 1985, pp. 51-84. 9VOLTAIRE, Lettre XXIII Sur la considération cit., p. 274.

ed era presentata come «une espèce de parallèle» rispetto al Discourse of Free-thinking (1713) di Anthony Collins10, di cui era uscita la traduzione

francese nel 171411. Certo, nel Philosophe la religione non era sottoposta

esplicitamente al giudizio dell’ars critique (così come accadeva invece nel Discourse di Collins). Ma era chiara l’importanza assegnata alla laicità della ragione umana, da impiegare contro ogni superstizione e credenza in- fondata: un’importanza che assegnava un ruolo preciso al philosophe. Nel terzo testo importante ai nostri fini, l’Essai sur la société des gens de let- tres, uscito nel gennaio 1753, d’Alembert affrontava il tema ancora una volta implicitamente a partire da un ragionamento sul rapporto tra letterati e potenti. In questo rapporto i letterati potevano ottenere celebrità, appa- gando il bisogno di stima pubblica, ma rischiavano di mettere a rischio la loro libertà. Qual era, dunque, la soluzione? Il suggerimento era un espli- cito invito all’indipendenza dal mecenatismo. «Liberté, verité et pauvreté»: queste le parole d’ordine. Il modello da imitare era comunque quello del- l’Inghilterra e di «cette précieuse liberté de penser, dont la raison profite, dont quelques gens d’esprit abusent, et dont les sots murmurent»12.

Una seconda fase del processo qui delineato, è legata all’impresa del- l’Encyclopédie, anche se il primo volume uscì due anni prima del saggio di d’Alembert, nel giugno 1751, e costringe ad arretrare nel tempo. L’Ency- clopédie costituì una sorta di laboratorio, fatto di audacia e moderazione, slanci e autocensura. Sbaglierebbe quindi chi in quest’opera cercasse una riflessione lineare, coerente e uniforme. Gli articoli restituiscono posizioni tra loro eterogenee perché scritte da autori di differente orientamento e in tempi diversi, nel corso di un ventennio (1751-1772) che vide dapprima la protezione da parte di Malesherbes, direttore della Librairie dal 1750 al 1763, e in seguito l’esperienza di pratiche di censura e autocensura da parte

10B. LEBOUYER DEFONTENELLE, C.C. DUMARSAIS, J. B. DEMIRABAUD, Nou velles libertés de penser, Amsterdam [ma Paris] 1743, Avertissement, pp. 1-2 (rist. anast. Paris 2001). Sul testo e

sulle sue varie versioni cfr. H. DIECKMANN, Le Philosophe. Texts and Interpretation, Saint-Lo- uis 1948.

11A. COLLINS, Discourse of Free-thinking, s.e., London 1713; Discours sur la liberté de penser,

s.e., Londres 1714 (nuove edizioni nel 1717 e 1766). Su questa traduzio ne, pubblicata in realtà all’Aja da Thomas Johnson, cfr. J. O’HIGGINS, Anthony Collins. The Man and His World, The Hague 1970, p. 211 sgg.

12D’ALEMBERT, Essai sur la société des gens de lettres et des grands, in ID., Oeuvres complètes,

Genève 1967, pp. 335-373, 339, 348, 351, 356, 368 (l’opera uscì nei Mélanges de littérature,

129 dei protagonisti13. Uno dei temi chiave del Discours préliminaire (giugno

1751) è certamente quello della libertà di espressione: non si trovano alti- sonanti rivendicazioni, bensì denunce della mancanza di tale libertà, con ri- ferimenti che non a caso riguardano alcuni paesi europei (non la Francia, cioè), in particolare la penisola italiana, ove – si legge – un tribunale in passato aveva condannato per eresia un famoso astronomo. Il ruolo sociale dei letterati, intorno a cui si muoveva anche qui il discorso, aveva comun- que a che fare con il problema della libertà di pensare14. E si trattava di una

riflessione coraggiosa, che nel primo tomo trovava seguito nella voce Aius- locutius, consacrata da Denis Diderot al dio romano della parola al fine di celebrare la libertà sia di pensare sia di scrivere, pur con qualche cautela verso gli scritti in lingua volgare contro il governo e la religione, da proi- bire per ragioni di «tranquillité publique»15. Dopo la crisi del 1752, che

comportò l’interruzione della pubblicazione, nel terzo volume, uscito nel- l’ottobre 1753, la voce Liberté de conscience appare una risposta alla vi- cenda in corso. Pur senza particolare vis polemica, Louis de Jaucourt di- fendeva questa libertà. Precisa la condanna di ogni persecuzione (si rin- viava, tra l’altro, all’articolo Tolérance): «Persécuter quelqu’un par un mo- tif de conscience, deviendroit une espèce de contradiction; ce seroit ren- fermer dans l’étendue d’un droit une chose qui par elle-même détruit le fondement de ce droit»16. Così, nella voce Gens de lettres, pubblicata nel

settimo volume (novembre 1757) aperto con l’Éloge de M. de Marsais (morto l’anno prima e qui eretto a modello di philosophe), Voltaire ragio- nava sull’identità di quelli che definiva gens de lettres, individuando quali elementi essenziali l’esprit philosophique, il contatto con il mondo e l’au- tonomia intellettuale e riprendendo i toni audaci del Discours prélimi- naire17.

Seguì la nota interruzione della pubblicazione in seguito alla soppres- sione del privilegio di stampa, l’8 marzo 1759, mentre la polemica anti- philosophique imperversava in Francia e altrove (al settembre dello stesso

13Encyclopédie ou dictionnaire raisonné des sciences, des arts et des métiers, par une société de gens de lettres, mis en ordre et publié par M. Diderot et M. d’Alembert, Brias son, David, Le

Breton et Durand, Paris 1751-1772, 17 voll. di testo, 11 voll. di tavole. Cfr. F. VENTURI, Le ori-

gini dell’Enciclopedia, Torino 1946.

14Discours préliminaire des éditeurs, in Encyclopédie, I, 1751, pp. I-XL. 15D. DIDEROT, Aius Locutius, in Encyclopédie, I, 1751, p. 241.

16L. DEJAUCOURT, Liberté de conscience, in Encyclopédie, III, 1753, pp. 903-904. 17VOLTAIRE, Gens de lettres, in Encyclopédie, VII, 1757, pp. 599-600.

anno risale la condanna dell’opera da parte di Clemente XIII)18. Alla ri-

presa delle pubblicazioni, con l’uscita dell’ottavo volume nel dicembre 1765, la prudenza imperversava, complice – occorre evidenziarlo – la cen- sura esercitata dallo stesso editore del dizionario, Le Breton: in apertura un Avertissement accennava, in modo generico, alle «persécutions» subite, frutto di invidia, menzogna, ignoranza e fanatismo. È vero che Antoine- Gaspard Boucher d’Argis, nella voce Index, annotò «qu’il n’y a presque pas un seul bon livre de piété ou de morale dans notre langue, qu’elle [la Congrégation de l’Index] n’ait proscrit»19; e che, trattando di Inquisition,

Louis de Jaucourt decretò una condanna esplicita dell’«odieux» tribunale, istituendo, sulla scorta di Montesquieu, un’identificazione tra Inquisizione e barbarie e invitando i governi dei paesi cattolici alla sua soppressione20.

Ma l’attacco riguardava un potere lontano, mentre due voci particolarmente interessanti ai nostri fini si segnalano per moderazione e ambiguità. Si tratta di Liberté de penser (Morale), firmata da Edme-François Mallet e pubbli- cata nel nono volume (edito nel dicembre 1765), e Philosophe, anonima e contenuta nel dodicesimo volume, edito nello stesso mese. Era una linea difensiva a segnare entrambi i testi. L’articolo Philosophe, in particolare, come anticipato, rielaborava il lavoro di Dumarsais del 1743, procedendo con tagli soprattutto e modifiche volti a depotenziare la carica eversiva del- l’Encyclopédie21.

Complici censure e autocensure, sono dunque altre le opere cui occorre rivolgere l’attenzione per rintracciare prese di posizione più audaci. Le scrissero philosophes che all’Encyclopédie avevano collaborato e altri au- tori che in quel contesto si erano formati e che erano passati o stavano pas- sando attraverso l’esperienza della persecuzione, per riprendere la parola che più ricorre in quel periodo nella produzione letteraria dei philosophes e, ancor più, nei loro scambi epistolari. È a partire da quell’esperienza, in effetti, che fu elaborata, nell’ambiente philosophique, l’idea di una libertà

18Sulle voci censurate cfr. D.H. GORDON, N.L. TORREY, The Censoring of Diderot’s «Ency- clopédie» and the Re-established Text, Columbia University Press, New York 1947. Sul movi-

mento antiphilosophique in Francia cfr. D. MASSEAU, Les ennemis des philosophes. L’antiphi-

losophie au temps des Lumières, Paris 2000; D. MCMAHON, Enemies of the Enlightenment. The

French Counter-Enlightenment and the Making of Modernity, Oxford 2001; P. DELPIANO, Liberi

di scrivere cit..

19Index, in Encyclopédie, VIII, 1765, p. 673 (l’articolo è firmato da A., cioè dall’avvocato Bou-

cher d’Argis). L’ Avertissement è alle pp. I-II.

20Inquisition, ivi, pp. 773-776 (la voce è firmata da D. J., cioè da de Jaucourt).

21E. F. MALLET, Liberté de penser, in Encyclopédie, IX, 1765, pp. 472-474; Philosophe, in En- cyclopédie, XII, 1765, pp. 509-510 (l’articolo è anonimo). Per un confronto tra i due testi cfr.

131 che oltrepassava la libertas philosophandi, da garantire al dotto per diven- tare libertà di dire pubblicamente e anche di stampare.

Sulla persecuzione conviene spendere qualche parola perché la rifles- sione sulla libertas philosophandi, che portò gli illuministi a discutere e, in alcuni casi, a rivendicare la libertà di stampa, fu anche l’esito delle censure in cui molti di loro erano incappati. È un’ipotesi, questa, che trova con- ferma nell’intimità della scrittura privata. Nato da una meditazione sul- l’esperienza individuale, il racconto della persecuzione diventava collet- tivo attraverso il fitto scambio epistolare che unì nei decenni molti degli uo- mini che si riconoscevano nel movimento dei Lumi. Non che i philosophes fossero martiri del libero pensiero, vittime di un potere dispotico. È anzi noto (lo si è accennato) il ruolo svolto fino a un certo punto da Malesher- bes a protezione dell’Encyclopédie. Così come è noto, più in generale, che il Settecento non vide una battaglia fra scrittori, da un lato, e censori, dal- l’altro, e che non mancò chi ricoprì il doppio ruolo di autore e censore (Fon- tenelle e Crébillon, per esempio). Martiri del libero pensiero, però, molti dei philosophes si sentirono e si autorappresentarono. E l’esperienza della per- secuzione, intesa dai protagonisti come controllo in senso ampio sull’atti- vità intellettuale – un controllo che includeva sia la censura istituzionale sia quella morale, nonché un difficile accesso al mondo dei libri –, ebbe un peso nell’orientare gli esponenti dell’Illuminismo verso la costruzione di una pratica intellettuale fondata sulla libertà di esprimersi nello spazio pub- blico e pensata come tratto peculiare del philosophe.

Nella corrispondenza epistolare dei philosophes il discorso sulla perse- cuzione assume in effetti un rilievo centrale ed è evidente in essa l’impor- tanza delle vicende editoriali dell’Encyclopédie. «Vous me demandez l’ar- ticle Littérature pour l’Encyclopédie. Demandez plustôt [sic] l’article du malheur des gens de lettres et de leurs persécutions»: così, per esempio, ri- fletteva Voltaire in una lettera del 175422. A nutrire la sensazione di essere

perseguitati fu anche una serie di vicende non direttamente legate al con- trollo sulla produzione intellettuale, ma che su questa agirono. Tra queste, l’attentato di François Damiens a Luigi XV (gennaio 1757), cui fece se- guito la Déclaration du roi del 16 aprile 1757, che prevedeva la pena di morte per chi scrivesse e stampasse testi contro la religione e la monarchia. Il provvedimento fu al centro dell’attenzione nell’epistolario dei philoso-

22Voltaire a Marie-Louise Mignot (Madame Denis), Colmar, 21 maggio 1754, in VOLTAIRE, Correspondence, vol. 15, pp. 141-143.

23Déclaration du roi portant défenses à toutes personnes [...] de composer, ni faire composer, imprimer et distribuer aucuns écrits contre la règle des ordonnances sous les peines y men- tionnées, Paris 1757.

phes23. Scrivendo poco dopo a Voltaire in merito alla voce Liturgie del-

l’Encyclopédie, d’Alembert, per esempio, esprimeva preoccupazioni pro- prio pensando alle punizioni previste nel nuovo testo legislativo, anche se contava di riuscire a conciliare prudenza e verità: «Nous aurons pourtant bien de la peine à faire passer cet article – scriveva –, mais avec quelques adoucissemens tout ira bien, personne ne sera pendu, et la vérité sera dite»24.

La soppressione (marzo 1759) del privilegio di stampa rafforzò l’ipo- tesi di una persecuzione generale, che si trasformò allora da attacco intel- lettuale a condanna istituzionale. In quel periodo, discutendo dell’affaire dell’Encyclopédie, Voltaire affermò che gli pareva di vedere «l’Inquisition condamner Galilée»25. A rafforzare l’idea della persecuzione contribuirono

le misure esemplari prese contro opere ritenute particolarmente scandalose, tra cui soprattutto la ritrattazione cui fu costretto Claude-Adrien Helvétius per De l’esprit, uscito nel luglio 1758 con privilegio regio e su cui abbon- davano i cenni nella corrispondenza philosophique. Nella quale emerge chiara la percezione di un progressivo accerchiamento: «La persécution est plus grande que jamais», scriveva d’Alembert circa l’imprigionamento di André Morellet alla Bastiglia26. E non è che uno degli innumerevoli esempi

che si potrebbero fare. Nella corrispondenza epistolare di quel decen nio, infatti, tornavano con insistenza espressioni quali «inquisition sur la litté- rature», «inquisition sur les livres», definizioni usate per indicare il clima di sospetto che circondava l’uni verso della stampa e che assumevano un significato variegato. Potevano riferirsi alla censura (istituzionale e morale) dei libri e quindi al mondo degli autori e dei lettori, ma riguardavano anche le difficoltà per i dotti di scambiarsi testi.

Del progressivo rigore della censura, esito anche del ritiro di Malesher- bes, si lamentarono pure quanti, come Rousseau, con il gruppo encyclopé- dique erano entrati in contrasto. Una vera «rage» avrebbero suscitato le Let- tres de la montagne secondo il loro autore, il quale pensò addirittura di re- carsi in Italia, dove – si legge in una lettera scritta dalla Svizzera nel 1765

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