• Non ci sono risultati.

Capitolo II: Le lingue dei segni e lo sviluppo linguistico in soggett

2.1. Il percorso storico-scientifico per il riconoscimento delle lingue de

I motivi per cui, in questa tesi, si indaga l’excursus storico scientifico per il riconoscimento delle lingue dei segni sono diversi: in primo luogo si ritiene fondamentale ribadire che le lingue dei segni hanno, in tutto e per tutto, lo stesso valore delle lingue orali e che non possono e non devono essere considerate in alcun modo seconde a queste. Per questo si ritiene necessario illustrare come le lingue dei segni si siano evolute nel tempo e come siano state concepite dalla società tutta e dagli studiosi. In secondo luogo è doveroso ribadire che, nonostante la comunità scientifica sia concorde nell’affermare che le lingue dei segni sono vere e proprie lingue al pari delle lingue orali, lo Stato italiano rimane attualmente l’unico Paese dell’Unione Europea a non aver ancora riconosciuto la propria lingua dei segni, nonostante la ratifica del 2009 della Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità in cui, all’articolo 21 lettera e, si fa specifico riferimento al riconoscimento e alla promozione delle lingue dei segni.

La prima testimonianza scritta riguardante una comunicazione visivo- gestuale tra persone sorde la si trova nel Cratilo di Platone. In questo dialogo Socrate discute con Ermogene dell’ipotetico scenario di non possedere la voce e propone come alternativa l’uso di quelli che lui definisce i gesti dei muti descrivendoli come un’espressione naturale basata sull’imitazione della realtà attraverso le mani ed il corpo. In Russo Cardona e Volterra (2015) viene riportato come successivamente, nel diritto romano, si ritrovino riferimenti alla sordità e, più in particolare come, durante tale periodo storico, le persone sorde vengano private di alcuni diritti fondamentali. In queste leggi, tuttavia, non si fa alcun riferimento alle lingue dei segni o ad una comunicazione visivo-gestuale, ma si riporta la semplice patologia con attenzione più mirata alla capacità o meno di questi soggetti di esprimersi verbalmente. Nel successivo periodo Medioevale si instaura un forte stigma nei confronti delle lingue dei segni. Queste lingue vengono considerate come pantomime e condannate dall’ambiente religioso come una forma di espressione animalesca e legata a passioni terrene ed incontrollate. Ma è proprio grazie ad alcune realtà religiose

44

che la comunicazione visivo-gestuale si sviluppa e viene trasmessa. Nelle comunità dei monaci cistercensi, osservante della regola del silenzio, vengono infatti utilizzati i segni monastici, utili a comunicare all’interno degli edifici religiosi senza proferire parola. Come riportato da Schmitt (1990) inoltre, è un cardinale, tale Jacques de Vitry, ad accorgersi che attraverso questi segni non solo si possono esprimere i bisogni comunicativi basilari, ma si può discutere di qualsiasi argomento. Osservando i monaci nota infatti come questi discutessero di re, battaglie e notizie provenienti dall’esterno dei monasteri. Non è possibile, tuttavia, trovare una correlazione tra i segni utilizzati all’epoca in ambito religioso e quelli delle lingue dei segni poiché nulla è mai stato scritto a riguardo. Schmitt (1990) ritiene opportuno sottolineare, però, come esistano alcune somiglianze tra i segni utilizzati dai monaci e quelli di alcune lingue dei segni attuali.

È nei secoli Cinquecento, Seicento e Settecento che si sviluppano alcuni metodi educativi atti ad insegnare alle persone sorde, con una particolare attenzione per l’apprendimento della lingua orale. In questi secoli si avvia un vero e proprio mercato di metodi educativi che è possibile dividere in due grandi categorie: il metodo manuale, che si sviluppa successivamente e che si basa sull’uso di alcuni segni o su una lingua dei segni, ed il metodo oralista, in cui si vieta l’uso delle mani e ci si focalizza sulla rieducazione articolatoria vocale. La nascita del metodo manuale nel Settecento è dovuta ad alcune riflessioni condotte nei due secoli precedenti: la prima riportata dal filosofo Descartes in

Discours de la Méthode. Composto nella prima metà del ‘500, in tale opera

l’autore sottolinea come il linguaggio sia una caratteristica propria ed imprescindibile dell’uomo, tale che perfino gli individui “sordi e muti”, come definiti dal filosofo, sviluppano autonomamente alcuni segni che diventano poi il loro mezzo di comunicazione. Anche un secondo filosofo, Francis Bacon fa riferimento alla comunicazione visivo-gestuale sottolineando come non solo si vedano persone sorde che comunicano attraverso i segni, ma come questi instaurino conversazioni anche con udenti che hanno appreso questo metodo di comunicazione. Agli inizi del Settecento, infine, Diderot compara le lingue dei segni alle lingue vocali sottolineando come anche queste intrattengano un

45

rapporto diretto con il pensiero umano, che risulta essere diverso da quello delle lingue orali, ma ad esso equiparabile.

Per avere una descrizione dettagliata di una lingua dei segni è necessario attendere, tuttavia, fino alla seconda metà del Settecento quando vengono composti gli scritti dell’abate de l’Epée. Dal 1760 l’abate avvia una vera e propria scuola dove i bambini e ragazzi sordi possono apprendere la lingua orale. Come illustrato da Russo Cardona e Volterra (2015) de l’Epée sviluppa il metodo manuale dopo aver visto due delle sue allieve, sorelle ed entrambe sorde, creare in autonomia una forma di comunicazione gestuale articolata. Ed è proprio in seguito a questa scoperta che l’abate decide di basare il proprio metodo educativo sulla comunicazione visivo-gestuale creando così di fatto quello che sarà in seguito definito come metodo manuale. Tale metodo, nei decenni successivi, inizia a diffondersi fino a quando, nel 1775, de l’Epée ottiene finanziamenti statali ed alcuni anni dopo apre a Parigi l’Institut National

des sourds-muets. Si ritiene tuttavia fondamentale sottolineare come l’abate

non riconosca il vero valore delle lingue dei segni, ma le concepisca solo in funzione dell’apprendimento delle lingue orali. Egli infatti utilizza i segni, ma adatta la grammatica di questi a quella francese introducendo quelli che definisce “segni metodici”, ossia segni che indicano le relazioni morfo- sintattiche basate prevalentemente sulla lingua francese. La comunità sorda francese dell’epoca, infatti, non utilizza questi segni metodici, ma comunica attraverso una lingua dei segni perfettamente equiparabile alle attuali lingue dei segni. Nei decenni successivi si vanno a diffondere, sia in Francia che in tutta Europa, istituti per sordi dove viene utilizzato il metodo manuale. Tali istituti sono fondamentali per la diffusione e lo sviluppo delle lingue dei segni poiché gli allievi, purché utilizzando i segni metodici durante le lezioni, al di fuori di queste utilizzano delle vere e proprie lingue dei segni. Nel 1816 il metodo manuale arriva in America portato da Thomas Gallaudet che, recatosi in Francia al fine di conoscere e studiare il metodo educativo di Parigi, torna nel continente d’origine accompagnato da Laurent Clerc, educatore sordo dell’Institut National des sourds-muets. Durante il viaggio Gallaudet impara le basi della lingua dei segni francese e, assieme a Clerc, fonda il primo istituto per sordi americano in cui si utilizza il metodo manuale: il Connecticut Asylum

46

for the Deaf and Dumb. La lingua dei segni parigina portata dai due studiosi

influenzerà pesantemente la lingua dei segni usata nel continente e ne deriverà l’attuale lingua dei segni americana (d’ora in poi ASL, dall’inglese American

Sign Language), la quale presenta molte somiglianze con la lingua dei segni

francese (d’ora in poi LSF). L’esponenziale crescita nell’uso del metodo manuale e lo sviluppo delle lingue dei segni come vere e proprie lingue e non più come mero strumento di rieducazione per i bambini sordi spaventa, a partire dagli inizi dell’Ottocento, la comunità degli educatori, soprattutto di quelli che rimanevano fedeli al metodo oralista. Per questo motivo nel 1880 viene organizzato, dietro la promozione da parte di tre educatori italiani quali Giulio Tarra, Stefano Balestra e Tommaso Pendola, il Congresso di Milano, che avrà un forte impatto sull’uso e sullo sviluppo delle lingue dei segni nei secoli a venire. In tale occasione infatti viene decretato il divieto dell’uso delle lingue dei segni sia durante le lezioni che al di fuori di queste. Con ciò si avvia un periodo di repressione di queste lingue le quali vengono fortemente ostracizzate, spingendo così le persone sorde a vergognarsi e a nascondere la propria lingua. Tale periodo si conclude ufficialmente 130 anni più tardi con il Congresso di Vancouver del 2010, nel quale vengono rigettate tutte le risoluzioni approvate nel precedente Congresso di Milano.

Nonostante questo forte ostracismo derivante dal Congresso del 1880, le lingue dei segni e la comunità segnante continuano, con fatica, a svilupparsi e diffondersi. Questo permette l’avvio di una riflessione linguistica nei confronti delle lingue dei segni attraverso la quale i ricercatori vogliono ridare a queste lingue la loro dignità. I risultati di tali ricerche linguistiche permettono di equiparare le lingue dei segni alle lingue orali. Ad avviare questa riflessione è William Stokoe con la sua opera Sign Language structure nel 1960. L’autore rileva come la struttura delle lingue dei segni sia del tutto equiparabile a quella delle lingue orali. Nelle lingue orali, dalla combinazione di singole unità prive di significato quali i fonemi, si creano strutture sempre più complesse a partire dalle parole fino ad arrivare alla frase. Così anche nelle lingue dei segni esistono unità minime prive di significato, che Stokoe chiama cheremi, la cui combinazione consente la creazione di segni che si combinano a creare frasi. Inizialmente il ricercatore individua tre parametri fondamentali del segno quali la

47

configurazione, ossia la forma della mano nell’articolazione del segno, il movimento e il luogo di produzione del segno. Sottolinea inoltre come in ASL esistano diciannove possibili configurazioni manuali, dodici luoghi e ventiquattro movimenti e come, attraverso le diverse combinazioni di questi, si possano ottenere tutti i segni dell’ASL. Questa analisi linguistica viene arricchita negli anni a seguire fino ad arrivare all’attuale concezione nella quale sono identificati cinque e non più tre parametri del segno. A quelli descritti da Stokoe vengono aggiunti infatti l’orientamento del polso e del metacarpo durante l’articolazione del segno e le componenti non manuali (d’ora in poi CNM), ovvero i movimenti che si compiono mentre si segna e che coinvolgono tutto il corpo, dalle sopracciglia, all’articolazione labiale fino ai movimenti del busto.

Sulla scia delle ricerche condotte sull’ASL e iniziate con William Stokoe le lingue dei segni hanno cominciato a destare sempre più interesse nella comunità linguistica e dei ricercatori. In Italia solo durante l’ultimo ventennio degli anni Novanta, iniziano a fiorire ricerche linguistiche sulla LIS e sulle lingue dei segni. Anche in tali ricerche gli autori rilevano come lingue dei segni e lingue orali siano simili e differiscano non per complessità o potenza semantica, ma semplicemente per l’utilizzo di diversi canali quali il visivo-gestuale per le prime e l’acustico-vocale per le seconde.