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ziario: nessuna incidenza sulla soluzione del problema

9. I perduranti dubbi di incostituzionalità

Nonostante tali perentorie ed articolate prese di posizione del massimo organo della giustizia amministrativa, la questione resta ancora viva per diversi ordini di ragioni, talune ricavabili in modo più o meno esplicito dalle pieghe delle stesse sentenze, altre desumibili aliunde da una lettura organica e completa della senten- za De Tommaso della CEDU e della pronuncia della Corte costituzionale del 2019 che le ha dato sostanzialmente attuazione.

In primo luogo, è lo stesso Consiglio di Stato, in un passaggio incidentale della motivazione di entrambe le pronunce poc’anzi analizzate, a ritenere non definiti- vamente chiusa la diatriba sul punto, quando sostiene che resta ferma “ovviamen- te, se del caso, ogni competenza del giudice europeo per l’applicazione del diritto convenzionale e, rispettivamente, della Corte costituzionale per l’applicazione delle disposizioni costituzionali”. Un simile obiter lascia ancora aperte le porte ad un eventuale apprezzamento futuro della stessa da parte della Corte EDU o della Consulta, anche se lo scenario più plausibile che si può prefigurare all’orizzonte è, forse, il primo, quello di un intervento del giudice europeo dei diritti fondamen- tali, dal momento che quello della Consulta presuppone che un giudice a quo sol- levi la questione di legittimità, ipotesi questa difficilmente prospettabile dopo il suddetto intervento del Consiglio di Stato che ha stabilito un principio di diritto nettamente divergente.

In secondo luogo, a non essere risolutiva dei termini della questione è la stessa parte argomentativa tanto della prima, quanto della seconda decisione del massi- mo organo della giustizia amministrativa che, osservate in filigrana, paiono pog- giare su basi friabili e tutt’altro che incontrovertibili. Esse, infatti, sono incentrate su alcuni passaggi della sentenza De Tommaso avulsi dal contesto complessivo, omettendo di considerarne altri successivi e determinanti nel definirne la portata effettiva in modo sensibilmente diverso.

228 Giuseppe Amarelli

In particolare, risulta fuorviante il ragionamento del C.d.S. nella parte in cui sostiene che la De Tommaso abbia legittimato, sulla scorta di un opinabile princi- pio di legalità sostanziale rispondente a superiori esigenze di law enforcement, la possibilità per i legislatori nazionali di formulare nella materia della prevenzione anti-mafia extra-penale norme assolutamente indeterminate, onde garantirne una più facile adattabilità alle proteiformi modalità operative della criminalità orga- nizzata di tipo mafioso.

Mentre la previsione di simili misure interdittive è sicuramente rispondente al parametro della necessarietà “in una società democratica” espresso a livello con- venzionale quale condizione di legittimità delle stesse, risultando indispensabili per fronteggiare tentativi di infiltrazione mafiosa nel mondo degli appalti pubbli- ci 40, non sembra invece collimare con quello ulteriore ed altrettanto indefettibile

della descrizione legale e della prevedibilità convenzionalmente garantiti la defi- nizione della loro disciplina in termini eccessivamente elastici ed indeterminati.

La Corte EDU, in altri passaggi della sua densa argomentazione, ha, infatti, af- fermato che una legge non può lasciare ai tribunali un’ampia discrezionalità senza indicare con sufficiente chiarezza la sua portata e le modalità del suo esercizio, perché ciò renderebbe altrimenti imprevedibile l’adozione della misura eventual- mente disposta (§ 109). La base legale non può mai “essere espressa in termini vaghi ed eccessivamente ampi” (§ 125), dovendo invece definire con sufficiente precisione e chiarezza le persone a cui sono applicabili le misure preventive ed il loro contenuto.

Una lettura combinata dei diversi enunciati della sentenza De Tommaso sem- bra portare allora ad una diversa conclusione, vale a dire che le misure che inci- dono su diritti convenzionalmente riconosciuti, anche quindi quelle diverse dalle misure di prevenzione ma dotate della stessa portata limitativa, possono avere una base legale più duttile per adattarsi alle diverse e sfaccettate situazioni indicative del pericolo di infiltrazione mafiosa, ma mai assolutamente imprecisa, pena la violazione del principio di prevedibilità della loro applicazione.

Diversamente da quanto sembra sostenere il Consiglio di Stato, non può ostare alla estensione di tali conclusioni giuridiche alle interdittive antimafia la similitudine solo apparente che queste mostrano con le misure di prevenzione (e, quindi, la loro differenza sostanziale), poiché nell’ottica della CEDU il profi- lo del nomen iuris di una misura a contenuto sanzionatorio, così come quello delle finalità da essa perseguita, sono del tutto secondari, contando soprattutto il 40 La imprescindibilità di queste misure per “porre un significativo argine preventivo al pernicioso fe-

nomeno del condizionamento mafioso dell’attività economica del Paese” è sottolineata da Cons., Stato, Sez.

III, n. 3583/2016. Da ultimo, Cons. Stato, Sez. III, 21 aprile 2019, n. 2141 le ha ritenute “una risposta forte

per salvaguardare i valori fondanti della democrazia”. In argomento A. LEVATO,Potestà discrezionale del Prefetto e regime di impugnazione delle interdittive antimafia. Criticità e prospettive di risoluzione,in

Le interdittive antimafia “generiche” tra interpretazione tassativizzante 229

piano concreto ed effettuale dei diritti eventualmente da essa attinti 41.

Peraltro, sotto quest’ultimo versante è la stessa pronuncia del gennaio 2019 del Consiglio di Stato nel § 8.4 ad individuare i diritti attinti dalle interdittive negli stessi diritti compressi dalle misure di prevenzione patrimoniale, riferendosi alla libertà di iniziativa economica di cui all’art. 41 Cost 42.

Se allora entrambe le misure, quelle di prevenzione patrimoniale e quelle in- terdittive antimafia, incidono sui medesimi diritti fondamentali riconosciuti con- venzionalmente – quelli di proprietà e di libertà di iniziativa economica – le esi- genze di predeterminazione minima della base legale espresse in ordine alle prime devono necessariamente essere estese alle seconde, per evidenti ragioni di coeren- za sistematica. Essendo, quindi, risultata in contrasto con la CEDU ed i suoi Pro- tocolli la disciplina in materia di misure di prevenzione perché priva di “disposi- zioni sufficientemente dettagliate in merito a quali tipi di comportamento debbano essere considerati come pericolosi per la società”, a fortiori lo sarà anche quella in materia di interdittive generiche in quanto dotata di una base legale ancor più povera, consentendo l’applicazione della misura sulla base degli accertamenti di qualsivoglia aspetto sintomatico di tentativi di infiltrazione mafiosa operati dal Prefetto.

Alla esportabilità del ragionamento della CEDU in ambito di informazioni an- timafia contribuisce anche un passaggio della già richiamata (in senso opposto) sent. n. 24/2019 della Corte costituzionale (su cui si tornerà infra nel § 9.1) che non ha escluso la possibilità di ritenere illegittime costituzionalmente le ipotesi di pericolosità generica assolutamente indeterminate di cui all’art. 1, lett. a), d.lgs. n. 159/2011 anche in relazione alle altre misure di prevenzione meno invasive di competenza dell’autorità di polizia e non dell’autorità giudiziaria (in particolare, foglio di via obbligatorio e avviso orale). Presentando tali provvedimenti affinità ancor più spiccate con le informazioni antimafia, essendo anch’essi affidati ad or- gani amministrativi e non alla competenza del Tribunale di prevenzione, laddove la Corte dovesse pronunciarsi affermativamente su un’eventuale futura questione di legittimità costituzionale sulle stesse, sembrerebbe ancor più difficile ritenere legittimo l’art. 84, comma 4, lett. d) ed e) del codice antimafia.

Infine, non risulta fondata l’obiezione del Consiglio di Stato che vede nella tesi della incompatibilità costituzionale delle interdittive generiche una concretizza- zione della diffusa tendenza panpenalistica ad esportare categorie e logiche del diritto penale in settori fortemente eterogenei.

In realtà, come si è visto, il ragionamento condotto dalla CEDU non ha nulla a 41 Sulla differente prospettiva della legalità convenzionale sia consentito rinviare al nostro G.

AMARELLI, Legalità costituzionale, legalità convenzionale e diritto giurisprudenziale, in www.

criminaljusticenetwork.it, 16 novembre 2018.

42 Cons. Stato, Sez. III, sent. 5 settembre 2019, n. 6105, cit.; Cons. Stato, Sez. III, sent. 30 gen-

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che fare con il previo riconoscimento della natura penale delle misure in gioco, ma è tutto polarizzato sul livello degli interessi da queste attinti, sicché un’even- tuale questione di legittimità costituzionale non sarebbe sollevata per dedurre la violazione di un principio di marca penale, bensì di altri interessi e diritti fonda- mentali riconosciuti dalla Carta fondamentale tramite il parametro interposto della CEDU e dei suoi Protocolli (sul punto si rinvia a quanto già detto nel § 6).

9.1. I possibili riflessi della sentenza della Corte Cost. n. 24/2019 in mate-

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