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732. Performance, struttura relazionale e trasmissione degli shock

Per quel che riguarda la distribuzione sul territorio, le regioni che accolgono il maggior numero di flussi turistici sono il Veneto (16,1 per cento delle presenze complessive), la Toscana (11,1 per cento), l’Emilia-Romagna (9,5), la Lombardia (9,1) e il Lazio (8,6 per cento). In queste cinque regioni si concentra il 60 per cento del valore aggiunto delle unità locali afferenti all’intera industria turistica (sul totale dell’industria e dei servizi) e il 54,4 per cento delle presenze turisti-che in Italia (il 48,7 per cento di quelle relative ai clienti residenti e il 60,0 per cento di quelle dei non residenti). Alcuni territori italiani sono meta prevalente per gli stranieri: tra questi la Provincia autonoma di Bolzano (69,0 per cento), il Veneto (67,7 per cento), il Lazio (62,3 per cento) e la Lombardia (60,0 per cento). Alcune regioni del Centro e del Sud, invece, hanno un bacino di attrazione quasi esclusivamente nazionale. Roma è la principale destinazione con circa 29 milioni di presenze (6,8 per cento del totale nazionale; 4,1 per cento del turismo domestico e 9,4 per cento di quello straniero); seguono Venezia, Milano (entrambe con circa 12,1 milioni di presenze, pari al 2,8 per cento sul totale nazionale) e Firenze (con 10,6 milioni, 2,5 per cento).

Alla luce del quadro sin qui esposto, l’interruzione dei flussi turistici dall’estero e la forte contrazione di quelli domestici dovuti all’epidemia di Covid-19, impattando sull’attività del setto-re, possono avere effetti molto significativi anche sul complesso del sistema produttivo italiano, con danni economici di entità particolarmente rilevante.

Figura 2 - Presenze negli esercizi ricettivi per regione di destinazione. Anno 2018 (quote regionali sul totale delle presenze e composizioni percentuali regionali per residenza dei clienti)

0% 10% 20% 30% 40% 50% 60% 70% 80% 90% 100% Pi em on te Va lle d 'A ost a Li gur ia Lom bard ia Bol zano Trento Veneto Fr iu li-Ve ne zia G iu lia Em ilia-R om agna To scana Umbr ia Ma rc he Lazio Ab ru zzo M ol is e C amp ani a Pu gl ia Ba sili ca ta Ca la br ia Sici lia Sarde gna

Residenti Non residenti

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3. IL SISTEMA DELLE IMPRESE: STRATEGIE E CAPACITÀ DI REAZIONE

1

1 Hanno contribuito al Capitolo 3: Francesca Luchetti, Federico Sallusti, Davide Zurlo.

• I risultati della rilevazione multiscopo inserita nel censimento permanente sulle imprese mostrano come gli shock negativi del 2019 e 2020 siano intervenuti in un momento in cui, negli anni successivi alla crisi, andava diffondendosi un orientamento verso l’espansione delle attività e l’ammodernamento tecnologico e produttivo i cui frutti, tuttavia, dovevano ancora manifestarsi pienamente.

• Nel 2018, l’80 per cento delle imprese italiane con almeno 10 addetti riteneva la propria posizione competitiva perlomeno adeguata a quella dei concorrenti e al mercato di riferimento, sebbene quest’ultimo fosse in larga prevalenza (in oltre l’80 per cento dei casi) di dimensioni locali o nazionali e l’internazionalizzazione produttiva fosse molto limitata (meno del 3 per cento delle imprese).

• Il 72,1 per cento delle imprese industriali con almeno 10 addetti e il 58,4 per cento di quelle del terziario hanno relazioni produttive con altre unità in forma di commessa, subfornitura, accordi formali e informali. Le motivazioni riguardano la ricerca di nuovi mercati, la riduzione dei costi e lo sviluppo di nuovi prodotti/processi e, solo in pochi casi, la proiezione internazionale (12 per cento delle imprese industriali e 6 per cento di quelle dei servizi). Il mercato di riferimento di chi ha relazioni è tuttavia più ampio di quello di chi è “isolato”, e ha dimensioni sovranazionali nel 34 per cento dei casi a fronte del 25 delle imprese prive di relazioni.

• Gli strumenti sviluppati nella scorsa edizione del Rapporto consentono di ottenere una misura microfondata della reattività “strutturale” del sistema produttivo nei confronti dei primi dieci partner commerciali (Germania, Francia, Svizzera, Paesi Bassi, Spagna, Belgio, Polonia, Stati Uniti, Cina, Regno Unito).

• I risultati, riferiti al decennio 2007-2017, mostrano una maggiore sensibilità delle imprese alla domanda proveniente da Belgio, Svizzera e Francia; una minore reattività si riscontra nei confronti della Germania, a causa soprattutto dell’elevata volatilità della crescita tedesca nell’ultimo decennio. Gli effetti diretti (dovuti ai legami commerciali tra i paesi) hanno un peso maggiore rispetto a quelli indiretti (legati alle transazioni intersettoriali).

• La manifattura spiega oltre il 50 per cento della reattività del sistema produttivo; i primi cinque settori più reattivi (macchinari, prodotti in metallo, tessile, abbigliamento e pelli, chimica e alimentari e bevande) ne rappresentano più di un terzo. Si tratta di una sensibilità di tipo sostanzialmente diretto; gli effetti indiretti prevalgono invece all’esterno della manifattura, nelle costruzioni e nell’energia, acqua e rifiuti (che hanno una limitata proiezione internazionale).

• Nel terziario, solo le imprese del commercio mostrano un’elevata sensibilità diretta al ciclo

internazionale; in generale, nei servizi la componente indiretta di reattività agli shock spiega almeno i due terzi della capacità di reazione totale.

• Nei termini della tassonomia presentata nel capitolo 2, la propagazione degli effetti indiretti al sistema economico avviene attraverso imprese attive in settori a trasmissione gerarchica (cioè lenta ma su scala estesa) e selettiva (cioè veloce ma con estensione limitata).

• Gli effetti indiretti si manifestano principalmente attraverso l’attività di un sottoinsieme di imprese particolarmente reattive, con livelli elevati di produttività (+40 per cento rispetto alle meno reattive), occupazione (+70 per cento), fatturato (più del doppio di quello delle meno reattive). Inoltre, queste imprese presentano anche una maggiore “rilevanza sistemica”, cioè una maggiore capacità di influire sulle dinamiche complessive del sistema.

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Rapporto sulla competitività dei settori produttivi - Edizione 2020 Nei capitoli precedenti si è mostrato come nell’ultimo biennio la fase di recupero inizia-ta nel 2015 abbia subito un netto ralleninizia-tamento, sino a sfiorare la sinizia-tagnazione. Ciò è sinizia-tato l’effetto di un indebolimento della domanda interna e di un quadro economico internaziona-le progressivamente meno favorevointernaziona-le, a seguito dell‘aumento dell’incertezza sullo sviluppo degli scambi e della marcata frenata della domanda tedesca, cui si stanno sovrapponen-do, nelle ultime settimane, le conseguenze al momento appena immaginabili della crisi generata dall’epidemia di Covid-19. L’analisi settoriale, a sua volta, ha messo in evidenza come i comparti dell’economia italiana siano interessati da dinamiche esterne in misura differenziata, e come essi a loro volta tendano a trasmettere gli impulsi al resto del sistema economico con velocità ed estensione molto diverse.

In un contesto di questo tipo, la comprensione delle tendenze che attraversano il no-stro sistema produttivo può essere accresciuta da un approfondimento degli sviluppi a livello microeconomico, analizzando quali fossero gli orientamenti strategici delle imprese all’inizio della nuova fase di ristagno dell’attività (anno 2018) ed evidenziandone la reattività strutturale agli impulsi diretti e indiretti provenienti dall’estero.

Nelle pagine seguenti si fornisce in primo luogo una fotografia delle principali strate-gie d’impresa utilizzando le informazioni provenienti dalla rilevazione multiscopo legata ai censimenti permanenti sulle imprese, condotta nella seconda metà del 2019 e riferita al periodo 2016-20182. In seguito, utilizzando la metodologia sviluppata nella precedente edi-zione di questo Rapporto3, si misura la capacità delle imprese italiane di reagire agli stimoli provenienti dalla domanda estera, rappresentata dal ciclo economico dei primi dieci partner commerciali del nostro Paese.

3.1. Gli orientamenti strategici delle unità produttive: risultati dal Censimento permanente

sulle imprese

Alla luce delle caratteristiche del disegno censuario, viene qui considerato un campione di oltre 212 mila imprese con almeno 10 addetti che rappresenta circa il 20 per cento dell’u-niverso di riferimento della rilevazione (le imprese con almeno 3 addetti, circa un milione di unità), ma che ne spiega il 97 per cento in termini di addetti (più di 7,6 milioni di individui) e il 94,5 per cento del valore aggiunto. Si tratta dunque di una solidissima base informativa, in grado di fornire utili indicazioni su quali fossero i sentieri strategici di sviluppo intrapresi dalle imprese italiane alla vigilia degli shock esogeni discussi in questo Rapporto.

In un contesto nel quale la quasi totalità delle imprese con almeno 10 addetti (il 90,4 per cento) ha dichiarato di prestare in primo luogo attenzione alla difesa della propria ca-pacità competitiva, le scelte strategiche riferite al periodo 2016-2018 risultavano orientate soprattutto ad ampliare la gamma dei prodotti venduti (per il 69,9 per cento delle unità) e la scala delle attività in Italia (68,2 per cento), indipendentemente dalla classe dimensionale di appartenenza. Inoltre, l’obiettivo dell’espansione dell’attività produttiva in Italia si ac-compagnava a quello di aumentare l’attività all’estero per il 25,1 per cento delle imprese (il

2 Il Censimento permanente delle imprese ha interessato complessivamente un campione di circa 280mila unità produttive con almeno 3 addetti, rappresentative di un universo di oltre un milione di imprese che occupa 12,7 milioni di addetti e produce l’84,4 per cento del totale del valore aggiunto nazionale. Per informazioni dettagliate sui risultati del censimento si rimanda a Istat (2020).

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