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Capitolo III
La pericolosita’ sociale del soggetto tossicodipendente
SOMMARIO: 1. La pericolosità sociale. – 2. L’accertamento nel giudizio di
pericolosità sociale. – 3. Gli interventi della Corte Costituzionale sulle presunzioni di
pericolosità. – 4. L’art. 31 della legge n. 663 del 1986 e l’abolizione delle presunzioni di
pericolosità. – 5. La valutazione della pericolosità sociale negli orientamenti della
psichiatria. – 6. L’applicazione delle misure di sicurezza: dalla fase di cognizione alla
fase di esecuzione.
1. La pericolosità sociale
La nozione di 'pericolosità sociale' fa ingresso nell'ordinamento giuridico italiano con il
codice del 1930. Tale nozione presenta un vasto e complesso retroterra
storico-ideologico, essendo stata al centro della polemica che, tra la fine dell''800 e la prima
metà del '900, animò il dibattito fra la Scuola positiva e la Scuola classica del diritto
penale.
La Scuola positiva muoveva dalla premessa che il reato dovesse essere considerato
fenomeno naturale determinato da fattori criminogenetici e non da una scelta individuale
suscettibile di un giudizio di responsabilità morale. L'intervento penale quindi non
poteva orientarsi alla retribuzione dell'illecito commesso, né avere esclusivamente una
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finalità repressiva, ma traeva il proprio fondamento dalla necessità della prevenzione
finalizzata alla difesa sociale contro il delitto. La sanzione penale doveva essere
adeguata al rischio che l'autore del reato rappresenta per la società e tendere
esclusivamente ad impedirne la recidiva.
La proposta della Scuola Positiva venne così ad incentrarsi sul problema della
pericolosità del reo, per la prima volta individuata, nei suoi fattori costituenti essenziali,
come giudizio prognostico sulla capacità dell'individuo di commettere nuovi reati,
nonché come centro di imputazione di un giudizio non fondato sul rimprovero per la
colpevolezza dell'azione, ma sulla necessità di prevenire la commissione di ulteriori
reati
82.
Come osserva Tullio Padovani, in tale prospettiva il reato perde il suo significato 'reale'
(ovvero di illecito caratterizzato da un preciso disvalore obbiettivo e soggettivo al quale
si riporta la pena), ed acquista una rilevanza 'sintomatica' nel complesso delle
caratteristiche psicologiche, antropologiche e sociali del reo, al fine di valutarne la
pericolosità
83.
Il concetto di pericolosità sociale sul quale si fondava la ideologia della Scuola Positiva
comportò, secondo Franco Tagliarini, delle profonde contraddizioni e discrepanze nel
nuovo sistema penale proposto, poiché venivano chiamati in gioco sia la funzione del
nuovo concetto di pericolosità, sia la sua operativa compatibilità con le garanzie dei
diritti di libertà del cittadino, sicuramente affermati dalla tradizione classica del diritto
penale
84. Sotto il primo profilo era necessario definire il presupposto di fondo di tutto il
sistema, e cioè se il giudizio di pericolosità potesse prescindere dall'effettiva
commissione di un reato, ovvero dovesse sempre avere per necessario presupposto la
presenza di una compiuta azione delittuosa. Sotto il secondo profilo, si apriva la
prospettiva di poter prescindere dal rapporto di proporzionalità fra misura della pena e
misura della colpevolezza, onde poter commisurare l'efficacia preventiva della sanzione
82
F. Tagliarini, Enciclopedia del diritto, vol. XXXIII, voce Pericolosità, Giuffrè, Milano 1983, p. 15. 83
T. Padovani, La pericolosità sociale sotto il profilo giuridico, in F. Ferracuti (a cura di), Trattato di Criminologia, Medicina
criminologica e Psichiatria forense, vol. XIII, Giuffrè, Milano 1990, p. 313.
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alle concrete possibilità di reinserimento del reo, giungendo alla configurazione di una
sanzione indeterminata nella sua durata.
Molte delle critiche avanzate dagli autori della Scuola classica rimasero senza risposta.
Tuttavia nell'ambito della disputa tra positivisti e classicisti sorsero e si affermarono
nuovi indirizzi che cercarono una sintesi dei due opposti, riconoscendo l'utilità dei
principi enunciati dalla Scuola positiva anche se contemperati dall'esperienza della
Scuola classica.
Su tali premesse il legislatore del '30 mutò sostanzialmente l'assetto classico del codice
penale Zanardelli, codificando il concetto di pericolosità sociale, attraverso
l'introduzione del cosiddetto sistema del 'doppio binario'
85.
Invero la pericolosità sociale introdotta dal codice Rocco, fu simile ma non coincidente
con la pericolosità propugnata dai positivisti, essendo a differenza di quest'ultima:
a. una caratteristica non necessaria ma eventuale dell'autore di reato;
b. un presupposto per l'applicazione delle misure di sicurezza e non della pena;
c. una caratteristica non permanente dell'autore di reato, essendo previsto il riesame
della pericolosità
86(art. 208 c.p.).
Con l'introduzione del sistema del doppio binario, da un lato si mantenne immutato il
criterio della imputabilità e della pena retributiva, collegate alla colpevolezza dell'agente
e, dall'altro lato, si accettò e codificò il principio della pericolosità quale presupposto per
l'applicazione delle misure di sicurezza, aventi funzione di prevenzione speciale, ed
applicabili ai soggetti imputabili e non.
Il sistema del 'doppio binario', costruito sulle coppie 'responsabilità-pena' e
'pericolosità-misura di sicurezza', trova la sua ratio nella diversità di funzioni che sono assegnate
rispettivamente alla pena e alla misura di sicurezza.
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Il codice Zanardelli all'art. 11 prevedeva solo le pene e non le misure di sicurezza, ponendo a fondamento della pena l'imputabilità e la colpevolezza del reo.
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Per Padovani, la pena è dominata da un'idea di prevenzione generale mediante
intimidazione, la misura di sicurezza ha una specifica finalità di prevenzione speciale,
mediante riabilitazione o neutralizzazione a seconda delle caratteristiche personologiche
del delinquente. La riabilitazione emerge dall'esigenza di adottare, nel trattamento
esecutivo di tali soggetti, "un particolare regime educativo o curativo e di lavoro, avuto
riguardo alle tendenze e alle abitudini criminose della persona, ed in genere, al pericolo
sociale che da essa deriva" (art. 213 c.p. comma 3).
La neutralizzazione costituisce una finalità immanente alla durata indeterminata delle
misure di sicurezza che, non potendo essere revocate "se le persone ad esse sottoposte
non hanno cessato di essere socialmente pericolose" (art. 207 comma 1 c.p.), consentono
una difesa preventiva suscettibile di protrarsi indefinitamente.
L'art. 203 c.p. comma 1, stabilisce:
agli effetti della legge penale è socialmente pericolosa la persona anche se
non imputabile o non punibile, la quale ha commesso taluni dei fatti indicati
nell'articolo precedente (ovvero un fatto di reato o di quasi-reato), quando è
probabile che commetta nuovi fatti previsti dalla legge come reato.
Da tale disposizione risulta che il legislatore ha inteso accogliere due principi
fondamentali. Da un lato ha sancito che presupposto indispensabile per la dichiarazione
di pericolosità è la commissione di un fatto che la legge in astratto configura come
reato
87, escludendosi così le tendenze più estreme del positivismo che volevano che il
giudizio di pericolosità fosse svincolato da tale presupposto.
L'unica eccezione è data dalle ipotesi indicate negli artt. 49 e 115 c.p., le quali
contemplano rispettivamente il reato impossibile, e la istigazione ad un delitto non
accolta o l'accordo criminoso non seguito da reato. Si tratta nella sostanza di ipotesi nelle
quali vi è una volontà delittuosa pienamente manifestata, senza che ad essa sia seguita
l'azione. È questa una specifica eccezione ai principi generali del nostro ordinamento
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Art. 202 comma 1 c.p.: "Le misure di sicurezza possono essere applicate alle persone socialmente pericolose, che abbiano commesso un fatto preveduto dalla legge come reato".
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