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Il perimetro funzionale: il contributo dell’autonomia privata alla migliore realizzazione del giusto

Le considerazioni sinora svolte, con il riconoscimento dello scopo pratico valevole a sorreggere la convenzione per il processo nella specifica configurazione della procedura, consentono, a questo punto, di procedere con l’analisi del perimetro funzionale dei negozi giuridici processuali. Ebbene, a questo scopo occorrerà prendere le mosse dalla considerazione per cui la valutazione favorevole dell’operazione economica concretamente realizzata dalle parti in via negoziale soggiace unicamente al limite negativo della non incompatibilità con norme imperative, ordine pubblico e buon costume. E nondimeno, gli atti processuali ampiamente intesi appaiono legislativamente indirizzati nel senso del permettere lo svolgimento del processo, in vista dell’obiettivo dell’accertamento e della dichiarazione del diritto ad opera dell’organo giurisdizionale nei confronti delle parti in conflitto167. Il che renderà manifesta la necessità di circoscrivere la meritevolezza di tutela da parte dell’ordinamento, in relazione al peculiare contesto processuale, secondo il parametro della migliore realizzazione del giusto processo.

Al riguardo, giova preliminarmente osservare come – specialmente sotto questo profilo – non sia congruente «negare la unitarietà del concetto di negozio giuridico»168, così che l’evoluzione degli orientamenti relativi al negozio processuale dipende strettamente dall’evoluzione della medesima nozione di negozio giuridico169. Ed invero, neppure all’interno delle dottrine che, sul presupposto della parzialità dell’efficacia precettiva della regola processuale di parte in ragione dell’ineluttabile concorso di un

166In questo senso, cfr. M. B

ESSONE, Aspetti sostanziali, cit., 1064 ss.

167G. M

ONTELEONE, Manuale, I, cit., 289 ss.

168F. B

ENVENUTI, L’istruzione nel processo amministrativo, Padova, 1953, 237, nt. 91, ora in Scritti giuridici, I,

Milano, 2006, 217, nt. 91. 169F. B

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provvedimento del giudice170, pervengono a disconoscere la stessa esistenza di negozi giuridici processuali171 si è potuto contestare che nei negozi processuali sussista effettivamente un’autonomia decisionale delle parti, da intendersi esattamente quale «volontà di autodeterminarsi e cioè di autoregolare il proprio comportamento volitivo»172. Con ciò non si intende evidentemente disconoscere la peculiarità di queste manifestazioni di autonomia privata. A ben vedere, non è revocabile in dubbio la circostanza che un negozio giuridico così configurato, trovando la propria sfera di applicabilità nell’ambito del processo, risente inevitabilmente della struttura del processo medesimo173. Piuttosto, occorre a questo punto soffermarsi sugli aspetti essenziali della teoria del negozio afferenti alla causa, per poi riconoscere i limiti funzionali derivanti dallo specifico contesto processuale.

Addentrandoci su questa via, vediamo immediatamente in quali termini la valutazione favorevole accordata dall’ordinamento al particolare negozio giuridico si ponga come limite rispetto alla sua stessa ammissibilità.

In proposito, non sembra inutile ricordare come l’eventuale riconoscimento in termini di meritevolezza ai sensi della norma di cui all’art. 1322 cod. civ. non valga a trasformare la natura dell’atto di autonomia privata posto in essere in via negoziale, che non diviene per questa sola ragione uno «strumento per la realizzazione primaria di interessi generali»174, dal momento che i principi generali dell’ordinamento si pongono per il negozio giuridico esclusivamente alla stregua di un limite rispetto al quale lo stesso non deve porsi in contraddizione175. In quest’ordine di idee, è stato dunque definito il requisito causale come il «meccanismo attraverso il quale la regola privata si inserisce nell’ordinamento giuridico ed acquista efficacia»176.

Orbene, l’indagine volta a determinare la rilevanza ordinamentale dell’assetto d’interessi programmato con il negozio non può che articolarsi in due fasi. Infatti, in primo luogo, risulta necessario qualificare l’operazione economica concretamente realizzata dalle parti177. Il che induce inevitabilmente ad attribuire rilevanza all’elemento

170Così, in senso critico,F. B

ENVENUTI, L’istruzione, cit., 236 ss., nt. 91, il quale acutamente pone in luce

come le tesi in questione si siano spinte «troppo oltre il segno: perché, solo equivocando tra determinazione della parte che ha per contenuto un particolare comportamento del giudice su di un oggetto determinato (ad es. nell’affermazione del fatto, la necessità che tale fatto sia considerato dal giudice) e determinazione del giudice intorno all’oggetto del proprio comportamento (nella specie, l’esistenza o il modo di essere del fatto) hanno negato che alla parte spettasse anche di poter disporre della necessità del comportamento giudiziale su di un oggetto determinato: il che indubbiamente invece le compete» (in questi termini, a p. 238, nt. 91).

171Può menzionarsi, tra tutti,A. C

OSTA, Contributo alla teoria dei negozi giuridici processuali, Bologna, 1921, 120 ss., per il quale «in rapporto agli atti pubblici la volontà appare … semplicemente come impulso, come richiamo di effetti che seguono senz’altro per opera di legge» (così, a p. 122). In particolare, l’effetto complessivo degli atti processuali si determinerebbe in relazione alla «sentenza a cui tutti convergono» (in questi termini, a p. 122, nt. 1).

172Così F. B

ENVENUTI, L’istruzione, cit., 239, nt. 91.

173F. B

ENVENUTI, L’istruzione, cit., 236 ss., nt. 91.

174G.B.F

ERRI, Causa, cit., 345.

175G.B.F

ERRI, Causa, cit., 345 ss.

176G.B.F

ERRI, Causa, cit., 347.

177G.B.F

della tipicità178, in considerazione della tendenza sociale alla «creazione di forme simboliche»179, il cui richiamo consente «di attribuire immediatamente all’azione che il tipo rappresenta, quella portata, quel significato proprio, appunto, del tipo»180. In altri termini, l’operazione finalizzata a riconoscere ai nostri fini e classificare giuridicamente il negozio concretamente voluto dalle parti presuppone che – laddove i caratteri specifici dell’operazione programmata finiscano per coincidere con quelli consueti e regolari riferiti al modello astratto, senza che siano quindi contemplati elementi differenti e individuali – se ne traggano tutti i suoi contenuti, applicandosi integralmente la disciplina del tipo181.

Soltanto dopo aver individuato l’oggetto del riscontro in termini di compatibilità ordinamentale182, diviene dunque logicamente possibile procedere alla seconda fase, ossia quella dell’apprezzamento circa la meritevolezza dell’interesse espresso dalla concreta operazione negoziale posta in essere.

Come è noto, si tratta di un giudizio che riguarda ogni negozio giuridico, compresi quelli sussumibili in un tipo astrattamente previsto dal legislatore, dal momento che sarebbe un errore confondere i concetti di causa e tipo. Ed è questa la ragione per cui non appare soddisfacente constatare che lo schema ideale, rispetto al quale esso converge, corrisponde in astratto ad una funzione socialmente utile, dal momento che occorre bensì esaminare in che modo lo schema tipico è stato concretamente adoperato dalle parti183, al fine di verificare la conformità della reale operazione economica ai principi dell’ordinamento. In buona sostanza, la disciplina degli schemi tipicamente predeterminati dal legislatore deve essere coordinata con i principi che nell’impianto codicistico afferiscono ai contratti in generale, secondo quanto può agevolmente evincersi dal disposto dell’art. 1323 cod. civ.184.

In questa prospettiva, da tempo un’illustre dottrina185 ha evidenziato che «la causa rappresenta il punto d’incontro, di confluenza di tutti i problemi fondamentali della teoria del negozio giuridico»186, quali quello dell’interesse, della tipicità e della sua stessa natura. In particolare, è risaputo che – senza ricadere nelle oramai superate dottrine soggettivistiche – l’elemento causale del negozio esprime la funzione in senso economico individuale, ossia la ragione obiettiva dell’operazione concretamente programmata. Del resto, ad attribuire rilievo esclusivo alla funzione economico sociale, di per sé estranea al profilo strutturale, si finirebbe per trattare indistintamente elementi del negozio e criteri di compatibilità ordinamentale187. Ed allora, nel suo ruolo di connessione degli altri

178G.B.F

ERRI, Causa, cit., 345 ss.

179G.B.F

ERRI, Causa, cit., 349.

180G.B.F

ERRI, Causa, cit., 345 ss.

181G.B.F

ERRI, Causa, cit., 345 ss.

182G.B.F

ERRI, Causa, cit., 345 ss.

183G.B.F

ERRI, Causa, cit., 345 ss., (ed amplius 355 ss.).

184Come puntualmente osservato daG.B.F

ERRI, Causa, cit., 345 ss., (ed amplius 355 ss.), il quale rileva che «la formula “ancorché non appartengano ai tipi che hanno una disciplina particolare” dell’art. 1323 cod. civ. pone, come un fatto già scontato, che ai tipi legali si debbano applicare i principi contenuti nel titolo “dei contratti in generale”» (così, a p. 359).

185G.B.F

ERRI, Causa, cit., 355 ss.

186G.B.F

ERRI, Causa, cit., 362.

187Da quest’ultimo punto di vista, cfr.G.B.F

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elementi del negozio, la causa si presenta come «l’elemento che collega l’operazione economica oggettiva ai soggetti che ne sono autori»188.

Così definita la funzione rilevante, giova quindi osservare come nel valutare la meritevolezza dell’interesse occorra applicare i criteri previsti dalla norma di cui all’art. 1343 cod. civ., ossia quelli che richiedono la compatibilità con le norme imperative, l’ordine pubblico ed il buon costume. Specificamente, per quel che ha attinenza con la tematica degli accordi processuali, sembra utile precisare la nozione di ordine pubblico, il quale indica essenzialmente «quei caratteri che dalla considerazione unitaria di tutto il sistema risultino essere a fondamento dell’ordine giuridico stesso»189.

Le considerazioni sinora svolte consentono, a questo punto, di entrare nel vivo della problematica via via delineata, giungendo ad analizzare la peculiare manifestazione della meritevolezza in relazione agli accordi processuali, secondo quanto risulta in modo inequivocabile dai principi fondamentali afferenti all’esercizio della giurisdizione. A tal fine, occorrerà innanzitutto effettuare alcune considerazioni di ordine generale da cui desumere l’indirizzo strumentale impresso già a livello ordinamentale agli atti processuali in senso ampio.

Ed è su questo aspetto che dovremo ora soffermarci.

In proposito, a voler delineare il quadro processuale, può immediatamente considerarsi come il procedimento giurisdizionale si componga e venga a coincidere con una serie ordinata di atti che si dispiegano tutti in direzione di un comune traguardo, ossia il giudizio, da intendersi come l’affermazione del diritto nei confronti dei litiganti ad opera del giudice190. In questa logica, il principio ordinatore che regola interiormente questo svolgimento è il contraddittorio, che identifica a livello organizzativo lo stesso procedimento. A ben vedere, il processo non può concepirsi separatamente dagli atti che ne scandiscono il progredire verso la pronuncia giurisdizionale. Devono quindi qualificarsi come atti processuali quelli che determinano dei momenti di sviluppo del procedimento, permettendo che il medesimo arrivi a concludersi con uno degli esiti previsti dalla legge191. In altri termini, può riconoscersi un canone fondamentale che emerge dal sistema, che imprime una direzione necessitata agli atti in questione, secondo la loro stessa natura, nel senso della prosecuzione del procedimento medesimo.

Ed invero, questo dato trova un riscontro importante nel principio cardine del giusto processo regolato dalla legge di cui all’art. 111 Cost., che – come si ha già avuto modo di osservare – prescrive che, per essere qualificato come ‘giusto’, il procedimento giurisdizionale debba caratterizzarsi anche per una ragionevole durata. Il che implica la necessità che i singoli atti che lo compongono appaiano orientati verso il suo progresso in dirittura di una sua conclusione legislativamente preordinata, sembrando

188In questo senso,G.B.F

ERRI, Causa, cit., 372, che ribadisce di non effettuare così una ricostruzione soggettivistica, come si evince, da un lato, dal fatto che «nel valutare la meritevolezza dell’interesse è indubbiamente rilevante anche il punto di riferimento oggettivo» (così, a p. 375) e, dall’altro lato, dalla considerazione per cui «è l’essenzialità, e non l’illiceità, che rende il motivo rilevante» (testualmente, a p. 382).

189G.B.F

ERRI, Causa, cit., 408.

190G. M

ONTELEONE, Manuale, I, cit., 289 ss.

191G. M

tendenzialmente non conforme alle direttrici dell’ordinamento l’imporre al processo una situazione di stasi.

Del resto, queste considerazioni si riflettono nella disciplina della forma degli atti processuali. In questa prospettiva, emerge immediatamente la circostanza che, in linea di principio, il regime formale degli atti di carattere processuale vale di regola ad assorbire la considerazione di ogni altro requisito, ivi compresi quelli di carattere soggettivo afferenti alla volontarietà dell’atto stesso192. E nondimeno, al fine di impedire che la controversialità intrinseca al processo induca la parte ad abusare in termini dilatori degli strumenti che l’ordinamento le offre, da autorevole dottrina193 è stata evidenziata l’esigenza di «evitare che i requisiti formali degenerino in vuoto e dannoso formalismo»194. Necessità che trova un fondamento normativo nella norma di cui all’art. 121 cod. proc. civ., la quale stabilisce una relazione di strumentalità tra la forma, che costituisce il mezzo, ed il raggiungimento dello scopo dell’atto, che rappresenta il fine. In buona sostanza, ciò significa che il diritto positivo manifesta esplicitamente l’idea che le forme degli atti processuali risultano predisposte in funzione dello svolgimento del processo195. Da quest’ultimo punto di vista, può poi incidentalmente osservarsi come i requisiti formali che la disposizione di cui all’art. 125 cod. proc. civ. stabilisce per alcuni dei più importanti atti di parte costituiscano tutti un’applicazione del principio del contraddittorio, dal momento che appaiono strumentali al suo effettivo rispetto. Il loro significato, infatti, si manifesta unicamente in quanto diretti alla controparte, che disporrà degli stessi strumenti per approntare la sua difesa196.

Una volta chiariti questi aspetti, siamo ora in grado di tirare le fila di questo discorso, e di evidenziare alcune ricadute pratiche dell’opzione interpretativa suggerita. In particolare, è possibile a questo punto considerare in che modo la necessità di assicurare la progressione del processo e la sua ragionevole durata si intersechi con la funzione economico individuale del negozio giuridico ed i suoi limiti negativi consistenti nella compatibilità con l’ordinamento.

Al riguardo, giova pertanto osservare come – senza discostarsi dai canoni di teoria generale – anche la causa del negozio giuridico processuale concretamente intesa corrisponda alla ragione individuale che abbia collegato oggettivamente l’operazione posta in essere alle parti. Né la sua naturale ed imprescindibile contestualizzazione nell’ambito di una procedura connotata da un’impronta essenzialmente pubblicistica sembra debba implicare di per sé la strumentalizzazione della causa in senso economico sociale, introducendo arbitrariamente in tal modo un giudizio valoriale comunque estraneo alla struttura del negozio.

La questione, piuttosto, si manifesta nell’esigenza di definire la peculiare articolazione del perimetro della meritevolezza ordinamentale secondo i principi del processo, con particolare riferimento all’ordine pubblico, che pare assumere in questo caso un ruolo importante. Ed invero, se il limite in questione nell’ipotesi in esame si traduce nel principio della ragionevole durata del processo, di cui all’art. 111 Cost. e nella

192Così, quasi testualmente, G. M

ONTELEONE, Manuale, I, cit., 290.

193G. M

ONTELEONE, Manuale, I, cit., 289 ss.

194G. M

ONTELEONE, Manuale, I, cit., 291.

195G. M

ONTELEONE, Manuale, I, cit., 289 ss.

196G. M

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sua specificazione definibile come necessità della direzione progressiva degli atti in vista della conclusione del processo, si può in prima battuta affermare che i negozi processuali intanto siano ammissibili in quanto facciano andare avanti il processo, nel rispetto del contraddittorio. In buona sostanza, la circostanza che lo strumento del negozio giuridico processuale appaia necessariamente improntato allo scopo di far progredire il procedimento discende dal fatto che la valutazione positiva dell’ordinamento appare ineluttabilmente collegata in questo settore a specifiche ed imprescindibili esigenze di effettività della tutela giurisdizionale. Il che non vale comunque a modificare la fisionomia essenzialmente individuale, e non già pubblicistica, degli atti negoziali in questione.

Ad orientarsi in quest’ordine di idee, peraltro, sembra forse che possa sostenersi che i negozi giuridici processuali, in quanto strumenti capaci di imprimere un’accelerazione alla procedura, risultino addirittura imposti dal principio del giusto processo di cui all’art. 111 Cost. sub specie della sua ragionevole durata. In altri termini, nel rispetto dei limiti funzionali ad essi imposti dall’ordinamento, il sistema giurisdizionale così come è configurato non potrebbe non contemplarli per mantenere la coerenza dei propri principi.

9. La patologia: i limiti delle disposizioni inderogabili della legge mediante la quale si attua la giurisdizione ed il recupero per conversione.

Chiariti i limiti della sfera funzionale del negozio giuridico processuale, in ragione dell’esigenza di non trascurare le principali implicazioni che affiorano in relazione all’argomento che stiamo trattando, parrebbe forse nondimeno utile analizzare la questione afferente alle vicende patologiche dei negozi giuridici processuali. Ebbene, a questo proposito sembrerà opportuno prendere le mosse da una recente pronuncia dell’adunanza plenaria del Consiglio di Stato197 per ribadire l’inderogabilità convenzionale – similmente a quanto accade nel settore sostanziale – delle norme processuali che corrispondono a ragioni di interesse generale e, pertanto, sono classificabili come imperative. Ciò consentirà successivamente di soffermarsi sul problema della possibilità di conversione del negozio giuridico processuale affetto da nullità, per giungere – a voler considerare come parte del diritto comune il principio di conservazione degli atti negoziali198 – ad ammettere l’operatività del rimedio sulla base della norma di cui all’art. 1424 cod. civ., al ricorrere dei relativi requisiti, nella prospettiva della non vanificazione della tutela giurisdizionale.

Procediamo quindi con l’esame del primo punto menzionato, afferente all’invalidità degli accordi processuali derivante dalla violazione di norme inderogabili previste dalla legge processuale, le quali, in ultima analisi, sembrano tendenzialmente rappresentare particolari applicazioni del canone fondamentale del giusto processo.

In proposito, è utile immediatamente ripercorrere l’argomentazione dell’adunanza plenaria del Consiglio di Stato, che si preoccupa di definire ciò che rientra nella

197Cons. Stato, ad plen., 9 agosto 2012, n. 32, in Ius Explorer, Milano, ult. agg. 198P. S

disponibilità delle parti in relazione alla specifica materia processualmente regolata dalla norma di cui all’art. 23-bis l. e) della l. 6 dicembre 1971, n. 1034 (poi trasfusa nell’art. 119 cod. proc. amm.). Specificamente, si muove dalla considerazione che, secondo un consolidato orientamento giurisprudenziale, la disposizione in questione avrebbe ad oggetto non soltanto le vaste operazioni di dismissione di beni pubblici, ma altresì la cessione dei singoli beni199. Orbene, per quel che qui interessa, la Plenaria rileva come «il rito abbreviato trov[i] la propria ragion d’essere nella esigenza che i giudizi in talune materie di particolare interesse, strategico o finanziario, dello Stato e della comunità vengano definiti con sollecitudine e con priorità rispetto alla generalità delle controversie»200. In questo quadro, occorreva quindi stabilire quali conseguenze attribuire al fatto del giudice di primo grado, tradottosi nell’applicare il rito ordinario al posto di quello speciale; ossia, si era presentato il problema della scusabilità dell’errore della parte che per questa ragione abbia proposto appello nei termini del rito ordinario201. Non senza cogliere un aspetto importante della questione, il Consiglio di Stato – richiamando un proprio precedente202 – risolve la questione precisando innanzitutto che compete al legislatore nell’esercizio della sua discrezionalità la predisposizione e la determinazione della sfera di applicabilità dei riti speciali203. Per questa ragione, «l’applicazione del rito è doverosa ed oggettiva, e non vi è spazio per una scelta del rito, o sua disapplicazione, ad opera delle parti o del giudice»204. Ed allora, il comportamento processuale che si discosti dalla regola appena stabilita darà luogo, in relazione alla parte, a decadenza salvo che non sussista un errore scusabile e, rispetto al giudice, all’integrazione di un vizio impugnabile della sentenza205.

In buona sostanza, nella pronuncia in questione si esprime il principio per cui il processo amministrativo non fa eccezione alla regola generale – operante anche rispetto al processo civile – sulla base della quale il rito in sé non potrebbe validamente costituire l’oggetto di un negozio giuridico processuale, dal momento che la scelta del procedimento non sarebbe disponibile per le parti o per il giudice, in quanto risulta legislativamente stabilita per corrispondere a logiche di interesse pubblico206.

Conclusivamente, la Plenaria ha stabilito che, nel caso sottoposto alla sua attenzione, «il comportamento fuorviante del giudice e delle controparti che ne traggano vantaggio»207 determina la scusabilità dell’errore di chi abbia impugnato la pronuncia di primo grado nei termini del rito ordinario208.

Quanto sinora osservato delinea una prospettiva che induce ad ulteriori considerazioni, in quanto appare evidente che non è consentito all’autonomia privata porre in essere negozi giuridici processuali in contrasto con le norme imperative che

199Cons. Stato, ad plen., 9 agosto 2012, n. 32, cit. 200Cons. Stato, ad plen., 9 agosto 2012, n. 32, cit. 201Cons. Stato, ad plen., 9 agosto 2012, n. 32, cit.

202Cons. Stato, ad plen., 3 giugno 2011, n. 10, in Ius Explorer, Milano, ult. agg. 203Cons. Stato, ad plen., 9 agosto 2012, n. 32, cit.

204Cons. Stato, ad plen., 9 agosto 2012, n. 32, cit. 205Cons. Stato, ad plen., 9 agosto 2012, n. 32, cit.

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