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Persona poetica e persona reale in Saffo e Alceo

Premessa

Premettere una riflessione sul rapporto fra persona poetica e persona reale allo studio delle strutture sociali che costituiscono l'uditorio di Saffo ed Alceo risponde ad una esigenza chiara: dato che si ritiene pericoloso ricostruire il pubblico partendo dalle fonti antiche, che rischiano d'essere inattendibili1, è necessario reperire questa realtà nei frammenti e ciò è possibile analizzando, fra gli altri aspetti, i casi in cui esplicitamente o meno il poeta fra riferimento a sé e agli astanti. Questa situazione comporta lo studio del locutore con l'intento di verificare se esso sia sovrapponibile con la persona reale del poeta, se parli in nome di una collettività oppure sia corale. La questione è la seguente: le tre modalità espressive prospettate possono determinare distinte occasioni esecutive ed implicare diversi rapporti fra comunicazione poetica e contesto reale. Nel corso del presente studio, ad ogni modo, si fonderà l'argomentazione sull'assunto che l'io2, in entrambi i poeti eolici, sia in generale attribuibile all'autore3: si ritiene, infatti, che la prima persona plurale nei loro carmi abbia un corrispettivo reale identificabile nel loro pubblico.

La persona loquens in Saffo ed Alceo

L'identità fra locutore e persona storica in Saffo e Alceo trova una sua motivazione, in primo luogo, in alcuni carmi. Per quanto riguarda la poetessa, bisogna notare che in S. 1 Afrodite, rivolgendosi all'orante, dichiara: ti/j s', wÕ Ya/pf', a)dikh/ei; È chiaro, a mio avviso, che la persona poetica e quella biografica, in questo caso, corrispondano e tale situazione non è isolata, ma si ripresenta in altri carmi, come in S. 65,5, 94,5, 133,2, e, inoltre, in tutti quei contesti dove l'interlocutore di Saffo o l'oggetto

1 Cf. Parker 1996, 146ss. e Lidov 2002, 204ss.

2 In questo lavoro verrà utilizzato il corsivo ogni volta che, con il pronome personale, si indicherà la

persona loquens di un carme.

3 Vi sono alcuni casi, come S. 102, 107, 114, 140 o Alc. 10, in cui la scissione fra locutore e autore è

evidente, ma essi, per quanto riguarda Saffo, vanno ricondotti tutti a contesti strettamente rituali, quali le Adonie (cf. Atallah 1966, 93ss.) e la cerimonia nuziale. Questa contestualizzazione può essere significativa per la posizione del locutore, mentre, per quanto concerne Alceo, risulta assai difficile valutare le ragioni della presenza d'un io femminile per la frammentarietà del carme in questione.

del suo canto è un suo familiare, come accade in S. 5, 154, 98b,1, 132,2, 1505. È da notare come questi componimenti abbiano tematiche diverse: spesso Afrodite è presente, ma si fa riferimento anche alla vicenda di Carasso e alle ripercussioni sociali che essa ebbe, si accenna alla situazione politica di Mitilene e, infine, si allude ad una serie di attività compiute dalla poetessa e dal suo pubblico in vari luoghi, da quelli squisitamente ‘privati’ a quelli più ‘pubblici’, come certe celebrazioni contestualizzabili in luoghi sacri6. A questa situazione, inoltre, va aggiunto un dato: le fonti antiche accostano Saffo ad una numerosa schiera d'individui e tale circostanza deve avere una sua importanza. È vero, infatti, che i testimonia non sono completamente attendibili, in quanto essi spesso ricostruiscono dati biografici basandosi su elementi di natura varia, fraintendendo il contesto originale, ma è anche da notare che il testo della poetessa fu forse tramandato in maniera integrale fino al VII secolo d.C.7 e, perciò, alcuni dati possono derivare direttamente dai suoi carmi, soprattutto se trovano in essi una, seppur parziale, conferma: se si dice, dunque, che Saffo era e(tai/ra di Attide, Telesippa o Megara8, i cui nomi compaiono nei frammenti, è possibile che i componimenti dedicati a queste figure avessero come locutrice la poetessa.

Stesso discorso sembra valere anche per i carmi alcaici: oltre ad Alc. 401B, in cui compare il nome del poeta, vi sono alcune poesie indirizzate al fratello Antimenide9 o ai suoi e(tai=roi Melanippo o Bicchide10.

Questi dati portano ad una considerazione: è verosimile sospettare che l'identità autore/locutore si ripresenti anche in molti carmi ‘anonimi’, dove è possibile riscontrare una certa affinità tematica o di occasione con quelli in cui il nome di Saffo o Alceo compare più o meno esplicitamente11. Eccedere nella critica del rapporto esistente fra persona poetica e persona biografica rischia di rendere complessa una realtà ben più semplice: mettere in discussione costantemente il valore dell'io in tutti i componimenti è troppo radicale, perché tale questione ha senso esclusivamente nei casi in cui vi sia scissione evidente fra autore e locutore, evenienza che, dai frammenti oggi conservati,

4 S. 5 e 15 sono sicuramente attinenti alla figura di Carasso, unanimemente considerato fratello della

poetessa (cf. Hdt. II 134s., P. Oxy. 1800, Ov. Her. 15,63-70, Ath. XIII 596c-d, Suda s 107 A.).

5 S. 98b, 132 e 150 sono riferiti alla figlia di Saffo, Cleide, com'è desumibile dal testo stesso o dai

testimoni (per S. 150 cf. Max. Tyr. XVIII 9). Cleide è la figlia della poetessa per la Suda (s 107 Ad.) e per il P. Oxy. 1800.

6 Cf. 314ss.

7 Cf. Liberman 1999, LXIV. È da notare che la conservazione di un testo non implica una sua lettura, cf.

ibid. LXVI n. 229.

8 Cf. Suda s 107 A.

9 Cf. Alc. 306Ae, 306Af Lib., 350.

10 Cf. Alc. 38a e 401B per Melanippo e Alc. 73,10 (cf. 306i col. I 26), 306c,7s., 335,3 e schol. Alc. 60 per

Bicchide.

11 Cf., ad es., S. 1 e 2 per il legame Saffo/Afrodite, S. 16, 94, 96 per distacchi fra la poetessa e alcune sue

parrebbe assai rara, se si ragiona esclusivamente sugli esempi espliciti reperibili nei poeti eolici12.

A questo proposito, un dato va messo in risalto, ossia una certa tendenza a porre su due piani distinti la poesia saffica e quella alcaica, pur se esse condividono per la maggior parte strutture metriche, dizione, lingua e patrimonio culturale. Ora, anche se nei componimenti di Alceo il suo nome compare in un unico caso, Alc. 401B, nessuno ha messo in discussione l'identità fra persona poetica e persona reale13, mentre ciò è avvenuto per Saffo. È legittimo, allora, di fronte a questi dati, domandarsi perché sia necessario puntualizzare la posizione del locutore in Saffo e la risposta dipende essenzialmente dal fatto che le ricostruzioni del contesto originario della performance saffica divergono da un interprete all'altro. Tale differenza fra i due poeti eolici non deriva, come detto, da una reale diversità di dizione, ma semplicemente dalla struttura sociale che s'immagina sottostare all'esecuzione dei componimenti: sono, infatti, le modalità attraverso le quali avviene la trasmissione poetica durante il banchetto14 che generano l'idea della sovrapposizione fra autore e locutore, mentre ciò non è sempre ammesso per la poetessa. In sostanza, una Saffo più o meno corale genera una diversa posizione del locutore rispetto al suo pubblico e, quindi, una diversa funzione dell'attività poetica15.

La posizione del locutore e i possibili paralleli per Saffo

L'affermazione con cui si è chiuso il paragrafo precedente va calata nella generale problematica inerente alla distinzione fra poeti monodici e corali16: la critica recente ha messo in evidenza la forte relazione esistente fra performance, occasione e conseguente materia del canto. Poeti quali Pindaro e Alcmane, tradizionalmente corali, possono aver composto carmi monodici e di tema personale17, mentre i poeti ‘monodici’ hanno certamente composto per cori, come la poesia nuziale saffica mostra ampiamente. Quel che deve essere messo in evidenza, dunque, è la versatilità di alcuni autori, versatilità dovuta alle circostanze esecutive: la dizione e l'aderenza fra persona poetica e persona biografica, in sostanza, erano subordinate al pubblico che differiva sicuramente

12 Cf. supra n. 3 per quanto riguarda le eccezioni all'assunto che persona biografica e poetica siano

coincidenti nella poesia saffica.

13 Cf., per Alceo, Vetta 1992, 205ss. e Lardinois 1996, 156.

14 L’occasione tipica della poesia alcaica e, più in generale, di quella rivolta ad una e(tairei/a è il simposio,

come attestano le frequenti allusioni a gesti consueti del banchetto (cf. Rösler 1980, 240ss.).

15 Cf. Parker 1996, Lardinois 1994 e Lardinois 1996.

16 Cf. Lardinois 1996, 150ss., Lefkowitz 1988, 1ss., Davies 1988, 52ss.

17 Cf. per Pindaro Davies 1988, 51 e per Alcmane ibid. 55. Vetta (1992, 186) nota la presenza di sko/lia

nei componimenti di Alcmane la cui peculiarità rispetto al resto della produzione del poeta sarebbe la mancanza di variazioni ritmiche.

a seconda che esso fosse costituito da un gruppo di e(tai=roi, da poli=tai o dalle famiglie di due sposi.

La posizione del locutore, dunque, ha un ruolo molto importante soprattutto per la poesia saffica, in quanto per Alceo la questione non sembra sussistere. Il problema è ben più complesso che non la distinzione fra monodicità e coralità, nozioni che per Saffo risultano parziali, in quanto essa può aver composto per occasioni che implicano entrambe le modalità esecutive. L'obiettivo, in sostanza, è quello di verificare se, a prescindere dal contesto performativo, io, noi, tu e voi corrispondano ad una realtà extratestuale, abbiano una motivazione stilistica oppure rispondano ad esigenze di ‘caratterizzazione drammatica’. A ciò è legata, inoltre, la riflessione su chi, di volta in volta, l'io rappresenti.

La prima parte dell'analisi verterà su quei contesti che presuppongono come pubblico della performance l'e(tairei/a o, comunque, un gruppo di persone legate al poeta da vincoli di filo/thj. La poesia, in un simile ambiente, si configura come uno dei mezzi di relazione e il luogo tipico dell'esecuzione, il simposio, rende plausibile l'identità fra io e poeta. Quel che risulta interessante notare, a questo proposito, è che vi sono casi in cui non è possibile sostenere l'equivalenza fra persona poetica e persona biografica. In un secondo momento, Si concentrerà l'attenzione su quei componimenti che costituivano la parte essenziale o marginale di cerimonie concepite per una esecuzione di fronte ad un uditorio piuttosto esteso e non necessariamente omogeneo dal punto di vista affettivo ed ideologico: l'identità autore/locutore, in tali occasioni, non è dimostrabile e spesso impossibile. Dato che la performance, in questi casi, è di sovente affidata ad un coro, sarà opportuno interrogarsi sull'identità della voce poetica, sui suoi modi di espressione e sull'alternanza fra prima persona plurale e singolare, e confrontare questa situazione con quanto accade nella poesia a pubblico ristretto e solidale.

‘Noi’ con valore di singolare nell'epos

Prima di affrontare l'analisi della persona loquens di Alceo e di un poeta a lui all'incirca contemporaneo, Alcmane, è interessante riflettere sull'uso della prima persona singolare e plurale nell'epos: quest'ultimo tipo di comunicazione poetica, in effetti, presuppone un uditorio e forme di espressione diverse da quelle della poesia eolica e, perciò, può risultare interessante sia per similitudine che per contrasto. Nell'Iliade e nell'Odissea, il singolare e il plurale hanno un perfetto riscontro con la realtà che rappresentano, ovvero non sembra lecito affermare che noi possa essere utilizzato al posto di io solo per ragioni stilistiche. A questo proposito, Chantraine dedica un

paragrafo della sua Grammaire Homérique (II 33s.) all'analisi del plurale dove si attenderebbe un singolare e giunge alla conclusione che tale situazione è motivata da particolari ragioni espressive. Lo studioso nota come in questi casi il plurale sia enfatico: «il est tout naturel», infatti, «pour un chef de famille de parler de ‘notre maison’ ou pour un chef d'armée de ‘notre victoire’». Alcuni esempi sono chiarificatori.

nu=n d' aÃg' a)ei¿dontej paih/ona kou=roi ¡Axaiw½n nhusiìn eÃpi glafurv=si new¯meqa, to/nde d' aÃgwmen. h)ra/meqa me/ga ku=doj: e)pe\fnomen àEktora diÍon, %Ò Trw½ej kata\ aÃstu qe%½ wÑj eu)xeto/wnto.

(Il. XXII 391-394)

Ettore è appena spirato e Achille, di fronte agli Achei intenti ad oltraggiare il corpo del nemico ormai morto, pronuncia un discorso (vv. 378-394). In primis, invita l'esercito a vedere se i Troiani, ucciso il loro campione, decidono di abbandonare la città oppure di resistere, poi volge la mente al non ancora compianto Patroclo e, infine, esorta gli astanti a condurre Ettore alle navi. Le tre sezioni presentano un diverso uso della prima persona: parlando delle possibili reazioni dei Troiani e della necessità di testarle, Achille usa la prima persona plurale, la quale evidentemente include nel locutore gli

h(ge/torej e i me/dontej interpellati al v. 378 (cf. vv. 381 peirhqw=men e 382 gnw=men); in séguito, riferendosi al proprio pensiero nei confronti di Patroclo, passa al singolare (cf. vv. 385 moi, 387s. e)pilh/somai e eÓgwge … mete/w, 390 e)gw/ … memnh/som'aiŸ). Nella sezione finale, sopra citata, l'eroe invita gli Achei a condurre il corpo alle navi, affer- mando di avere ottenuto insieme a loro un grande ku=doj. Il dato interessante è che Achille aggiunge: «abbiamo ucciso Ettore divino», quando chiaramente questa a)ristei/a

è merito suo. Chantraine nota, al riguardo, che l'eroe «met fièrement en commun avec ses compagnons» la vittoria, fatto non strano in quanto il risultato di questo scontro ha una ricaduta decisiva per l'esito complessivo di tutta la guerra.

Un caso simile a quello che si ritrova nella melica di epoca arcaica è riscon- trabile nell'incipit dell'Odissea: se il locutore nel primo verso invita la Musa a narrargli le imprese di Odisseo (v. 1 aÓndra moi eÃnnepe, Mou=sa), conclude poi il proemio facendo allusione ad una collettività (v. 10 tw½n a(mo/qen ge, qea/, qu/gater Dio/j, ei¹pe\ kaiì h(miÍn). Al v. 1, in sostanza, si sottolinea il fatto che la Musa ispirerà solamente l'aedo, mentre al v. 10 il noi include molto probabilmente anche il pubblico.

Nell'epos, tirando le fila, non pare sussistere l'uso del pluralis maiestatis, ovvero l'alternanza fra io e noi trova giustificazione non in una particolare modalità stilistica, ma nella realtà pragmatica della comunicazione.

Il locutore nella poesia simposiale: il caso di Alceo

La scelta di verificare, fra i poeti simposiali, l'uso della prima persona singolare e plurale in Alceo non è casuale: il poeta condivide con Saffo una tradizione che si manifesta, ad esempio, nell'uso di medesime strutture metriche. È, tuttavia, un dato storico che conduce a riflettere su Alceo come possibile elemento di confronto per la poetessa: vissuti nel medesimo periodo e sulla stessa isola, essi frequentano anche i medesimi luoghi, come i frammenti riconducibili al te/menoj di Messa portano a ritenere18. Se Alceo, dunque, non conosce la possibilità di usare il plurale e il singolare per riferirsi alla stessa realtà extratestuale, ciò potrebbe essere indicativo per Saffo. Come anticipato, sull'identità fra io e Alceo nella gran parte della sua produzione non sembrerebbero sussistere ragionevoli dubbi: la modalità comunicativa e il fatto che il nome di Alceo sia citato esplicitamente in Alc. 408B parrebbero portare in questa direzione.

Il primo esempio da analizzare è Alc. 6, dove è presente un'allegoria marina allusiva alle manovre di Mirsilo contro Mitilene (cf. Heraclit. All. 5,6ss.)19. Il noi sembra essere coincidente con il gruppo col quale il poeta condivide momenti comunitari e ideologia, com'emerge dai vv. 13s. (kaiì mh\ kataisxu/nwmen[ / eÃsloij to/khaj ga=j uÃpa ke?[ime/noij). Se Eraclito testimonia notizie attendibili20, i passeggeri della nave dovrebbero essere gli e(tai=roi del poeta, mentre la nave sarebbe la po/lij21. Il plurale, perciò, ha una ragione pragmatica.

Alc. 38a, invece, presenta una situazione diversa: taba/somen (v. 11) sembra far riferimento esclusivamente all'unione di Alceo e del suo interlocutore Melanippo, in quanto quei versi è in modo esplicito indirizzato esclusivamente a quest'ultimo (cf. v. 1). Medesima situazione pare rintracciabile in Alc. 335.

In Alc. 69, il referente del noi non può essere altro che il gruppo di cui il poeta era membro. In un periodo difficilmente identificabile, ma che potrebbe essere quello che vide Pittaco al potere, i Lidi, al fine di compiere un'impresa bellica, offrirono un importante somma di denaro al gruppo alcaico: che sia quest'ultimo il referente di aÓmm'(i) si desume dalla realtà storico-sociale dell'età arcaica, in cui ogni azione politica o militare era frutto non dell'attività di un singolo, ma di una comunità che rappresentava

18 Cf. S. 17, Alc. 129 e 130ab e infra pp. 389ss. 19 Cf. supra pp. 54.

20 Cf. Heraclit. All. 5,7 ti/j ou)k aÓn eu)qu\j e)k th=j protrexou/shj periì to\n po/nton ei)kasi/aj a)ndrw=n

plwizome/nwn qala/ttion eiånai nomi/seie fo/bon; a)ll' ou)x ouÐtwj eÓxei: Mu/rsiloj ga\r o( dhlou/meno/j e)sti kaiì turannikh\ kata\ Mutilhnai¿wn e)geirome/nh su/stasij.

una fazione all'interno della po/lij e che aveva come princìpi identitari legami parentali, reali o fittizi, e il radicamento su un territorio22.

Alc. 70 chiaramente impone di ritenere il noi composto dai compagni dell'e(tairei/a. Il poeta, infatti, dice: «(Pittaco) mangi la città […] finché Ares ci voglia volgere alle armi». Il richiamo alla guerra e la contrapposizione, implicita, fra il simposio inusuale del figlio di Irra e quello di Alceo garantiscono che la prima persona plurale dei vv. 8ss. si fondi su un dato di fatto, ovvero sulla presenza, al momento della

performance, dei compagni del poeta.

Se Alc. 73 allude semplicemente ai partecipanti al simposio e perciò all'e(tairei/a, Alc. 129 offre, invece, una descrizione piuttosto particolareggiata dell'uditorio del carme. Situata nella parte settentrionale del golfo di Kalloni, la località di Messa è sede del santuario dove, in futuro, si riuniranno le istituzioni federali dei Lesbi23. Dal punto di vista temporale, è facile connettere questa poesia alla prima fugh/ del poeta e dei suoi compagni da Mitilene, come si evince da uno scolio ad Alc. 114 e dal contenuto di Alc. 129, con il suo riferimento a Mirsilo e al tradimento di Pittaco24. La questione importante per l'analisi in corso è a chi si colleghino le varie prime persone plurali che compaiono nel testo. Al v. 17 si ricordano all'uditorio i termini del giuramento che gli

e(tai=roi avevano pronunciato un tempo: essi dovevano o sconfiggere i nemici o morire; Pittaco, però, non ha rispettato i patti e ha causato l'esilio dei suoi compagni che ora lo maledicono (vv. 14ss.). Il noi, perciò, racchiude il locutore, presumibilmente Alceo, e gli e(tai=roi che non hanno tradìto l'oÐrkoj.

Allusivo all'e(tairei/a è l'eÓstamen di Alc. 140: in questo componimento si descrive l'a)ndrw/n in cui si sta svolgendo il simposio teatro dell'esecuzione del carme25. Come accade spesso nella poesia alcaica (cf. ad esempio Alc. 70 e 73), vi è un passaggio repentino dalla realtà simposiale a quella delle attività politico-simposiali del gruppo. In questo caso, il poeta, facendo notare ai convitati che la stanza del banchetto è arredata con armi, ricorda cosa aspetta i compagni quando si concluderà la pausa festiva.

22 Cf. Ghinatti 1970, 37ss. e 72s. 23 Cf. Labarre 1994, 415ss.

24 Lo scolio ad Alc. 114 ricorda un esilio presso Pirra, città a circa 3 km dal sito del santuario di Messa (cf.

supra pp. 51ss.)

25 Bonanno (1976, 1ss. in 1990, 125ss.) ha proposto di identificare il me/gaj do/moj di Alc. 140,2 con un

edificio templare. Il vero problema per una simile interpretazione risale, però, proprio al testimone del frammento, ossia Ath. XIV 627As., il quale commenta il componimento nei seguenti termini: kai¿toi ma=llon iãswj hÀrmotte th\n oi¹ki¿an plh/rh eiånai mousikw½n o)rga/nwn. Il fatto che Ateneo parli di una casa, probabilmente quella del poeta stesso, deve essere decisivo nell'interpretazione, se si tiene presente che egli doveva conoscere nella sua interezza la poesia in questione. Sul carme cf. anche Porro 1996, 106, Liberman 1999, 67 e infra pp. 89ss. Sulla presenza di armi nella sala da banchetto nell'iconografia cf. Schmitt-Pantel 1992, 17ss.

Situazione analoga a quella di Alc. 6 appare in Alc. 208: la forza della tempesta è devastante. In questo contesto, si assiste ad un'alternanza fra io e noi assai interessante: il locutore dichiara di non capire la sta/sij dei venti affermando, nel contempo, che «noi siamo portati con la nera nave nel mezzo del mare, patendo per una grande tempesta» (vv. 3-5). Da una parte Alceo, per quanto lo riguarda, non riesce a capire la situazione in cui è calato, dall'altra la tempesta coinvolge anche i suoi compagni e, per questa ragione, egli usa la prima persona plurale. L'identità fra il noi e gli e(tai=roi, del resto, è agevolato proprio dal confronto con Alc. 6, di tematica affine.

Alc. 346, 352 e 362, con le loro allusioni a gesti simposiali (Alc. 346 e 362) o con gli inviti al bere (Alc. 346 e 352), permettono di stabilire come il noi sia assimilabile a chi è presente a banchetto, ovvero agli e(tai=roi del poeta.

Due esigui frammenti, infine, consentono ancora di identificare la prima persona plurale con i componenti dell'e(tairei/a alcaica: a)/mmin a)qa/natoi qe/oi ni/kan (Alc. 314) e

ai) de/ k' a)/mmi Zeu=j tele/sei no/hmma (Alc. 361) sembrano effettivamente riconnettersi all'attività politica propria di Alceo e dei suoi26.

L'analisi dei contesti in cui compare noi nella poesia alcaica mostra come, in tutti i casi in cui sia possibile determinare con sicurezza il contesto e gli attori in campo, la prima persona plurale si fondi su una realtà di fatto. Come nell'epos, in sostanza, noi

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