• Non ci sono risultati.

Il personaggio di Ólǫf nella HSK e nelle fonti

3 L’immagine della regalità nella Hrólfs saga Kraka

3.6 Il personaggio di Ólǫf nella HSK e nelle fonti

È inevitabile a questo punto concentrarsi solo su Ólǫf e Yrsa, due personaggi chiave nella leggenda di Helgi. La prima nella HSK viene descritta fin da subito come una donna fuori dal comune:

«In Saxland a quel tempo regnava una regina di nome Ólǫf. Lei agiva come un re guerriero. Vestiva una cotta di maglia e impugnava uno scudo, una spada al suo fianco e un elmo sulla sua testa. Ecco com’era lei: bella nel viso ma seria e sprezzante nell’animo. Si diceva che fosse la migliore a quel tempo in tutto il nord, ma lei non voleva uomo. Ora, re Helgi aveva udito dell’arroganza della regina, e pensava che lui avesse avuto ancora più fama se fosse riuscito a conquistarla, con o senza la sua volontà158

Ólǫf appare agli occhi del pubblico come una donna indomabile, sicura di sé, autonoma, una donna quindi totalmente diversa la quella ordinaria: l’autore la descrive come her-

konungr, ‘un re guerriero’, per dare l’idea di una donna forte e indipendente, immagine

enfatizzata anche dall’armatura, dalla cotta di maglia e da una spada, indice di una donna che sa difendersi da sola, che non sente il desiderio o la necessità di avere accanto a sé nessun tipo di uomo. La descrizione effettuata dall’autore amplia i tipi di donna dell’im- maginario collettivo, in quanto Ólǫf non aderisce ai canoni della donna ordinaria. La fi- gura di questa regina mostra al pubblico come anche una donna sia capace di armarsi e di essere sovrana di un regno e di un popolo, ridimensionando quindi i confini ideali che solitamente separano l’uomo dalla donna. È l’indomabilità di Ólǫf che spinge Helgi a recarsi nel Saxland per conquistarla, sicuro che otterrà ancora più fama, nell’aver come sposa ‘la donna migliore a quel tempo’. Helgi, come visto in precedenza, agisce sicuro di sé, spavaldo nel suo auto invitarsi nel regno della regina e, dopo aver bevuto, le chiede di diventare immediatamente sua sposa e di passare assieme a lui la notte. Come detto dall’autore, Ólǫf è di natura seria e sprezzante e, pertanto, Helgi avrebbe dovuto rispettare l’indole difficile della regina. Sarà proprio la sua impazienza e la sua arroganza a provo- care in lui la prima grande umiliazione della sua vita: il taglio della chioma, il catrame e la chiusura in un sacco. È così che la regina punisce un sovrano che non ha saputo rispet- tare né il suo stesso onore né quello della regina159. Aver sottomesso un sovrano così im- portante a questa umiliazione conferisce a Ólǫf ‘una fama che non è mai stata così

158 «Fyrir Saxlandi réð í þann tíma ein drottning, er Ólǫf hét. Hún var á þá leið sem herkonungar. Fór hún með skjǫld

ok brynju ok gyrð sverði ok hjálm á hǫfði. Þannig var hennni háttat: væn at yfirliti, en grimm í skapi ok stórmannlig. Þat var mál manna, at sú væri bestr kostr í þann tíma á Norðrlǫndum, er menn hǫfðu spurn af, en hún vildi þó engan mann eiga. Helgi konungr fréttir nú til drottningar þeirar innar stórlátu ok þótti sér mikill frami í aukast að fá þessarar konu, hvárt sem henni væri þat viljugt vel eða miðr.»

159 Avere una lunga chioma era decisamente importante per un sovrano e la perdita di essa rappresentava invece un

88

grande’160. Con il successivo inganno di Helgi, il narratore informa il pubblico che Ólǫf è ‘la più avara delle donne’, contribuendo a conferire a questa sovrana un’immagine sempre più controversa. Tramite il tesoro, Helgi riuscirà ad avere quella che lui ritiene essere la sua vendetta, ma il susseguirsi di vicende che ne consegue lo porterà lentamente alla sua disso- luzione. La verginità perduta e la gravidanza umiliano la regina, ridimensionandola, por- tandola allo stesso livello delle donne comuni:

«Dopo un po’ di tempo, Ólǫf ebbe una bambina, ma lei non aveva tempo per occuparsi di lei. Aveva un cane di nome Yrsa, quindi nominò la bambina come il suo cane. Lei era molto bella e quando ebbe dodici anni, ebbe il compito di tenere d’occhio il gregge, non sapeva nient’altro se non essere figlia di due pastori, dato che la regina aveva agito in segreto a riguardo e pochi sapevano che lei era incinta e che aveva in seguito avuto una bambina161 La vita di madre non si confa alla regina, in quanto sembra non avere né tempo, né alcun tipo di sentimento materno nei confronti di sua figlia, dato che verrà chiamata come il suo cane e che verrà affidata all’affetto e alle cure di una coppia di pastori. La violenza subita sarà ven- dicata nel momento in cui Ólǫf sceglierà di non rivelare subito l’identità alla figlia dei pastori, preferendo piuttosto aspettare la nascita di Hrólfr per avvertire Yrsa, rovinando in questo modo non solo la vita di sua figlia, ma anche quella di colui che l’ha disonorata. Ólǫf in questo modo aderisce al modello di donna vendicativa presente, come visto ad esempio, nella Skjǫl-

dunga saga, la cui vendetta viene intesa come un atto di astuzia:

«Un giorno (Helgi) approdò nel Saxland, a quel tempo governato dallo jarl Geirtiofus, che era assente in quel momento, e si recò con il suo esercito in una città in cui ricordava vivesse una regina di nome Olava la ricca. Lui venne accolto calorosamente, in quanto lei non poteva fare nulla dato il suo arrivo inaspettato. Fu preparata una grande festa, gli animi si riscalda- rono col vino, e Helgo chiese a Olava di passare con lui la notte. Sebbene lei non ne avesse alcun desiderio, lei non rifiutò, le sue abilità non risiedevano nella forza ma nell’astuzia. Poco lucido per via del vino, il re venne portato nella stanza della regina; lì giaceva il riposo ed era sempre più sopraffatto dal vino e dal sonno. Olava, che voleva giacere con lui solo in seguito, decise di prendersi molto tempo per spogliarsi dei suoi ornamenti femminili e per mettere a posto tutto quello che si era tolta. Nel frattempo Helgo, sopraffatto dal sonno, si addormentò. Ancora addormentato, lei lo mise in un carro e lo portò presso le navi, in seguito gli uomini di Helgo vennero informati del rientro del alle navi. Quando giunsero lì videro una grande folla locale che Olava aveva chiamato con dei messaggeri in segreto, così pensavano che l’unica cosa sicura era salire a bordo. In realtà Olava aveva rasato la testa di Helgo e lo aveva ricoperto di piume e catrame, e dopo averlo umiliato, lo aveva mandato via. Così Helgo tornò in Danimarca con questa atroce umiliazione162

160 HSK, cap. VIII: «Ólǫf drottning sitr nú í ríki sínu um hríð, ok hefir hennar ofsi ok ójafnaðr aldri verið meiri en nú.» 161 «Ok er stundir liðu fram, fæðir Ólǫf barn. Þat var mær. Hún leggr á barn þat alla óstund. Hún átti hund þann, er Yrsa

hét, ok þar eptir kallaði hún meyna, ok skyldi hún heita Yrsa. Hún var væn at áliti. Ok sem hún var tólf vetra gǫmul, skyldi hún gæta hjarðar ok aldri annat vitast en hún væri karls dóttir ok kerlingar, því at drottningin hafði svá leynt með þessu farit, at fáir menn vissu, at hún hafði barn átt ok fætt.»

162 «Qui cum Saxoniam forte attigisset, cui tum Geirtiofus dux præfuit, id temporis in exteris agens, ad oppidum, in

quo reginam vel ducissam Olavam cognomento divitem residere cognovit, se cum exercitu confert. Excipitur humaniter, nec enim insperato ipsius adventui resistere subito poterat. Convivium lautum instruitur, animi mero calent, et Helgo Olavæ noctem sollicitat. Illa quamvis invita ostendit se non refragaturam ; neque sane potis erat vi sed astutia. Is vino obrutus in cubile deducitur. Reliqui vino alibi et somno sepulti jacent. Olava lectum cessanter ascendere cogitans, longas in ornatu foemineo detrahendo et extractum decenter componendo, nectit moras. Interea Helgo somno gravi correptus obdormiscat..Illa vero, expedito præ foribus currui dormientem impositum, curat ad naves deportari, sociis signo dato, quod eorum dux naves repetierit. Quo ut ventum est, vident magnum incolarum numerum sibi imminere (quem Olava per nuntios clandestinos coegerat) ita ut nihil nisi naves conscendere tutum sibi existimarent. Helgonem vero Olava, tonsis capillis et capite plumis ae pice liquida deturpato, illusum dimiserat. Hune casum ægerrinæ ferens Helgo in Daniam primum revertitur.»

89

Nei Gesta Danorum la situazione è decisamente diversa, in quanto Saxo giudica gli eventi da una prospettiva diversa:

«II, V, 4. Tornato che egli (Helgone) fu nell’isola di Thorö per esercitare la pirateria, Thora, che non aveva ancora smesso di dolersi per la perduta verginità, escogitò una vergognosa macchinazione per prendersi un’empia vendetta su chi l’aveva stuprata. Infatti mandò di pro- posito alla spiaggia sua figlia, a quel tempo in età da matrimonio, e le ordinò di disonorare suo padre andando a letto con lui. Sebbene Helgone si dedicasse fisicamente alle pericolose lusinghe del piacere, non bisogna credere che avesse abbandonato la sua integrità morale, in quanto l’ignoranza gli conferiva una più che valida giustificazione per il suo errore. O stolta madre, che rinunciò alla castità della figlia per vendicare la propria, e non ebbe scrupoli nel sacrificare la purezza del suo stesso sangue, pur di rendere colpevole di incesto il responsabile della sua perduta verginità! O impietosa mente di donna, che provocò così un secondo stupro di se stessa per punire lo stupratore, e con quest’azione, invece di diminuire il torto subito, lo aggravò! Mentre credeva di vendicarsi, infatti, ha ingigantito la colpa, e mentre desiderava ardentemente cancellare il torto subito vi ha aggiunto il suo crimine, comportandosi da ma- trigna nei confronti della sua stessa figlia, cui non ha risparmiato una violenza infamante pur di rifarsi del proprio disonore. E non c’è dubbio che avesse una mente senza scrupoli: si era talmente allontanata dal pudore da non vergognarsi a lenire l’offesa da lei subita nel disonore della figlia. L’empietà di quest’azione fu grande, ma venne espiata in questo modo: una felice discendenza purificò la colpa dell’incesto, e il danno apportato alla fama di Helgone non fu maggiore di quato furono positive le conseguenze163

Saxo definisce quella di Thora come una ‘vendetta empia’, una ‘vergognosa macchina- zione’. L’ordine dato a Ursa per vendicarsi della violenza subita, conferisce a Thora l’ap- pellativo di ‘matrigna’, quasi a stabilire una certa distanza tra lei e la figlia, a cui ha inferto un’offesa irreparabile. Disonorando le sue stesse discendenze e la sua stessa figlia, ha mol- tiplicato solo la sua vergogna, anziché pareggiare i conti con chi l’ha violentata. A detta di Saxo, Thora non è la donna forte e astuta della HSK e nella Skjǫldunga saga, ma una ‘stolta madre’ che ha anteposto il suo onore a quello della propria stirpe.

Nelle due versioni del Chronicon Lethrense viene fornito solo un cenno: in quello da- nese è chiamata Thora, figlia del fattore di Ro, con cui Helghe ha una figlia (cfr. §3.1.1), mentre in quello latino Thora è la figlia di un barone di nome Rolfcarl. Dopo aver costretto Thora a passare la notte insieme e dopo averla sposata, Helgi costringe sua figlia Ursula a giacere con lui. Successivamente, Thora muore e viene seppellita nell’isola di Thorse, come accade a suo padre e a Helgi (cfr. §3.1.1). Nella Ynglinga saga, come nella Skjǫl-

dunga saga, Ólǫf, qui definita ‘l’imponente’, è sposata con un re, qui chiamato Geirthjófr

(Geirtiofus, jarl del Saxland nell’altra saga), di cui l’autore non fornisce alcun tipo di

163 «2.5.4 Cum ad insulam Thorø piraticam reflexisset, Thora, necdum amissae virginitatis maerore deposito, turpi

commento nefariam stupri ultionem excogitavit. Siquidem filiam nubilis aetatis de industria litori immissam concubitu patrem maculare praecepit. Qui licet insidiosae voluptatis illecebris corpus dedisset, animi tamen integritatem exuisse credendus non est, cum ei promptissimam erroris excusationem ignorantiae beneficium afferret. O stolidam matrem, quae filiae pudicitiam, ut suam ulcisceretur, exsulare permisit nec sanguinis sui castitatem curavit, dummodo incesti efficeret reum, per quem prior ipsa perdiderit caelibatum! Atrocem feminae mentem, quae veluti secundam sui corrup- tionem in poenam corruptoris expendit, cum hoc ipso potius iniuriam augere quam extenuare videretur! Quippe quo se ultionem assequi credidit, culpam astruxit et, dum noxam detrahere gestit, nefas adiecit, subolis suae novercam agendo, cuius, ut propriam expiaret infamiam, flagitio non pepercit. Nec dubium eandem refertum impudentia animum gessisse, cuius tantus a pudore excessus erat, ut iniuriae solacium filiae probro petere non erubesceret. Magnum, sed uno expia- bile scelus, quod concubitus noxam fausta proles detersit neque opinione tristius quam fructu iucundius fuit. Siquidem genitus ex Ursa Rolpho ortus sui infamiam conspicuis probitatis operibus redemit, quorum eximium fulgorem omnis aevi memoria specioso laudum praeconio celebrat. Fit enim, ut laetis lugubria finiantur et in speciosos exitus turpiter auspicata concedant. Igitur ut flagitiosus, ita felix patris error exstitit, quem tanta luce mirificus postmodum filius ex- piavit.»

90

informazioni riguardo i suoi figli164. Tuttavia anche qui comunica a Yrsa che suo marito è in realtà suo padre165.