È sempre notte del Venerdì Santo. I luoghi sono il IV cerchio, dove sono punti gli avari (sperperato) e i prodighi, invece il V cerchio viene annunciato→ la corrispondenza luogo-canto c’è fino al VI canto, da adesso in poi no. Nel V cerchio ci sono gli iracondi (che si arrabbiano) e gli accidiosi.
Qui Virgilio e Dante incontrano Pluto, che era una divinità pagana della ricchezza, qui descritta in maniera mostruosa ed è il guardiano del IV cerchio. Anche lui viene abbruttito, infatti le parole che pronuncia sono un’invocazione a Satana. La terminologia è tipica di questi essere demoniaci (plurilinguismo dantesco). Virgilio questa volta lo mette tacere, chiamando in causa la volontà di Dio per farli passare. Pluto acconsente e li lascia andare avanti. Dante e Virgilio vedono i peccatori di questo cerchio. Gli avari e i prodighi sono divisi in due schiere che si muovono in semicerchio, spingendo dei macigni. Quando si incontrano, si insultano→ punizione per analogia (come nella vita hanno perso tempo dietro cose futili, come il denaro, allo stesso modo per l’eternità sono costretti a svolgere una azione inutile). Virgilio spiega i due peccati opposti: l’avaro è quello che vuole tutti i beni per sé, il prodigo è quello che sperpera. Molte persone dannate hanno la tonsura, simbolo che caratterizzava la chiesa corrotta (erano prelati). Virgilio dice anche che questi peccatori, nel giorno
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del giudizio, risorgeranno con tratto riconoscibile: gli avari risorgeranno con il pugno chiuso, i prodighi risorgeranno con i capelli tagliati. Il secondo è il contrappasso per aver inseguito dei beni che sono sottoposti alla fortuna (intesa come sorte), che è un’intelligenza celeste a cui Dio ha dato il compito di regolare la distribuzione dei beni, mutandola spesso. (decideva a chi andasse la fortuna e regolava la distribuzione delle cose positive e di quelle negative). Digressione sulla fortuna. Passa la mezzanotte, proseguono e arrivano nel V cerchio, che è caratterizzato dalla presenza dello Stige, palude limacciosa (piena di fango). Qui avremo gli iracondi, che sono immersi nudi in questa paluda fetida e che passano il tempo a picchiarsi in continuazione a vicenda (analogia). Sotto la palude ci sono gli accidiosi, che sprecarono la loro vita rimuginando rancore e malumore→ hanno sprecato la loro vita. Loro proseguono lungo lo Stige e arrivano ai piedi di una torre. Qui finisce il VII canto.
Il passare la vita a non fare niente, anzi rimuginando continuamente sui loro rancori è l’accidia.
RIASSUNTO
Con voce stridula e il volto gonfio d’ira, il guardiano del quarto cerchio, dove avari e prodighi scontano la loro pena eterna, grida parole incomprensibili all’indirizzo dei due poeti. Ma non appena Virgilio gli ricorda che il loro viaggio si compie per volontà di Dio, il suo furore svanisce; il mostro, come privato delle sue force, si accascia al suolo. Essi possono casi discendere nel quarto ripiano, dove due fitte schiere di dannati spingono, in direzioni contrarie, grandi paesi. Due sono i punti del cerchio, diametralmente opposti, in cui le schiere si scontrano, rinfacciandosi a vicenda i peccati che le accomunano nel tormento disumano. Poi ciascun dannato si volge indietro e riprende a rotolare il proprio macigno fino all’altro punto d’incontro. La giostra beffarda è destinata a ripetersi in eterno.
Questi peccatori sono irriconoscibili: la mancanza di discernimento che li spinse ad accumulare o sperperare il denaro, li confonde ora tutti in una massa indifferenziata ed anonima. “Nessuno dei beni che sono affidati al governo della Fortuna ricorda Virgilio – potrebbe dar loro pace nemmeno per un attimo. “Dante coglie, da questa affermazione del maestro, l’occasione per interrogarlo sulla natura della Fortuna. Essa non è – spiega il poeta latino – una potenza capricciosa e cieca che distribuisce i suoi favori a caso, ma una esecutrice dei disegni di Dio, poiché da Dio è voluto che i beni si trasferiscano, con alterna vicenda, da una famiglia all’altra, da un popolo all’altro. Stesso proprio quelli che dovrebbero ringraziarla la coprono di insulti. Ma essa, intelligenza celeste, assolve il suo compito imperturbabile e serena.
CANTO VIII
Sopra le torri ci sono delle sorte di segnali di fuoco. Non sappiamo cosa si stiano comunicando.
Contemporaneamente arriva un nocchiero, Flegiàs, molto simile a Caronte, divinità pagana.
Minaccia Dante e gli chiede cosa ci faccia un umano con il corpo qui. Virgilio lo zittisce e salgono sulla barchetta per attraversare lo Stige per raggiungere la città di Dite. Durante questo tragitto, però, spunta un dannato che era Filippo Argenti, fiorentino per essere un noto iracondo, che insulta e attacca Dante con disprezzo e gli viene risposto a tono. Filippo Argenti cerca di far capovolgere la barca, altri dannati iniziano ad attarlo e lui sfoga la sua rabbia mordendosi le mani. Qui viene applicato lo stile della Tenzone quando c’è il dialogo tra Dante e Filippo Argenti. Dante reagisce male
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e gli augura che lui abbia una pena degna del suo male. Si arriva sull’altra riva, dove si arriva nella città di Dite, che era la divinità della morte ed è il regno dei diavoli. Arrivano davanti alla porta della città e qui si affollano tutti i diavoletti che Dante descrive nelle loro forme terribili. Qui, i due non riescono ad entrare, nonostante Virgilio tenti di trattare con i diavoli. È la prima volta che Virgilio a farsi rispettare, nemmeno la ragione basta più e serve un aiuto un po’ più forte. Virgilio dice a Dante di non preoccuparsi perché arriverà un aiuto. Gli iracondi si picchiano nel fango, in più ci sono delle bollicine che vanno in superficie, che probabilmente sono prodotti da un tipo particolari di iracondi, gli accidiosi (coloro che vivono nel rancore, meditando vendetta). I peccati finiti fino ad adesso sono peccati d’incontinenza (che non sono riusciti a gestire le proprie passioni), e sono meno gravi di quelli fatti consapevolmente, usando la ragione. Quindi i dannati nella città di Dite è dove le pene e le colpe iniziano ad essere consapevoli e più gravi.
RIASSUNTO
Già prima di arrivare ai piedi della torre, i due poeti vedono accendersi sulla sua sommità due segnali luminosi, ai quali, da molto lontano, appena percettibile, risponde un terzo. Ed ecco avvicinarsi sulla sua antica barca, veloce al par di saetta, il custode della palude stigia, l’iroso Flegiàs, il quale, rivolto a Dante, grida: “Ti ho finalmente in mio potere, anima malvagia!” Virgilio delude questa speranza del nocchiero infernale: egli e il suo discepolo non sono venuti per rimanere nel cerchio degli iracondi, ma solo per attraversarlo. Mentre, sulla navicella di Flegiàs, i due solcano le acque melmose, ecco farsi avanti uno dei dannati della palude, il fiorentino Filippo Argenti, che apostrofa sarcasticamente il suo concittadino. Dante replica con espressioni di duro scherno, suscitando l’ammirazione di Virgilio che si compiace della nobile ira del discepolo. Ma questi non è ancora contento: vuole vedere il suo borioso antagonista immerso nel fango. Attraversato lo Stige, i due pellegrini sbarcano ai piedi delle mura di ferro rovente che cingono la città di Dite. Qui, più di mille seguaci di Lucifero si oppongono minacciosi all’ingresso di colui che, ancora in vita, impunemente è entrato nel regno dei morti. Il poeta latino esorta Dante a non perdersi d’animo e si reca a parlamentare con i diavoli. Ma poco dopo ritorna con i segni della sfiducia sul volto: la sua missione non è riuscita. Solo qualcuno più forte di lui potrà aprire la porta che immette nei cerchi formanti il basso inferno.
CANTO IX
Il lessico utilizzato è molto petroso, i diavoli non vanno per il sottile. Dante impallidisce perché Virgilio non riesce ad avere la meglio sui diavoli. Nel frattempo, sulle mura della città di Dite si sta radunando il peggio. In ordine abbiamo: i diavoli, l’apparizione delle furie (le arpie, donne alate con artigli al posto delle mani e sono le divinità del senso di colpa), in cima compare la gorgone per eccellenza, Medusa. Virgilio copre gli occhi di Dante per impedire a Medusa di pietrificarlo. Abbiamo un rumore improvviso dalla palude e arriva un messo celeste che, riesce a passare sullo Stige senza bagnarsi, arriva davanti alla porta e, tramite il suo bastone (verga), spalanca l’ingresso alla città di Dite. Sgrida i diavoli, dicendo loro che non possono opporsi al volere di dio, e Dante e Virgilio possono finalmente entrare nella città senza alcun problema. Qui troviamo gli eretici in una pianura
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isolata e la loro pena è essere messi in dei sepolcri arroventati. I coperchi sono ancora aperti, ma nel giorno del Giudizio verranno chiusi e la punizione diventerà ancora più dura. Questa punizione è per analogia perché gli eretici in vita erano condannati al rogo.
I diavoli, le arpie e la medusa sono fondamentali come accompagnamento e per comprendere il messaggio che Dante ci vuole trasmettere. Questo canto è un po’ un canto di raccordo, incentrato su Virgilio e Dante che non riescono ad entrare nella città di Dite. Però ha un messaggio importantissimo: la ragione non riesce a vincere su tutto, ma che c’è un atteggiamento estremamente ragionevole di fronte ai problemi, ovvero affidarsi alla grazia divina. → qualcuno verrà a salvarli. Sacra rappresentazione.
Nel Purgatorio si troveranno gli stessi peccati, però nell’Inferno c’è chi non ha chiesto pietà, invece, Manfredi perché in punto di morte ha chiesto perdono ad esempio.
RIASSUNTO
Dopo essere tornato presso Dante, Virgilio riacquista la propria serenità e incoraggia il suo discepolo ricordandogli di essere già disceso una volta fino al fondo dell’inferno. All’improvviso, sull’alto delle mura fortificate di Dite compaiono le tre Furie, mostri con sembianze di donna e chiome formate da un intrico di serpenti. Esse manifestano la loro ira per la presenza dei due poeti, dilaniandosi con le unghie, percuotendosi e gridando in maniera terrificante. Ma da sole sono impotenti a punire il vivo che ha osato violare la dimora della morte; per questo invocano a gran voce Medusa, la Gorgone che ha il potere di trasformare in pietra chiunque la guardi. Virgilio invita il suo discepolo a volgere le spalle, ed egli stesso gli copre gli occhi con le mani. Ma da lontano si preannuncia ormai l’arrivo del messo celeste. Lo precede un fragore d’uragano, mentre davanti a lui, che avanza sereno sulla palude stigia senza nemmeno bagnarsi le piante dei piedi, i dannati, in numero sterminato, si danno alla fuga. Virgilio esorta Dante ad inginocchiarsi, ma l’angelo non degna i due pellegrini di uno sguardo: altre preoccupazioni sembrano dominare il suo animo. Giunto davanti alla porta della città di Dite, la tocca con un piccolo scettro ed essa si apre senza difficoltà. Prima di ripercorrere il cammino per il quale è venuto, il messo rimprovera i diavoli per l’opposizione ai voleri dell’Onnipotente e ricorda la sorte toccata a Cerbero per aver voluto opporsi ad Ercole che era disceso negli Interi. Allontanatosi l’angelo, i due viandanti penetrano nell’interno della città: davanti a loro si apre una grande pianura cosparsa di tombe, che richiama alla memoria di Dante le necropoli romane di Arles e di Pola. Ma qui i sepolcri, tutti aperti, sono arroventati dalle fiamme. In essi si trovano le anime degli eretici. I due poeti si incamminano lungo un sentiero che corre tra le mura e le tombe infuocate.
CANTO X
1248 → Farinata degli Uberti (vero nome=Manente), con l’appoggio di Federico II, a capo dei ghibellini, caccia da Firenze i Guelfi.
Successivamente muore l’imperatore e i ghibellini vengono, a loro volta, cacciati da Firenze e ritornano in città i guelfi.
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1258 → tutti gli Uberti vengono esiliati dalla città. Farinata, che non si dà per vinto, si rifugia a Siena e da qui organizza la resistenza ghibellina, riorganizzando le loro forze. Firenze (guelfi) attacca Siena, sostenuta da Manfredi, e perde, nel 1260, nella battaglia di Montaperti.
I ghibellini decidono di radere al suolo. Ma, nel Convegno di Empoli, Farinata si oppone a tutti i Ghibellini che volevano che Firenze venisse distrutta. I ghibellini restano al potere per 6 anni (fino al 1266). Quando ci sarà la battaglia di Benevento, dove muove Manfredi (erede all’impero), i ghibellini vengono sconfitti e vengono esiliati. In particolare, vengono esiliati in eterno tutti gli Uberti.
Non contenti, fanno un processo a Farinata, (che è morto). Decidono che sono eretici Catalini e i loro cadaveri vengono dispersi (senza sepoltura). Farinata viene messo tra gli eretici.
Il canto X è il canto degli eretici, ma per tutto il temo si parla di Firenze e delle sue guerre politiche.
Farinata è stato accusato di eresia perché era ghibellino.
RIASSUNTO
Virgilio e Dante stanno vagando in mezzo a questa landa piena di arche (sarcofago). Dante è curioso di sapere chi ci sia tra gli eretici, ma non riesce a vedere nessuno. Virgilio gli dice che tutte queste tombe verranno chiuse nel giorno del giudizio e ci sono coloro che hanno negato l’immortalità dell’anima, gli epicurei. Epicuro è stato un grande filosofo e viene confuso nel medioevo come il generale di eresia. Per i medievali, l’epicureo è colui che non crede nell’immortalità dell’anima ed è materialista. L’epicureismo non si basava su questo, forse ci sono gli dèi, ma essi sono in mondi lontanissimi dall’essere umano e si disinteressano di ciò che fanno gli uomini, se anche ci sono degli dèi, essi se ne disinteressano (è come se non ci fossero). Nella Commedia, gli epicurei sono gli eretici.
Dante e Virgilio incontrano Farinata. Dante aveva chiesto a Ciacco il destino di Farinata e gli aveva risposto che lo avrebbe trovato nei cerchi più in giù. Quest’anima lo chiama, avendolo riconosciuto dalla parlata fiorentina e il poeta si avvina, impaurito, a Virgilio in cerca di protezione. Virgilio lo invita a parlare, così il poeta si avvicina. Farinata gli chiede da dove provenisse e lui risponde onestamente. Gli Alighieri sono dei guelfi e Farinata gli Alighieri li ha esiliati. Dante risponde che almeno la sua famiglia è stata in grado di tornare dall’esilio, mentre la famiglia di Farinata. Dante non sa che farà la stessa fine di lui, però gli viene preannunciato ciò alla fine del canto.
Spunta Cavalcante dei Cavalcanti, padre di Guido Cavalcanti, si erge in ginocchio accanto a Farinata e inizia a guardarsi intorno. Egli gli chiede dove sia suo figlio visto che Dante (meno intelligente di Cavalcanti) sta compiendo un viaggio del genere. Dante gli risponde perché Cavalcanti si è sempre disinteressato della religione. Cavalcante pensa che il figlio sia morto e risprofonda disperato nella tomba (questo perché Dante usa il verbo “ebbe”).
Farinata gli preannuncia che non passeranno neanche 50 lune che Dante avrà la sua stessa sorte e scoprirà quanto è difficile questa arte. Farinata chiede al poeta come mai i fiorentini ce l’hanno tanto con gli Uberti e Dante gli dice che è a causa loro che è avvenuta la strage nella battaglia di
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Montaperti. Farinata afferma che non era da solo, c’erano altri capi, e quando si doveva decidere la sorte di Firenze, lui è l’unico che ha votato affinché non venisse distrutta, aspettandosi che valesse qualcosa. Dante chiede infine come facciano a prevedere il futuro e non le cose del presente.
Farinata risponde che le anime vedono il lontano ma non il vicino, vedono il futuro, ma non il presente. Sanno del presente solo ciò che gli viene raccontato da altri e, quando non ci sarò più un futuro (dopo il Giudizio Universale, dove finisce la storia del tempo e ci sarà solo l’eterno), loro non vedranno più niente. Dante chiede di riferire a Cavalcante che suo figlio è ancora vivo, inizialmente non riusciva a capire la sua perplessità.
Dante chiede se c’è qualcun altro e Farinata risponde con Federico II e il cardinale Ottaviano degli Ubaldini. Farinata scompare nel sepolcro e non parla più. Dante è sovrappensiero e Virgilio dice di non preoccuparsi per ciò che accadrà perché tanto vedrà colei che vede Dio e, vedendo Dio, vede tutta la verità (potrà capire il suo destino). Sono giunti sull’orlo dell’ottavo cerchio, da cui arriva una puzza terribile.
PARAFRASI
Ora il mio maestro avanza per uno stretto sentiero, che si trova tra il muro che cinge la città e i sepolcri roventi, e io lo seguo.
"O somma guida (Virgilio), che mi conduci, come tu vuoi, attraverso i cerchi infernali" presi a dire,
"parla ed esaudisci il mio desiderio.
Sarebbe possibile vedere i peccatori che giacciono dentro le tombe? Tutti i coperchi, infatti, sono sollevati, e nessuno fa ad essi la guardia. "
E Virgilio: "Tutte le tombe saranno chiuse quando (nel giorno del Giudizio Universale) le anime torneranno qui dalla valle di Giosafàt insieme ai corpi che hanno lasciato in terra.
In questa zona del cerchio hanno il loro luogo di sepoltura Epicuro e i suoi seguaci, i quali credono che l’anima muoia insieme al corpo.
Perciò ben presto dentro questo stesso cerchio sarà data soddisfazione alla domanda che mi fai, e anche al desiderio che mi nascondi e non mi riveli" (di vedere Farinata).
E io: "Mia buona guida, io non ti tengo cose nascoste nel mio animo se non per parlare poco, e tu stesso mi hai indotto a ciò non soltanto ora". (Virgilio nel Canto III gli aveva detto di imparare ad osservare senza fare domande).
(Farinata) "O Toscano che ancora in vita percorri la città infuocata parlando in modo così decoroso, abbi la compiacenza di fermarti qui. (Farinata è abituato a sentire parole dei dannati).
Il tuo modo di parlare rivela che sei nato in quella nobile terra alla quale forse arrecai troppo danno."
Questa voce si levò all’improvviso da uno dei sepolcri; mi avvicinai, intimorito, un po’ più a Virgilio.
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Ed egli mi disse: "Voltati: che cosa fai? Ecco là Farinata che si è alzato in piedi: lo vedrai interamente dalla cintola in su ".
Io avevo già fissato il mio sguardo nel suo viso; ed egli stava eretto con il petto e con la fronte quasi avesse l’inferno in grande disprezzo.
E le mani incoraggianti e sollecite ti Virgilio mi sospinsero fra le tombe verso quel dannato, con questa esortazione: "Che le tue parole siano misurate".
Non appena fui ai piedi della sua tomba, mi osservò un poco, e poi, quasi sprezzante, mi chiese: "Chi furono i tuoi antenati? "
Io, che desideravo obbedire, non glieli nascosi, ma gli spiegai tutto; per cui egli sollevò un poco le ciglia, poi disse: "Furono acerrimi nemici miei e dei miei avi e del mio partito, tanto che per due volte li esiliai".
" Se furono mandati in esilio, tornarono da ogni luogo" gli risposi "sia la prima che la seconda volta, ma i vostri non impararono bene l’arte del ritornare”.
A questo punto spuntò dall’apertura scoperchiata un’ombra accanto a quella di Farinata, visibile dal mento in su: penso si fosse alzata sulle ginocchia.
Guardò intorno a me, come se avesse desiderio di vedere se con me c’era qualcun altro, e dopo che ebbe finito di dubitare,
tra piangendo disse: "Se il tuo alto ingegno ti consente di attraversare la buia prigione infernale, dov’è mio figlio? Perché non è con te? ".
Ed io: "Non vengo per mia volontà: (viene per grazia) Virgilio, che là mi aspetta, attraverso questo luogo mi conduce, se riuscirò a seguirlo, fino a colei (Beatrice, simbolo della fede che sta aspettando Dante) che il vostro Guido ebbe in dispregio".
Le sue parole e il tipo di punizione mi avevano già svelato il nome di questo peccatore; perciò la mia risposta fu tanto esauriente e pronta.
Alzatosi di scatto in piedi gridò: "Come hai detto? egli ebbe? non vive più? La dolce luce del sole non colpisce più i suoi occhi? "
Quando si rese conto che non avevo la risposta, cadde nuovamente indietro e non si mostrò più fuori.
Ma il magnanimo Farinata, a richiesta del quale mi ero fermato, non cambiò espressione, né mosse il collo, né chinò il suo fianco;
e proseguendo il discorso di prima, disse: " Se hanno male imparato l’arte del ritornare, ciò mi procura un dolore più grande di quanto non faccia la tomba in cui sto a giacere.
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Ma il volto della donna che qui governa (luna) non si riaccenderà nemmeno cinquanta volte
Ma il volto della donna che qui governa (luna) non si riaccenderà nemmeno cinquanta volte