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La pianta e la stanza

Walter Bejamin, Das Passagen-Werk,

3. Fumetto e manufatto architettonico

3.1 La pianta e la stanza

Seguire lo sguardo alla scoperta dello spazio si configura come un percorso che faremo quindi inizia- re, nell’arco di un’ipotetica giornata qualunque in uno spazio chiuso: set- ting che, nel linguaggio corrente della

sceneggiatura verrebbe definito sem- plicemente “interno, giorno”.

A prescindere dalla direzione di questo nostro percorso, è importante in questa sede operare una distinzione macroscopica tra uno sguardo che osserva e scopre uno spazio interno, delimitato e che da questo stes- so spazio osserva, sempre secondo cornici ben delimitate e definite, la città e uno sguardo (che approfondiremo nel capitolo successivo) che invece esplora un oggetto complesso come la città nella sua articolazio- ne di spazi che, pur tecnicamente trattandosi di esterni, si configurano in realtà spesso come un labirinto (in ogni direzione, dato che lo sguar-

do che esplora la città si muove sia orizzontal- mente che verticalmente) all’interno del quale la dimensione di movimento e spostamento del corpo dell’osservante ha senz’altro un peso maggiore. Torniamo ora allo spazio chiuso, alla nostra stanza. Una soluzione grafica che trova diverse occorrenze è la rappresentazione prospettica dall’alto di un singolo ambiente (o Fig. 31 - Le Corbusier, Cabanon a Roquebrune, 1952.

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di una pianta più articolata composta da più ambienti [Fig. 30]) che racconta quanto avviene nello spazio del- la stanza o dell’appartamento. Tecnicamente mutuata dal linguaggio della progettazione architettonica [Fig. 31] questa soluzione può presentarsi con una configura- zione elementare, dove il quadro della singola vignetta coincide con il profilo in pianta delle pareti sezionate. Nella tavola di Tobias Schalken [Fig. 32] vediamo una stanza dall’alto, perfettamente allineata ai margini della pagina, con un’insistenza geometrica sulle linee ortogo- nali (assito, tavolo e porta sono perfettamente allineati): la posizione dei personaggi e la definizione della scena sono comunicate in modo immediato con un accento evidente sulla forma dello spazio chiuso e della propor- zione che esso instaura con le figure umane all’interno. La stilizzazione e l’estrema sintesi della rappresentazione dal punto di vista informativo ricordano per certi versi le annotazioni grafiche di Stendhal in La vita di Henry Brulard. La direzione dell’azione e dei corpi è chiara e

inequivocabile (il primo uomo con un corpo caricato in spalla sta uscendo dalla stanza al seguito del secondo uomo): questa informazione viene ulteriormente con- fermata, con uno stacco ritmico e un passaggio interno\ esterno, dalle successive due vignette dove, con una dinamica di sta- si dell’inquadratura che richiama il tema kinetoscopico, la luce nella stanza viene spenta, a significare, nel senso comune, la fine del percorso di uscita dei due personaggi. Questo tipo di visualizzazione dall’alto richiede un certo grado di astrazione e causa di conseguenza un leg- Figg. 32 - 33 - Tobias Tycho Schalken, Balthazar, Parigi,

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gero effetto straniante amplificato dalla difficoltà di leggere le posizioni dei corpi da questo specifico punto di vista. La pro- spettiva dall’alto è uno sguardo impossi- bile (alla stregua della sezione spogliata dalle pareti): un punto di vista innaturale

che chiama in causa elementi e convenzioni grafiche legate allo specifico della rappresen- tazione architettonica. La tavola successiva [Fig. 33] amplifica questo effetto di strania- mento proiettando, sulla visione zenitale in pianta, una sequenza di azioni che, invece di disporsi secondo una normale sequen- za di vignette, di allineano in proiezione ortogonale ai lati della pianta. L’effetto è complicato dalla rappresentazione in forma di icone dei pensieri dei personaggi in scena e produce, nella mente del lettore che tenta di ri- comporne la sequenza, l’equivalente di una sequenza visiva esposta più volte. L’azione si concatena e si racconta in una sorta di simultaneità forzata dal ricorso alla proiezione ortogonale (non è riscontrabile un ordine di lettura immediato, quindi lo sguardo è portato a vagare in modo non direzionato sulla tavola e a coglierne in modo disordinato e simultaneo il contenuto informativo) . Questa modalità, che prevede la rappresentazione di diversi momenti dell’azione in un unico contesto spaziale in assenza della normale suddivisione in vignette, è specifica e ricorrente nella storia del fumetto e si manifesta spesso in concomitan- za a una relativa predominanza del dato spaziale rispetto alla modula- zione dell’azione.

Fig. 34 - Juan Díaz Canales e Juanjo Guarnido, Blacksad, Somewhere Within the

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La visione dall’alto della stanza (o di una porzione di essa in quello che comunemente verrebbe definito in sceneggiatura un campo medio) conserva il suo impatto straniante anche quando viene usata in contesti meno sperimentali per rappresentare una scena dove regna il disordine o dove l’ordine naturale delle cose risulta compromesso. Nei due esem- pi riportati tratti da Blacksad di Juanjo Guarnido [Fig. 34] e da Portugal

di Cyril Pedrosa [Fig. 35] assistiamo all’uso più ordinario di questo tipo di inquadratura. I personaggi sono in stato di quiete (chi dormiente, come l’alter ego del protagonista nella tavola di Portugal, chi defunto come il killer lucertola della tavola di Blacksad) e si presentano fron-

tali rispetto all’inquadratura, ripristi- nando, rispetto all’esempio precedente, uno dei parametri classici della regia a fumetti e cioè il principio di leggibilità dell’azione che governa solitamente la scelta delle inquadrature. In entrambi i casi l’asse della visione è leggermente ruotato, a suggerire una condizione di disordine78 confermata dai dettagli rela- tivi alla disposizione degli oggetti in en- trambe le vignette. Ci troviamo in una sorta di momento zero della scoperta dello spazio: il personaggio non agisce, non si muove, e quindi implicitamente non osserva. L’inerzia dei corpi permette un racconto dello spazio complesso e inusuale come quello

78. “Generalmente si utilizza la pagina nel senso della sua più grande dimensione. E così pure il letto. Il letto (o se si preferisce la pagina) è uno spazio rettangolare più lungo che largo, nel quale, o sul quale, ci si stende di solito nel senso della lunghezza”. G. Perec, Specie di spazi, Torino, Bollati Boringhieri, 1989. p. 23.

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della vista zenitale. Di segno diverso l’uso che fa Igort dell’inquadratura dall’alto (in questo caso leggermente inclinata a favore di camera) quan- do, praticamente in apertura del racconto a fu- metti del proprio viaggio in Giappone, ricorre a questo tipo di rappresentazione per introdurci in modo diretto e completo alla dimensione spazia- le del proprio alloggio [Fig. 36]. Rappresentati in questa chiave, i quattordici metri quadri del loca- le, richiamano fortemente la struttura della “casa di bambole” citata in didascalia dall’autore stesso ma, ben lungi dal suscitare un effetto stranian- te o dal generare irrequietezza nel lettore, il- lustrano in modo efficace il contesto spaziale e costituiscono anzi il riferimento per l’articolazione delle scene suc- cessive. Questa prima configurazione, la vista zenitale dell’ambiente, ha comunque una funzione analoga a quelli che definiremo poi piani sequenza di accesso rispetto alla città, viene infatti impiegata per fissare

le coordinate di uno spazio interno fortemente collocato, uno spazio specifico potremmo dire, destinato ad ospitare un’azione articolata. Fig. 36- Igort, Quaderni Giapponesi. Un viaggio nell’impero dei segni, Roma,

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