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4 Dissertazione

4.3 Riflessioni attorno alla vita degli oggetti:

4.3.5 Piccole cose che fanno casa: sotto la coperta il cielo cambia

In questa sezione si tratta l’aspetto della trasformazione degli spazi, gli oggetti che innescano la relazione educativa, l’espressione dell’utenza o ancora l’incontro. Ho incontrato oggetti molto diversi che all’interno dell’atto istituzionale sembravano assumere funzioni e significati simili. Mi sono concentrata sugli oggetti che l’utenza ha utilizzato di sua iniziativa o meno per accedere alla comunicazione con l’educatore. Da qui si possono interpretare i bisogni manifestati dalla persona, quali oggetti assumono significato e quindi come prendersene cura per una presa a carico che favorisca il benessere.

Le cose che hanno preso vita in questo senso sono coperte, cuscini colorati, tazze personalizzate, quegli oggetti tra l’utensile e l’arredo, di cui un’educatrice nel focus group ha parlato come “piccole cose che fanno casa”50.

La coperta è un oggetto che è molto da casa a mio parere. Rispecchia quel momento di tranquillità che ognuno dovrebbe potersi concedere e che è possibile nel contesto domestico, famigliare, in cui si tolgono le scarpe all’ingresso e i piedi possono scivolare liberi sotto di lei. Questo tipo di oggetti si presta a trasformare lo spazio vissuto a partire dalla creazione dell’ambiente d’« accueil » da parte dell’équipe, quando a inizio anno riorganizza le cose nelle stanze del gruppo. Qui con la cura nella disposizione degli oggetti ed arricchendo ogni luogo con queste piccole cose, si vuole far sentire l’altro a proprio agio. Poi nella vita istituzionale quotidiana di ogni giorno l’educatore propone l’allestimento di luci particolari, decorazioni per le feste, per creare atmosfere adatte alle attività svolte.

Una seconda forma in cui i più banali oggetti possono prendere vita è nel loro creare un luogo di incontro tra utenti e educatori. La tazza di tè, ad esempio, il fare il caffè che sembra un onore per il bambino, permettono di trovarsi insieme a condividere un momento che sembra di semplice convivialità. Sono il tavolo della metafora di H. Arendt: qualcosa che unisce, avvicina e segna un limite, una separazione.

“Vivere insieme nel mondo significa essenzialmente che esiste un mondo di cose tra coloro che lo hanno in comune, come un tavolo è posto tra quelli che vi siedono intorno; il mondo, come ogni in-fra ["in-between"], mette in relazione e separa gli uomini nello stesso tempo.”51

In questo senso l’oggetto mette in relazione e doppiamente differenzia l’educatore, essendo simbolo di confine tra sé e l’altro e dei ruoli diversi in gioco.

L’essere mezzo di relazione invece, la sua funzione mediatrice, fa parte di una ritualità istituzionale in cui la ritmicità viene mossa dall’evento che sta nell’incontro, quei momenti in cui si condivide, si fa famiglia. Anche altre cose assumono questo ruolo, ma in questo caso il fine dell’atto sull’oggetto è in sé è proprio lo stare insieme, creando anche lo spazio adatto come ad esempio luci soffuse e postazioni di cuscini e coperte attorno ai divani quando si guarda un film.

In questo processo sono spesso i giovani ospiti a proporre l’attività che genera vicinanza, a trovare uno spazio di fiducia che permette di depositare parti di sé nell’altro ed in quegli oggetti che diventano simbolici. Rispetto ai dati raccolti l’adolescente che chiede all’educatrice e/o alle compagne di pitturarsi le unghie o fare una maschera al viso, come anche la tazza di tè bevuta insieme alla sera, possono favorire la narrazione veicolando un’atmosfera di apertura, come ad attraversare la soglia verso uno strato più intimo delle persone tramite il gesto.

La coperta all’interno del diario di bordo52, ma anche altri di questi oggetti quasi scontati, vengono animati dai ragazzi che autonomamente trasforma lo spazio attorno a sé. Questo processo contiene un significato comparabile a quello del gioco simbolico, ovvero una costruzione di una nuova realtà, di uno spazio vissuto, a cui il bambino sceglie di dare un certo senso, con cui ricerca o vuole trasmettere un’atmosfera precisa, e che al contempo rispecchia e replica parti dei contesti di vita sperimentati dal bambino.

Non mi addentro ulteriormente nel gioco simbolico poiché è già di per sé un tema molto ampio. Ciò che posso però trarre dalla mia analisi è l’importanza per l’educatore di permettere che in particolare l’ultimo fenomeno descritto avvenga, lasciare quindi che la spazzola diventi microfono, il LEGO un hamburger e la nostra coperta un fortino di lettura.

Sicuramente a volte gli oggetti hanno bisogno di essere protetti. Lasciare che il bambino costruisca con mollette da bucato, sedie e coperte, il suo posticino personale, ad esempio, implica la libertà data dagli operatori sociali ad utilizzare le cose in modo inventivo, improprio e forse bizzarro. Sarebbe necessaria una minima cura anche degli oggetti banali, che non sempre

51 Arendt H. (1988). Vita activa: La condizione umana, p. 82. 52 Vedi “Allegato 2 : Scena 2, Giovedì 12 maggio” p.16.

i bambini hanno, forse per questo tante volte si impedisce la forma di partecipazione ed espressione in questione. Sebbene spesso difficile da gestire questo tipo di manipolazione fatta dall’utente è fondamentale perché stimola lo spirito d’ iniziativa e la creatività nella persona. Inoltre permette attraverso la partecipazione di appropriarsi dello spazio, di sentirlo proprio, creare la propria accoglienza. Qui si può dire che l’oggetto è diventato objeu, perché se si osserva attentamente questi momenti si può comprendere le rappresentazioni del giovane, funzionali o pericolose che siano.

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