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Università Ca’ Foscari Venezia, Italia

Gli studi sulla letteratura odeporica hanno avuto una grande fioritura ne-gli ultimi decenni, e la dedicataria di questo scritto ne è stata un’attiva pro-tagonista. Non le dispiacerà, almeno spero, che nel volume in suo omaggio figuri l’escursione transalpina di un italianista di lungo corso, sollecitato dall’esemplarità del capolavoro di Baudelaire nella messa a fuoco del valo-re simbolico del viaggio, affiorante in tante pagine di scrittori antichi e mo-derni, ma del tutto originale nelle Fleurs du mal. Il poeta francese si spinge al di là di collaudate metafore allegoriche: il viaggio che predilige è quello «dans les rêves, | au delà du possible, au delà du connu!», come ci dice in La

pri-ma della morte tra Les épaves (1866), collocati poi in appendice al-le edizioni postume della raccolta insieme ai testi censurati inediti e dispersi. Chiusa sostanzialmente con la seconda edizione l’avven-tura delle Fleurs, Baudelaire può volgersi a contemplare retrospetti-vamente la sua vicenda esistenziale e letteraria. Esordisce ricordan-do che quand’era bambino la sua culla era adricordan-dossata alla biblioteca:

Mon berceau s’adossait à la bibliothèque, Babel sombre, où roman, science, fabliau, Tout, la cendre latine et la poussière grecque, Se mêlaient. J’étais haut comme un in-folio. (vv. 1-4) Da quei libri uscivano due voci che lo invitavano a viaggiare:

Deux voix me parlaient. L’une, insidieuse et ferme, Disait: «La Terre est un gâteau plein de douceur; Je puis (et ton plaisir serait alors sans terme!) Te faire un appétit d’une égale grosseur». (vv. 5-8)

Questa è la voce dell’edonismo, la sirena che incanterà – per inten-derci – il Gide delle Nourritures terrestres e il D’Annunzio pànico. L’altra, carezzevole e nel contempo spaventosa, gli indica una pere-grinazione immateriale, ben più affascinante:

Et l’autre: «Viens, oh! viens voyager dans les rêves Au delà du possible, au delà du connu!»

Et celle-là chantait comme le vent des grèves, Fantôme vagissant, on ne sait d’où venu, Qui caresse l’oreille et cependant l’effraie. Je te répondis: «Oui! douce voix!» C’est d’alors Que date ce qu’on peut, hélas! nommer ma plaie Et ma fatalité. (vv. 9-16)

Non è forse un caso che, nei versi recanti l’invito della seconda vo-ce e il suo accoglimento da parte del poeta, vibri per ben 17 volte la

v iniziale della parola-chiave della raccolta, voyage, fricativa

sono-ra che mima il fruscìo del vento ed evoca il tono sommesso e il modo insinuante di una proposta seduttiva, mentre nell’allettamento edo-nistico della prima voce tale consonante non figura mai.

L’esortazione a viaggiare «nei sogni, al di là del possibile, al di là del noto», a esplorare gli spazi infiniti e il mistero trova risposta nel-la scelta esistenziale e poetica del novello Ercole al bivio. Rispon-dendo a quella chiamata, Baudelaire tocca motivi che caratterizza-no tanti suoi versi: la chiaroveggenza nel buio dell’abisso, l’angoscia che nell’oscurità prende forma di rettili striscianti, l’amore degli spa-zi immensi del deserto e del mare, il riso nel lutto e il pianto nelle

fe-ste, lo sguardo volto al cielo che provoca la caduta sul terreno, la fol-lia preferita alla saggezza:

Derrière les décors De l’existence immense, au plus noir de l’abîme, Je vois distinctement des mondes singuliers, Et, de ma clairvoyance extatique victime, Je traîne des serpents qui mordent mes souliers. Et c’est depuis ce temps que, pareil aux prophètes, J’aime si tendrement le désert et la mer;

Que je ris dans les deuils et pleure dans les fêtes, Et trouve un goût suave au vin le plus amer;

Que je prends très souvent les faits pour des mensonges Et que, les yeux au ciel, je tombe dans des trous. Mais la Voix me console et dit: «Garde des songes;

Les sages n’en ont pas d’aussi beaux que les fous!». (vv. 16-28) È noto che, quando venne costretto dal consiglio di famiglia a im-barcarsi per Calcutta, il ventenne Baudelaire decise di rimpatria-re dopo il secondo scalo. Trimpatria-re mesi di navigazione ininterrotta basta-rono a farlo innamorare del mare e del cielo senza limiti, e il breve soggiorno in due isole dell’oceano Indiano, Mauritius dalla flora lus-sureggiante e dagli intensi profumi, e La Réunion, allora detta Bou-rbon, furono sufficienti per accendere e alimentare nella sua testa e nei suoi versi il culto di un Oriente immaginario, più vero di quel-lo che avrebbe potuto sperimentare in concreto sbarcando in India o in altri paesi esotici.

L’itinerario che il poeta fa compiere al Lecteur, dedicatario del libro, è quello verticale, che dall’abisso dello spleen, dell’abiezione e dall’an-goscia sale verso le altezze dell’arte e dello spirito, esemplarmente evocate nella lirica Elévation (3): «au-dessus, au-dessus, au-dessus…». Per evitare un’analisi dispersiva inadatta alla misura di questo scrit-to, considererò solo le otto poesie in cui ricorre il termine voyage, e in particolare le quattro in cui la parola è posta in bella evidenza nel ti-tolo, in quanto motivo centrale: Bohémiens en voyage (13), L’Invitation

au voyage (53), Un Voyage à Cythère (116), e infine Le Voyage (126).

Non trascurabile è la comparsa del mot-clé all’interno di una del-le Fdel-leurs più cedel-lebri, L’Albatros, poesia del 1859 assente nella

prin-ceps del 1857, che nella raccolta del 1861 figura in seconda sede,

do-po il prologo in versi Au lecteur, fuori numerazione, tra Bénédiction e la citata Elévation; due poesie che rivelano la quintessenza spiri-tuale del libro. Fin troppo evidente è la funzione metaletteraria del-la lirica giocata sul paragone tra il poeta e l’uccello marino, cattu-rato e dileggiato dalla ciurma per la sua goffa andatura, ma regale «viaggiatore alato» che si libra nel cielo, indifferente alle tempeste e al dardo dell’arciere:

Souvent, pour s’amuser, les hommes d’équipage Prennent des albatros, vastes oiseaux des mers, Qui suivent, indolents compagnons de voyage, Le navire glissant sur les gouffres amers. A peine les ont-ils déposés sur les planches, Que ces rois de l’azur, maladroits et honteux, Laissent piteusement leurs grandes ailes blanches Comme des avirons traîner à côté d’eux.

Ce voyageur ailé, comme il est gauche et veule! Lui, naguère si beau, qu’il est comique et laid! L’un agace son bec avec un brûle-gueule, L’autre mime, en boitant, l’infirme qui volait! Le Poète est semblable au prince des nuées Qui hante la tempête et se rit de l’archer; Exilé sur le sol au milieu des huées, Ses ailes de géant l’empêchent de marcher.

Dallo scivolamento sulle onde e dal veleggiare nel cielo, il viaggio si sposta sul suolo in Bohémiens en voyage, tredicesimo fiore del mazzo nella struttura definitiva, pubblicato primamente nel 1852:

La tribu prophétique aux prunelles ardentes Hier s’est mise en route, emportant ses petits Sur son dos, ou livrant à leurs fiers appétits Le trésor toujours prêt des mamelles pendantes. Les hommes vont à pied sous leurs armes luisantes Le long des chariots où les leurs sont blottis, Promenant sur le ciel des yeux appesantis Par le morne regret des chimères absentes. Du fond de son réduit sablonneux, le grillon, Les regardant passer, redouble sa chanson; Cybèle, qui les aime, augmente ses verdures, Fait couler le rocher et fleurir le désert Devant ces voyageurs, pour lesquels est ouvert L’empire familier des ténèbres futures.

Il quadro di genere – gli uomini a lato dei carrozzoni, con le pupil-le accese e pupil-le armi lucenti, i bambini portati sul dorso, pupil-le mammel-le sempre pronte a sfamarli –, non si ferma all’epidermide del reamammel-le. La variazione del titolo primitivo La Caravane des Bohémiens in

Bo-hémiens en voyage introduce la parola che ci preme, e comporta un

effetto di alone sui colori del quadretto, facendo sfumare il pittore-sco nel simbolico, il cronachismo nell’esistenziale. Nel contempo, gli zingari, che da complemento di specificazione diventano soggetto, portano in primo piano la sostanza umana, protagonista della poe-sia e dell’intera raccolta: la tribù dei nomadi è «prophétique», e su-scita prodigi: il grillo raddoppia il canto, Cibele muove la natura, fa fiorire il deserto e sgorgare una fonte dalla roccia. Questa migrazio-ne verso una meta spaziale ma anche temporale, le «temigrazio-nebre futu-re», diventa quête di un destino, in cui si sente l’eco delle favole an-tiche, della sacra scrittura e dei vangeli apocrifi.

Adepto di una religione non definita confessionalmente, Baude-laire è sensibile al mistero, che può prendere forma di gouffre e di

abîme, quasi sinonimi ricorrenti nella sua geografia antropica,

esi-stenziale se non metafisica. I «gouffres amers» che abbiamo incon-trato nei mari dell’Albatros, li ritroviamo sotto forma di «abîmes» in

L’homme et la mer (14), due organismi che nascondono profondità

in-sondate. Come stupirci, dunque, che nel Beau navire (52) la donna amata, rivestita di un’ampia gonna, sia paragonata a una bella nave? Questa poesia precede nella raccolta L’Invitation au Voyage, scritta nel 1855 da Baudelaire per esortare l’attrice Marie Daubrun ad an-dare con lui nel paese che le somiglia, dove tutto è ordine e bellez-za, lusso, calma e voluttà. Non specificata nei versi, la mèta è stata ravvisata dagli studiosi in Amsterdam, il porto cui giungevano an-che dalle Indie più lontane navi carian-che di merci favolose, vero Orien-te d’Europa come la disse altrove il poeta (ma si è parlato anche di Haarlem con un tocco di Venezia). Comunque sia, quel paese si tra-sforma in un non-luogo edenico, vera utopia in senso etimologico:

Mon enfant, ma soeur, Songe à la douceur D’aller là-bas vivre ensemble! Aimer à loisir, Aimer et mourir

Au pays qui te ressemble! Les soleils mouillés De ces ciels brouillés

Pour mon esprit ont les charmes Si mystérieux

De tes traîtres yeux,

Brillant à travers leurs larmes. Là, tout n’est qu’ordre et beauté, Luxe, calme et volupté.

Des meubles luisants, Polis par les ans,

Décoreraient notre chambre; Les plus rares fleurs

Mêlant leurs odeurs

Aux vagues senteurs de l’ambre, Les riches plafonds,

Les miroirs profonds, La splendeur orientale, Tout y parlerait A l’âme en secret Sa douce langue natale.

Là, tout n’est qu’ordre et beauté, Luxe, calme et volupté.

Vois sur ces canaux Dormir ces vaisseaux

Dont l’humeur est vagabonde; C’est pour assouvir

Ton moindre désir

Qu’ils viennent du bout du monde. Les soleils couchants

Revêtent les champs, Les canaux, la ville entière, D’hyacinthe et d’or; Le monde s’endort Dans une chaude lumière. Là, tout n’est qu’ordre et beauté, Luxe, calme et volupté.

A un viaggiatore è paragonata una delle Femmes damnées, seconda delle sei poesie condannate dalla censura nel 1857 ed espunte dall’e-dizione del 1861, poi ricuperata nelle Épaves del 1866. Schiava del suo amore saffico, Ippolita volge lo sguardo non alla prua ma alla scia d’ac-qua lasciata dietro di sé dalla nave, rimpiange l’innocenza perduta, ri-pensa ai chiari orizzonti varcati nel tempo e superati nella coscienza:

Elle cherchait d’un oeil troublé par la tempête De sa naïveté le ciel déjà lointain,

Ainsi qu’un voyageur qui retourne la tête

Vers les horizons bleus dépassés le matin. (Delphine et

Hippo-lyte, vv. 5-8)

«Imprudente viaggiatore» partito dall’azzurro e caduto in uno Stige limaccioso, nel quale nessun occhio celeste può penetrare, è il prota-gonista di una poesia in quartine del 1859, L’irrémédiable (84), titolo

intraducibile poiché assorbe il termine diable, il maligno nel cui no-me si conclude la prima e più lunga delle sue due parti. Vi domina il mito dell’Angelo caduto, creatura alata come già l’àlbatro, ma tanto più carica di suggestione: tentato dall’amore del difforme, si dibatte come un nuotatore in fondo a un incubo, lotta contro un gigantesco risucchio e canta brancolando nelle tenebre:

Une Idée, une Forme, un Être Parti de l’azur et tombé

Dans un Styx bourbeux et plombé Où nul oeil du Ciel ne pénètre; Un Ange, imprudent voyageur Qu’a tenté l’amour du difforme, Au fond d’un cauchemar énorme Se débattant comme un nageur, Et luttant, angoisses funèbres! Contre un gigantesque remous Qui va chantant comme les fous

Et pirouet tant dans les ténèbres. (vv. 1-12)

Seguono altre immagini di angoscia – la fuga da un luogo buio pieno di rettili, la discesa senza lampada da scale prive di ringhiera accan-to a viscidi mostri, la nave intrappolata nei ghiacci –, fino alla chiusa sarcasticamente amara, che ne svela il valore teologico:

– Emblèmes nets, tableau parfait D’une fortune irrémédiable Qui donne à penser que le Diable

Fait toujours bien tout ce qu’il fait! (vv. 21-4)

Che il viaggio baudelairiano sia un viaggio mentale prima che fisi-co, e si risolva in un pellegrinaggio interiore o in uno slancio verso l’Oltre, lo conferma Un Voyage à Cythère (116). L’esposizione in pri-ma persona farebbe pensare a una radice biografica della lirica, che in verità fu innescata dalla lettura del Voyage en Orient di Gérard de Nerval (1851). Il cuore del poeta si libra come un uccello, volteggia gioiosamente come un angelo inebriato dal sole intorno alla nave che veleggia verso Citera, paese famoso nelle canzoni, Eldorado per vec-chi scapoli su cui il superbo fantasma di Venere plana come un dol-ce aroma, isola dei verdi mirti dove fioriscono rose e i sospiri d’amo-re fluttuano come un incenso o come l’eterno tubad’amo-re dei colombi. Ma Citera non è ormai che una terra triste e nera, un deserto roccioso turbato da aspri gridi:

Mon coeur, comme un oiseau, voltigeait tout joyeux Et planait librement à l’entour des cordages; Le navire roulait sous un ciel sans nuages; Comme un ange enivré d’un soleil radieux. Quelle est cette île triste et noire? – C’est Cythère, Nous dit-on, un pays fameux dans les chansons, Eldorado banal de tous les vieux garçons. Regardez, après tout, c’est une pauvre terre. – Île des doux secrets et des fêtes du coeur! De l’antique Vénus le superbe fantôme Au-dessus de tes mers plane comme un arôme Et charge les esprits d’amour et de langueur. Belle île aux myrtes verts, pleine de fleurs écloses, Vénérée à jamais par toute nation,

Où les soupirs des coeurs en adoration Roulent comme l’encens sur un jardin de roses Ou le roucoulement éternel d’un ramier!

– Cythère n’était plus qu’un terrain des plus maigres, Un désert rocailleux troublé par des cris aigres. J’entrevoyais pourtant un objet singulier!

Chi si avvicina alla costa tanto da turbare gli uccelli con le bianche vele scorge un patibolo a tre bracci, nero e stagliato sul cielo come un cipresso:

Ce n’était pas un temple aux ombres bocagères, Où la jeune prêtresse, amoureuse des fleurs, Allait, le corps brûlé de secrètes chaleurs, Entre-bâillant sa robe aux brises passagères; Mais voilà qu’en rasant la côte d’assez près Pour troubler les oiseaux avec nos voiles blanches, Nous vîmes que c’était un gibet à trois branches, Du ciel se détachant en noir, comme un cyprès. De féroces oiseaux perchés sur leur pâture Détruisaient avec rage un pendu déjà mûr, Chacun plantant, comme un outil, son bec impur Dans tous les coins saignants de cette pourriture; Les yeux étaient deux trous, et du ventre effondré Les intestins pesants lui coulaient sur les cuisses,

Et ses bourreaux, gorgés de hideuses délices, L’avaient à coups de bec absolument châtré. Sous les pieds, un troupeau de jaloux quadrupèdes, Le museau relevé, tournoyait et rôdait;

Une plus grande bête au milieu s’agitait Comme un exécuteur entouré de ses aides.

Nerval, che nella sua prosa già parlava diffusamente dell’esilio di Venere dalle sponde fiorite che si erano trasformate in nere rocce, evocava la scena vista dal mare, che Baudelaire dilata aggiungen-do particolari raccapriccianti nella descrizione del cadavere orren-damente mutilato dagli uccelli – più dei pendus dell’indimenticabile

Ballade villoniana. Facendo naufragare contro gli scogli del tempo

il viaggio diretto verso la terra del mito, trasforma quell’impiccato nella figura deformata di un crocefisso che ha sopportato quegli in-sulti in espiazione di «culti infami» (perché nostalgico del paganesi-mo? perché profeta di un nuovo credo?), e dei peccati che ne hanno impedito la sepoltura. In quel corpo marcato dal male – forse com-messo, certo patito – il poeta riconosce se stesso:

Habitant de Cythère, enfant d’un ciel si beau, Silencieusement tu souffrais ces insultes En expiation de tes infâmes cultes

Et des péchés qui t’ont interdit le tombeau. Ridicule pendu, tes douleurs sont les miennes! Je sentis, à l’aspect de tes membres flottants, Comme un vomissement, remonter vers mes dents Le long fleuve de fiel des douleurs anciennes; Devant toi, pauvre diable au souvenir si cher, J’ai senti tous les becs et toutes les mâchoires Des corbeaux lancinants et des panthères noires Qui jadis aimaient tant à triturer ma chair. – Le ciel était charmant, la mer était unie; Pour moi tout était noir et sanglant désormais, Hélas! et j’avais, comme en un suaire épais, Le coeur enseveli dans cette allégorie. Dans ton île, ô Vénus! je n’ai trouvé debout Qu’un gibet symbolique où pendait mon image… – Ah! Seigneur! donnez-moi la force et le courage De contempler mon coeur et mon corps sans dégoût!

Con il cuore avvolto in quell’allegoria come in uno spesso sudario, nell’isola di Venere il poeta ha dunque trovato solo la forca da cui pendeva la sua immagine. La rotta della navigazione spirituale che attraverso lo spazio ha cercato di risalire il tempo, vira infine ver-so l’anima, da cui esce un’accorata supplica: il Signore gli dia la for-za e il coraggio di contemplare senfor-za disgusto il suo cuore, devasta-to come il suo corpo.

Con il Voyage à Cythère, concluso dallo scacco della speranza di trovare la felicità nell’incontro con la bellezza e con l’amore nella forma pagana, incarnate da Venere, ci si avvicina a Le Voyage, poe-metto scritto nel 1859 e dunque mancante nella princeps del 1857, che sigilla il capolavoro baudelairiano nell’edizione del ’61 – dove re-ca la dedire-ca a Maxime Du Camp, pioniere del reportage fotografico e compagno di Flaubert nel viaggio in Egitto e in Nubia. Sintesi co-noscitiva della raccolta, il componimento è diviso in otto parti di va-ria misura scandite sul ritmo solenne delle quartine di alessandri-ni, confacente allo lo scavo meditativo che lo sostanzia interamente. La maiuscola e l’articolo determinativo del titolo segnalano la natu-ra speciale di questo Voyage, parola-tema che riattiva e fonde due metafore consolidate, quella della vita come pellegrinaggio e del li-bro come viaggio testuale. La maiuscola, assente in Bohémiens en

voyage e nell’appena citata Invitation au voyage, un quadretto di

ge-nere il primo, un cantabile complimento d’occasione il secondo, com-pare invece in Un Voyage à Cythère per alludere allo spunto lettera-rio da cui trae origine quella poesia.

L’itinerario tracciato nella prima parte della poesia riprende idee-immagini già incontrate nelle fleurs precedenti:

I

Pour l’enfant, amoureux de cartes et d’estampes, L’univers est égal à son vaste appétit.

Ah! que le monde est grand à la clarté des lampes! Aux yeux du souvenir que le monde est petit!