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1 E PIGRAMMA LONGUM

Nel documento Ovidio e Marziale tra poesia e retorica (pagine 193-200)

Questo seconda parte del nostro studio, che si pone come primo obiettivo l’indagine e l’approfondimento di alcune possibili (e probabili) affinità tra Ovidio e Marziale sul piano della struttura del discorso, parte dal desiderio di soddisfare la curiosità, nata proprio dall’analisi finora condotta sulle similitudini e le divergenze linguistiche e poetiche tra i nostri autori, di quanto e come Ovidio, con la sua costante attenzione all’elaborazione retorica dell’opera poetica, possa avere influenzato Marziale. Riteniamo sia piuttosto evidente che gli epigrammi brevi esulino da questa possibile analisi, ma gli epigrammi lunghi hanno offerto accattivanti elementi e spunti di approfondimento. Del resto è risaputo come Marziale, pur nella ricerca della

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spontaneità e dell’immediatezza, ami giocare con le parole, studi la struttura dell’intero libro, con una disposizione calcolata dei singoli epigrammi al suo interno, ed è quindi legittimo pensare che, laddove le dimensioni glielo consentono, elabori il discorso poetico anche su canoni retorici.

Se nostro scopo è quindi quello di limitare il campo d’indagine agli epigrammi lunghi, dobbiamo innanzitutto cercare di dare una definizione del longum all’interno dell’opera di Marziale, impresa non così scontata, visto che ancora, ad oggi, non è del tutto chiara la soglia del numero di versi che distingue un epigramma lungo da uno breve. Gli studiosi che in passato si sono interessati alla questione hanno definito longa epigrammi superiori ai dieci versi, come Puelma120, oltre i quindici la

Szelest121, da venti in su Classen122. Alberto Canobbio, in un recente articolo123, sottolineando come le soglie numeriche siano in realtà simboliche (anche perché la lunghezza di un testo non rientra fra le caratteristiche che ne possano promuovere l’appartenenza a un determinato genere letterario), e prendendo

120 Puelma 1997, pp. 189-213. 121 Szelest 1980, pp. 99-108.

122 Classen 1985, pp. 329-349; rist. 1993, pp. 207-224. 123 Canobbio 2008, pp. 169-193.

188 le mosse da un ricorrente comportamento riscontrabile in Marziale stesso, che più volte fa seguire a un testo di particolare estensione un più breve e pungente epigramma di carattere apologetico in cui sostiene il suo diritto a scrivere epigrammi lunghi, ritiene che si possa individuare nei ventidue versi dell’epigramma 8,28 – il più breve tra quelli che Marziale si premura di difendere – la dimensione minima garantita dallo stesso autore dell’epigramma longum di Marziale, che quindi, accettando questo criterio, risulterebbe rappresentato da trentuno testi. Di parere diverso, invece, Elena Merli124, la quale propone

di considerare lunghi gli epigrammi di Marziale a partire dai quindici versi, consapevole, comunque, anche lei della meccanicità e dell’arbitrarietà di questa proposta operativa, che ha però lo scopo di individuare un corpus di testi limitato, ma consistente (novanta epigrammi in tutto), tenuto conto del fatto che, qualsiasi ‘soglia’ si accetti, andrebbero poi fatti ulteriori distinguo basati ad esempio sul metro utilizzato da Marziale. Noi, tra tutte le proposte considerate, riteniamo più convincente proprio quest’ultima, essendo anche dell’idea che ‘lungo’ possa

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essere considerato un epigramma sottoponibile a un’analisi della struttura del discorso, difficilmente applicabile ai componimenti inferiori ai quindici versi che, come osserva anche Williams, risultano di solito costruiti su una prima parte dedicata all’introduzione dei fatti, che difficilmente va molto oltre dal distico iniziale e una seconda parte occupata dalla reazione del poeta, molto spesso stringata e incisiva. È evidente, tuttavia, l’obbligo a sottostare comunque ai limiti dell’arbitrarietà di una scelta e a cercare di non cadere nel pericoloso baratro della generalizzazione del ragionamento, tant’è che si è preferito concentrare la nostra attenzione su due soli epigrammi di Marziale: il 6,64 e il 10,5, che fanno parte del gruppo dei cosiddetti epigrammi d’invettiva125 del poeta spagnolo, e che

bene si prestano a un confronto con un’opera di Ovidio, l’Ibis, poemetto dell’invettiva per antonomasia, consentendoci di compiere un ulteriore passo in avanti nel tortuoso sentiero dell’intertestualità.

125 Una recente analisi sugli epigrammi dell’invettiva in Marziale, legati in

190 Se il 6,64 rientra, secondo l’analisi di Canobbio, tra quelli definibili lunghi per l’autorità dell’autore, perché seguito da un epigramma di soli sei versi che ne giustifica l’estensione e il metro (il 6,64 è, infatti, uno dei pochi carmi di Marziale in esametri), il 10,5, con i suoi 19 versi si inserisce, comunque, a buon diritto nell’elenco dei longa, proprio perché sottoponibile a un’analisi della struttura del discorso e, di conseguenza - cosa che a noi interessa - a un confronto con l’opera ovidiana. Innanzitutto ci preme dire che se in genere gli epigrammi lunghi di Marziale sono caratterizzati da una struttura epigrammatica standard all’interno della quale viene inserito un brano esteso, solitamente un catalogo, i due epigrammi qui analizzati esulano in parte da questa struttura, avvicinandosi, forse in maniera più palese il 10,5, alla composizione del discorso retorico dell’invettiva. Ora se è piuttosto evidente il fatto che questi due epigrammi appartengano a questo specifico genere, che sovente in Marziale si sviluppa all’interno della polemica letteraria, per cui bersaglio dell’accanimento del poeta diventa il collega disonesto, colui che si appropria del nome del poeta di Bilbili

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per diffondere diffamazioni, dalle quali questi sempre si è tenuto lontano come principio assoluto del suo modo di fare poesia, non altrettanto evidente è forse il meccanismo adottato da Marziale per sviluppare questa invettiva, in un delicato equilibrio tra una sicura fedeltà ai canoni della retorica classica, il rispettoso ossequio al modello ovidiano e, al contempo, il desiderio di distanziarsi – in nome della scelta del genere epigrammatico – e dal predecessore e dalla propria rigida formazione retorica.

Nel tentativo di chiarire questo sofisticato processo poetico e metapoetico, ci viene in aiuto la valida e recente analisi di Grazia Maria Masselli, che nel suo volume sull’Ibis ovidiano126, oltre a mettere in evidenza l’importanza della formazione retorica di Ovidio e il fatto che la sua immaginosa e insieme realistica fantasia abbia trovato incentivo e giustificazione nell’esperienza retorica - che permise al poeta di reinventare e ricodificare i suoi moduli espressivi nell’interazione di tecnica retorica e atto creativo -, sviluppa il suo studio su una divisione

192 sistematica dell’opera in questione, evidenziandone le parti tipiche del genere dell’invettiva.

La Masselli individua quindi nell’Ibis un exordium (vv. 1-10), che ha la finalità di rendere gli spettatori ben disposti all’ascolto, secondo quanto definito anche nella Rhethorica ad Herennium 1,4, grazie al brevissimo sommario della causa; una narratio (vv. 11-28), ovvero l’esposizione delle colpe commesse dal nemico nei confronti del poeta, regolarmente collocata dopo l’exordium, per completare ai lettori-giudici l’informazione sui fatti; una partitio (vv. 45-64) per esporre i punti fondamentali dell’invettiva, nel rispetto – così come i retori consigliavano - dei principi di brevità, compiutezza e sobrietà; una confirmatio (vv. 209-50), che a parere della studiosa corrisponde al momento in cui, di norma, l’avvocato doveva procedere a suadere definitivamente la giuria e una conclusio (vv. 29-44; 65-208; 251-644) per blandire e catturare il favore dei lettori- giudici, scopo per cui l’avvocato-poeta si serve dei previsti artifici retorici: enumeratio, amplificatio, indignatio, conquestio127.

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Il primo passo è stato dunque quello di rintracciare queste parti del discorso, o almeno alcune di esse, nei due epigrammi di Marziale sopra citati, partendo dal 10,5.

Nel documento Ovidio e Marziale tra poesia e retorica (pagine 193-200)

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