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Parte 1. Introduzione

1.5 Il plasma

1.5.7 Il plasma nei beni culturali

Ad oggi non è ancora stata sviluppata una tecnologia ad hoc per le applicazioni ai bene culturali, poiché sono ancora in fase di accertamento sia l’efficacia di questi metodi sia la reale pericolosità verso tutti gli strati che compongono un’opera d’arte. I primi studi sull’uso del plasma a scopo conservativi risalgono al 1979 quando Daniels Vincent, Holland e Pascoe ipotizzarono l’uso di gas come metodo di pulitura perché vantaggioso e meno dannoso rispetto al’uso di solventi. Questi ricercatori portarono avanti esperimenti su vari substrati, sempre in vuoto, scoprendo che le sostanze organiche sono intaccabili dal plasma mentre materiali come vetro, metalli e ceramica non subiscono modificazioni. Da allora sono proliferati studi e sperimentazioni su oggetti d’arte, come ad esempio gli studi di Veprek e colleghi sulla tecnologia del plasma ad idrogeno a bassa pressione per il trattamento di oggetti metallici, sfruttando le proprietà riducenti di questo plasma per eliminare i prodotti di corrosione [26]. I metodi tradizionali di rimozione meccanica ed abrasione risultavano troppo aggressivi nei confronti dei dettagli come intarsi, disegni, scritte e cesellature. Il trattamento con il plasma invece facilita la successiva rimozione meccanica della pellicola corrosa rispettando gli eventuali dettagli artistici del manufatto. In tal senso è stata anche studiata l’applicazione a dagherrotipi per ridurre l’ossido d’argento in argento metallico ed eliminare così le macchie nere. Attualmente il metodo si è evoluto, ed è basato sull’utilizzo del plasma freddo sottoponendo l’oggetto prima ad una pulizia con ossigeno poi ad un trattamento con idrogeno. Si sta studiando la possibilità di rivestire tali superfici metalliche con un deposito protettivo utilizzando la tecnologia PECVD [20].

Altri esempi di utilizzi di questa tecnologia riguardano il mondo del restauro della carta: anche in questo caso viene utilizzato il plasma freddo processando ossigeno e cercando di depositare dei film protettivi via PECVD. Il trattamento al plasma è stato inoltre sfruttato per le sue capacità di modificare la bagnabilità superficiale dei substarti cartacei aumentando il comportamento idrofobico. I trattamenti al plasma risultano essere perfettamente compatibili con il substrato cartaceo non comportando alcuna modificazione alle fibre, rispettando cromia e acidità. Sono in via di sperimentazione anche trattamenti protettivi da U.V. mediante deposito di particelle di ZnO, protezione da biodeterioramento tramite deposizione di Ag e consolidamento con carbonati di Calcio.

Tra le eccezioni la sperimentazione, compiuta da Leclaire e colleghi, su legno tramite plasma DBD per eliminare le macchi blu provocate dal fungo Aureobasidium pullulans. Esistono anche studi dell’applicazione del plasma a pressione atmosferica su substrati lapidei come metodo di pulitura da sostanze organiche come prodotti polimerici usati nel restauro; questo studio è stato portato avanti da Pflugfelder, Mainush, Hammer e Viol utilizzando sia una sorgente a corona che una DBD. Esistono altri esempi di tecnologie che accoppiano l’uso del plasma con quello di altri metodi più tradizionali: una ricerca condotta in Germania nel 2007 ha tentato un approccio congiunto tra pulitura tramite laser e tramite plasma per la rimozione di vernici e lacche spray da provini di pietra. Lo scopo del lavoro era quello di diminuire i costi unendo i pregi delle due tecniche: il laser infatti da dei problemi quando si tratta di rimuovere i materiali polimerici come le resine acriliche o alchiliche a causa del loro basso potere assorbente della radiazione laser; il plasma invece sembra avere dei limiti per quanto riguarda i tempi di rimozione. La tecnica ha avuto successo solo nella rimozione di sostanze colorate, che assorbivano maggiormente la radiazione laser [19].

Per quanto riguarda l’Italia i primi studi su questi metodi innovativi sono stati svolti da una laureanda dell’Accademia di belle Arti di Como sulla rimozione di depositi da materiali lapidei. A dimostrare l’interesse per queste tecnologie, nel 2012 si è visto l’avviarsi di un progetto europeo PANNA (Plasma And Nano for New Age “soft” conservation ) [24] che coinvolgendo vari partner, tra cui l’istituto di ricerca Civen (Porto Marghera), l’istituto di ricerca Icis (facente parte del CNR di Padova), il museo di Berlino, l’università di Sofia e altri entri pubblici e privati, si propone come scopo finale quello della progettazione e produzione di una nuova tipologia di torcia pensata per le applicazioni sui bene culturali. Il progetto si compone di diversi project work che sono: la scelta dei substrati su cui operare (oro, rame, marmo, pietra Serena, ecc…), la scelta dei depositi da rimuovere (croste nere, vernici, polimeri, strati di ossidazione, protettivi, ecc…), la scelta delle proprietà da indagare prima e dopo la rimozione per testarne l’efficacia ma anche la pericolosità (colorimetria, angolo di contatto, analisi al SEM, ecc…), studi sulla modalità di deposizione tramite plasma, raccontata ed elaborazione dei dati al fino di progettare la nuova torcia per i beni culturali. Ad ogni istituto facente parte del progetto viene assegnato un substrato e depositi scelti per quel substrato, l’istituto ha il compito di testare la rimozione di questi depositi con tutte le torce dei partecipanti al progetto (5 torce: Kinpen from Neoplas sorgente DBD, PlasmaTec from Tantec sorgente Arc discharge, Plasmabrusch PB1 from Rheinhausen plasma sorgente DBD, PlasmaPen from PVA TePla sorgente arc discharge, Plasma Blaster from Tigres, Dr. Gerstenberg soergente Arc discharge), successivamente vengono svolte le analisi pianificate in precedenza e condivisi i dati tra tutti i partecipanti [25].

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